Tutto ciò che indossiamo, utilizziamo o consumiamo è prodotto in vario modo grazie all’acqua.

Quanta ne sia necessaria è un dato che possiamo raccogliere utilizzando l’impronta idrica, calcolabile sia per un singolo processo sia per un prodotto o un’intera multinazionale.

Come sottolineato dal Water Footprint Network (WFN), non profit olandese attiva sul tema, l’impronta idrica media globale della carne bovina è di 15.400 litri per ogni kg di carne, di cui il 94 per cento è costituita da acqua verde, acqua piovana essenziale per l’agricoltura e l’allevamento. La restante percentuale è composta da acqua blu e acqua grigia, rispettivamente acqua dolce e acqua necessaria per diluire inquinanti.

Che impronta idrica ha, invece, la tecnologia? Un tema raramente sotto i riflettori e al centro di un recente studio dal titolo Rendere l’intelligenza artificiale meno “assetata”: scoprire e affrontare l’impronta idrica segreta dei modelli di intelligenza artificiale, pubblicato dal professore associato Shaolei Rei e dal suo team con sede all’università del Texas. Dopo alcune ricerche il gruppo di professionisti ha scoperto come i modelli di intelligenza artificiale su larga scala siano voraci consumatori di acqua.

L’impatto 

Il celebre modello linguistico Gpt-3, la terza generazione di intelligenza artificiale prodotta del laboratorio di San Francisco OpenAi, apprende automaticamente dall’essere umano una serie di informazioni che gli permettono di generare un testo in seguito a pochi input. L’addestramento dell’Ia Gpt-3 nei data center statunitensi di Microsoft può consumare direttamente 700mila litri di acqua: si parla di acqua blu, quindi dolce e pulita, sempre più scarsa sul nostro pianeta.

Numeri che, stando a quanto riportato nello studio del team del professor Rei, includono unicamente i litri necessari per il funzionamento dell’Ia e che non tengono conto dell’impronta idrica associata ad esempio alla generazione di elettricità o alla creazione stessa dei chip che ne permettono il funzionamento.

Secondo lo studio, per una discussione con ChatGpt che oscilla tra le 20 e le 50 domande sono consumati 500 ml di acqua. È come se a fianco degli utilizzatori di questa intelligenza artificiale, stimati in uno studio di Ubs nel febbraio scorso in circa 100 milioni di utenti mensili, ci fosse una bottiglietta da mezzo litro: un’impronta idrica enorme, destinata ad aumentare per il nuovo modello Gpt-4.

Nella ricerca è stato inoltre dimostrato come l’ubicazione dei data center e l’orario in cui sono utilizzate le intelligenze artificiali siano variabili importanti per abbassare l’impronta idrica di questa tecnologia, esattamente come siamo soliti fare con l’elettricità. La produzione di energia solare in California ad esempio è molto alta a mezzogiorno, con emissioni di carbonio minori rispetto alle altre ore della giornata.

Tuttavia in quel momento le temperature sono molto alte, soprattutto in estate e a sud del paese (esattamente come negli altri due stati in cui sono collocati la maggior parte dei data center statunitensi, ovvero Texas e Florida), e quindi l’efficienza idrica della produzione di energia solare è di conseguenza peggiore.

Paradossi e trasparenza

Da una parte quindi programmare l’addestramento delle intelligenze artificiali a mezzanotte ridurrebbe l’impronta idrica ma paradossalmente aumenterebbe quella di carbonio. I giganti del settore tecnologico come Google, Microsoft e Meta hanno inserito l’impronta idrica dei loro data center, della filiera e delle sedi operative delle loro società nei rapporti annuali sulla sostenibilità.

La maggior parte degli sforzi per ora si è concentrata però sul miglioramento dell’efficienza idrica dal punto di vista tecnico e ingegneristico, cercando di privilegiare l’acqua riciclata per alimentare le torri di raffreddamento dei data center (fondamentali nel dissipare il calore prodotto dalle macchine che incamerano e conservano i nostri dati).

Nonostante ciò la maggior parte di questi data center utilizza ancora acqua potabile, soprattutto locale: lo scorso ottobre l’organizzazione non governativa Reporters committee, che offre consulenza legale pro bono ai giornalisti, ha iniziato a difendere il giornale locale The Oregonian in una causa contro la città di The Dalles nello stato dell’Oregon. Un anno prima il giornale locale aveva infatti chiesto dati e informazioni sul consumo idrico dei data center di Google in città tra il 2012 e il 2021, che l’amministrazione locale non aveva fornito per questioni legate a “segreti commerciali” con la multinazionale. Da questo caso è emerso come più di un quarto delle risorse idriche potabili locali fossero utilizzate da Google per i suoi scopi.

In questo senso insistere sulla trasparenza delle aziende tecnologiche riguardo all’efficienza idrica dei modelli di Ia che sviluppano è importante. Non solo per permettere a ricercatori come il professor Rei e il suo team o a giornalisti locali di approfondire e confrontare le impronte idriche delle grandi aziende tecnologiche più importanti al mondo, ma anche e soprattutto per dare alle comunità locali il potere di esprimere dissenso sul modo in cui viene utilizzata l’acqua nel territorio che abitano.

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