Per la verità sulla morte di Mario Paciolla, il volontario dell’Onu trovato morto il 15 luglio in Colombia, l’Italia ora chiede spiegazioni alle Nazioni unite. La procura di Roma, che aveva già avviato una rogatoria verso il paese latinoamericano per affinare le proprie indagini (sul caso sono in corso tre indagini, una italiana una colombiana e una interna all’Onu), ha pronte due nuove richieste: una rogatoria è indirizzata al palazzo di vetro dell’Onu a New York, per ottenere elementi emersi nell’indagine interna all’organizzazione. L’altra è per le autorità colombiane: Roma vuole una testimonianza recente della fidanzata storica di Paciolla, Ilaria Izzo, molto scossa dopo la morte. Izzo in Colombia condivideva con Paciolla il tipo di lavoro e un rapporto di confidenza costante.

Il punto di non ritorno

C’è poi da fare un’ulteriore verifica anche coi poliziotti che hanno gestito il caso a caldo, indagati in Colombia per aver consentito l’alterazione della scena della morte: il dipartimento di sicurezza dell’Onu, il giorno dopo il ritrovamento del corpo di Mario nel suo appartamento in affitto, ha preso da lì alcuni oggetti, lo ha pulito, candeggiato, e poi ha consegnato le chiavi al locatore. «Non aspettatevi che la verità venga fuori presto, perché il caso coinvolge più attori, non solo i governi ma pure le Nazioni unite», dice un funzionario ai vertici della Farnesina.

Paciolla, napoletano di 33 anni, dopo aver accumulato una solida esperienza sul campo in Colombia (scriveva sotto pseudonimo anche per la rivista di geopolitica Limes), partecipava come volontario alla missione Onu nata nel paese dopo la firma dell’accordo di pace fra governo e forze armate rivoluzionarie. Aveva un biglietto aereo per tornare in Italia il 20 luglio: la madre riferisce che il 10 luglio qualcosa lo aveva assai turbato. Aveva discusso con la missione, coi capi, credeva di essersi «ficcato in un guaio». Riteneva che la Colombia per lui non fosse più sicura, voleva tornare a Napoli. Ma il 15 luglio, lo stesso giorno in cui doveva iniziare gli spostamenti per poi prendere l’aereo verso l’Europa, è stato ritrovato il suo cadavere nell’appartamento a San Vicente del Caguán. Le autorità colombiane hanno certificato che la morte è avvenuta alle due di notte del 15 «in circostanze poco chiare: il corpo ha lacerazioni ai polsi», ha detto il colonnello Oscar Lamprea, mentre veniva formulata l’ipotesi del suicidio.

Le due autopsie

Esiste un’autopsia fatta dall’Italia (il corpo è rientrato qui il 24 luglio) che potrebbe fare da contraltare alla versione del suicidio, oppure contestualizzarlo. Le persone vicine a Mario riferiscono, oltre che della sua etica professionale, anche degli scontri avuti con la missione. Non credono al suicidio, e anche se l’ipotesi fosse vera andrebbe accertato se il gesto è stato indotto. I tempi delle indagini autoptiche italiane si stanno prolungando: sono state aggiunte analisi tossicologiche e altri esami, per sciogliere elementi ancora ambigui. E allora a parlare è solo la Colombia, con il risultato della sua autopsia filtrato da poco: «Se le indagini scarteranno altre circostanze, la morte è compatibile con il suicidio», si legge nel documento, che parla di un lenzuolo legato al collo – «la morte può essere stata causata da encefalopatia ischemica» per soffocamento – e ferite ai polsi «autoinflitte». Ma questo esame è controverso da prima che fossero noti gli esiti. La mattina del 15 luglio, l’Onu telefona ai genitori di Paciolla e dice che si è suicidato; serve la loro autorizzazione per eseguire l’autopsia. Alla famiglia viene detto che prenderà parte all’esame un medico legale autorizzato. Ma Jaime Hernan Pedraza è invece il capo del dipartimento medico dell’Onu. Il 29 luglio la Farnesina ha detto che «ha partecipato un medico di fiducia della missione Onu».

Il ruolo dell’Onu

Con la missione il volontario ha avuto degli attriti. Uno degli ultimi contatti telefonici prima della morte, alle 22, è stato con Christian Thompson, responsabile sicurezza della missione (e parte del dipartimento che poi ha ripulito la scena). Secondo la fidanzata, lui non si fidava più di lui. Sui motivi di tensione tra Paciolla e la missione ci sono solo ricostruzioni: l’Onu tace. Il ragazzo lavorava in smart working: i suoi dispositivi informatici possono contenere indizi, ma non è chiaro se siano stati ritrovati tutti. Il mouse è stato rinvenuto, insanguinato, nella sede della missione, stando alla giornalista colombiana Claudia Julieta Duque. La ricostruzione di Duque si concentra su un episodio dell’autunno 2019 che portò alle dimissioni del ministro della Difesa Guillermo Botero: in un bombardamento furono uccisi ragazzini reclutati da dissidenti Farc. Paciolla aveva lavorato al report Onu sul caso. Esponenti della missione avrebbero fatto filtrare il rapporto all’opposizione, che lo avrebbe usato per silurare il ministro. Lo scorso inverno, a Napoli per le vacanze, Mario ha riferito ai suoi cari che pensava di aver subìto di un attacco hacker; ma, dicono gli amici, era il ragazzo di sempre. Fino a quel 10 luglio in cui qualcosa è successo.

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