Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado sul processo Montante.


E dalla ricostruzione fin qui esposta emerge che il programma criminoso, messo a punto fin dall’assunzione di Di Simone e poi successivamente ampliato, si è mostrato capace di rendersi operativo nella fase in cui Montante non era messo in discussione e di funzionare in maniera ancora più serrata, quando si era reso necessario adottare contromisure rispetto alle indagini in corso che potevano minacciare le posizioni di potere del vicepresidente di Confindustria con delega alla legalità.

Inoltre in questa ricostruzione si evidenzia come nel caso all’esame di questa Corte il fatto che ciascuno dei soggetti legati a Montante perseguisse interessi personali, economici, di carriera o di prestigio non esclude la sussistenza dell’adesione ad una struttura associativa, visto che tale adesione, connessa alla stabile disponibilità in favore degli interessi di Montante e del programma illecito, era quella che dava garanzia agli occhi di costoro di conseguire anche i propri obiettivi personali. […].

Solido rimane il principio, già fissato in epoca risalente, per cui “è configurabile la partecipazione ad un’associazione a delinquere di un soggetto che, pur agendo per il proprio fine di profitto, contribuisca al mantenimento ed alla realizzazione degli scopi dell'associazione” (Cass. n. 46989 dell’S.11.2013)

Giova conclusivamente affrontare un ulteriore rilievo emergente dagli appelli degli imputati. Si è sostenuto che il reato associativo non sarebbe configurabile proprio perché alcuni degli associati non avrebbero contezza dell'identità degli altri e del loro operato.

Tale affermazione è in realtà smentita da diversi elementi: in una conversazione intercettata a carico di Ettore Orfanello egli mostra di conoscere di Di Simone e di saperne il ruolo (definendolo il “vassallo” di Montante), oltre a sapere del contributo fornito dagli altri operatori della Guardia di Finanza; Di Simone era a conoscenza del fatto che Montante aveva la disponibilità di altri appartenenti alle forze dell’ordine che ne corrispondevano ai suoi desiderata.

In ogni caso, insegna la giurisprudenza di legittimità che “non risponde del delitto di associazione per delinquere colui che, pur partecipando alla commissione di uno o di più reati funzionali al perseguimento degli scopi dell’associazione, ignori l’esistenza dell’associazione stessa, mentre, nell’ipotesi in cui egli sia a conoscenza dell’esistenza del sodalizio e sia consapevole di contribuire, con la propria condotta, alla realizzazione del programma associativo, risponderà del reato di cui all’art. 416 cod. pen. anche nel caso in cui la realizzazione del reato fine sia rimasta a livello di meri atti preparatori” (Cass. n. 26724 del 4.3.2015).

Infine la difesa di Ardizzone ha svolto argomenti pertinenti quando ha evidenziato che nell’ipotesi di accusa gli è contestato di avere fatto parte del sodalizio per un periodo molto lungo, che ha avuto inizio quando egli era Comandante provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta, sarebbe perdurato anche mentre a seguito del suo trasferimento aveva svolto le funzioni di Capo centro della Dia di Reggio Calabria e infine ancora sarebbe proseguito con il suo ritorno nelle vesti di Capo centro della Dia di Caltanissetta, a seguito dello scambio con il suo collega Scillia.

La Corte non può che convenire sul fatto che, per quanto la partecipazione ad un'associazione per delinquere sia un reato permanente, il ruolo assunto da Ardizzone nella contestazione è strettamente legato alle funzioni svolte quale Comandante della Guardia di Finanza di Caltanissetta, agevolando nel suo ruolo di superiore il Magg. Orfanello e il Lgt Sanfilippo nella gestione delle verifiche fiscali orientate dagli interessi e dalle richieste di Montante.

Nel luglio 2011 egli non aveva potuto più svolgere tale ruolo perché era stato trasferito, come detto, alla Dia di Reggio Calabria. Il processo non ha fornito alcun elemento dal quale trarre prova che in altra veste e con altri ruoli egli abbia continuato a mettere a disposizione dell'organizzazione un suo contributo; e anzi gli si contesta soltanto di avere ottenuto un’utilità consistita nell’essere agevolato ad ottenere il trasferimento dalla Dia di Reggio Calabria alla Dia di Caltanissetta.

Questa utilità sarebbe da ricondurre all’accordo corruttivo oggetto della condotta contestata al capo R), di cui più diffusamente si parlerà appresso. Anche laddove si volesse ritenere provato che l’aiuto per il trasferimento sia stato assicurato da Montante come controprestazione delle precedenti condotte di violazioni dei doveri d’ufficio, esse si finirebbero per collocare al più tardi nel luglio 2011, non essendoci, come detto, altra prova di servigi successivamente resi o successivamente a lui richiesti durante lo svolgimento dell’incarico calabrese.

Anche quindi a voler ricondurre questa utilità ad una promessa risalente a quel periodo, da ciò non può derivare la necessaria prova della prosecuzione della permanenza della sua condotta associativa.

A differenza di Orfanello, che persino dopo essere stato sospeso dal Corpo ha continuato ad adoperarsi per sostenere ed essere sostenuto da Montante e da Romano, la figura di Ardizzone scompare del tutto dall’indagine per riapparire quando assume le funzioni di Capocentro della Dia a Caltanissetta e Cicero racconta dello scambio di battute sul suo trasferimento e sull'aiuto di Montante, in occasione della visita di cortesia fattagli a seguito dell'insediamento.

Non vi è nemmeno prova che la stabile disponibilità che Ardizzone avrebbe offerto al gruppo avesse una proiezione incondizionata nel tempo e non fosse invece legata alle contingenze che gli rendevano più utile e conveniente assecondare le direttive di soggetti che non avevano alcuna legittimazione nella scala gerarchica della Guardia di Finanza, in modo da assicurarsi benefici e quieto vivere.

D’altronde, “ai fini della configurabilità del reato di partecipazione ad associazione per delinquere, non è sempre necessario che il vincolo si instauri nella prospettiva di una permanenza a tempo indeterminato, e per fini di esclusivo vantaggio dell'organizzazione stessa, ben potendo, al contrario, assumere rilievo forme di partecipazione destinate, “ab origine”, ad una durata limitata nel tempo e caratterizzate da una finalità che, oltre a comprendere l'obiettivo vantaggio del sodalizio criminoso, in relazione agli scopi propri di quest’ultimo, comprenda anche il perseguimento, da parte del singolo, di vantaggi ulteriori, suoi personali, di qualsiasi natura, rispetto ai quali il vincolo associativo può assumere anche, nell’ottica del soggetto, una fanzione meramente strumentale, senza per questo perdere nulla della rilevanza penale” (Cass. n. 52005 del 24.11.2016).

Tanto più nel caso di specie per il quale, come si vedrà, la Corte ha ritenuto non configurabile il reato di corruzione con riguardo all'utilità consistente nel sostegno ai fini del trasferimento alla Dia di Caltanissetta.

Ciò tuttavia ha un’immediata conseguenza. Se la condotta di partecipazione di Ardizzone si è esaurita nel luglio 2011, in relazione alla pena edittale vigente all’epoca per il partecipe il termine di prescrizione ordinario pari a sei anni è spirato nel luglio 2017, quando ancora non si era registrato alcun atto interruttivo, essendo il primo l'ordinanza di custodia cautelare emessa il 19.4.2018. Come meglio di seguito verrà illustrato, la Corte ne deve trarre dunque tutte le conseguenze.

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