A due settimane dalla morte di Mario Paciolla, il trentatreenne napoletano che si trovava in Colombia come operatore delle Nazioni Unite, il ministero degli Esteri ancora dice che “non abbiamo ricevuto nessun documento sull’autopsia svolta in Colombia”. Come mai? “Tempi tecnici”.

Intanto il comitato “Giustizia per Mario Paciolla” chiama a raccolta: oggi alle 21,30 alla villa comunale di Napoli c’è la commemorazione-mobilitazione.

Dopo la verità per il ricercatore Giulio Regeni, torturato e ucciso in Egitto nel 2016, ora si cerca la verità per Mario Paciolla. Verità difficile: la polizia locale trova il cadavere la mattina del 15 luglio, nell’appartamento del ragazzo a San Vicente del Caguan, città rifugio in passato di guerriglieri e narcotrafficanti. Il colonnello della polizia Oscar Lamprea riferisce che “la morte è avvenuta in circostanze poco chiare”, parla di lacerazioni sui polsi. Nel frattempo sui media locali rimbalza l’ipotesi del suicidio (per impiccagione).

Ma poi si aggiunge un altro elemento incongruente: “Sul corpo pare che ci siano svariate ferite da arma bianca”, scrive il settimanale Semana, eppure “le autorità continuano a non fornirci informazioni ufficiali su questa morte”.

La ricerca della verità

Nessun documento ufficiale è ancora emerso circa le condizioni nelle quali è stato ritrovato il corpo del ragazzo. La famiglia, gli amici, giornalisti e attivisti colombiani sono convinti che Paciolla sia stato ucciso. La mobilitazione per ottenere verità e giustizia cresce, tra petizioni e interrogazioni parlamentari.

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, promette: “Vogliamo dare al più presto la verità alla famiglia. Stiamo lavorando senza sosta per chiarire ogni aspetto di questa morte e su questo l’altro ieri ho avuto una approfondita conversazione telefonica con la mia collega colombiana, Claudia Blum”.

Cosa rende la verità sulla fine di Paciolla così difficile da trovare, o da rendere pubblica? Maurizio Salvi, corrispondente dell’Ansa a Buenos Aires, su Twitter accusa: “Il corpo di Mario è stato trasferito in Italia con consegna di segretezza assoluta, i governi si sono messi d’accordo per impedire ai media di accedere alla documentazione sulla morte di Mario, l’ho provato sulla mia pelle. Silenzio dell’Onu, della procura, dell’ambasciata, di conseguenza dei media. Perché? Di cosa si ha paura?”.

Cosa ha sconvolto Mario

E Mario Paciolla di cosa aveva paura? Perché voleva al più presto tornare in Italia?

“Mio figlio era terrorizzato: negli ultimi giorni non faceva che mostrare la sua preoccupazione e inquietudine per qualcosa che aveva visto, capito, intuito”, ha detto la madre di Mario, Anna Motta, il 16 luglio in un’intervista a Repubblica in cui descrive lo stato di agitazione in cui era il figlio negli ultimi tempi. “Mi chiamò e mi disse che aveva sbottato con alcuni dei suoi capi, che aveva parlato chiaro e che, così mi disse, si era messo ‘in un pasticcio’”. Ora la famiglia è in silenzio stampa.

“Al suicidio non crediamo proprio”, insiste un caro amico di Mario, Simone Campora, che assieme ad altri ha creato il comitato Giustizia per Mario Paciolla. “Mario era solare, aveva un cuore grande; è sempre stato un ragazzo sereno, coraggioso, fedele ai suoi ideali”. Simone con Mario condivideva molte passioni, tra cui il basket, sin dai tempi del liceo. Lo ha visto l’ultima volta a Napoli per le feste di Natale.

Mario non ha fatto in tempo a salire sull’aereo di ritorno il 20 luglio. Perché?

Le tensioni in Colombia

Paciolla era inquadrato come volontario delle Nazioni Unite. La parola “volontario” non deve trarre in inganno: un funzionario di una agenzia dell’Onu spiega che i volunteers sono profili specializzati e ricevono un buono stipendio. Sono insomma figure junior dell’Onu che poi possono ambire a fare carriera nelle istituzioni internazionali.

Da due anni Paciolla lavorava per la missione dell’Onu in Colombia, nata nel 2016 dopo la firma dell’accordo di pace tra il governo del paese e le Forze armate rivoluzionarie (Farc). Le Nazioni Unite hanno il mandato di verificare il processo di disarmo della guerriglia e favorire una transizione pacifica.

L’accordo di pace doveva servire a smilitarizzare un conflitto che aveva prodotto oltre duecentomila vittime e milioni di sfollati. Nella pratica, “la terribile ingiustizia che c’è nel paese non è stata risolta”, dice l’esperto di America Latina Gennaro Carotenuto, che insegna Storia contemporanea all’università di Macerata.

Il crescendo di violenza nella Colombia governata da Iván Duque Márquez, presidente dal 2018, ha già portato negli ultimi tempi a dissapori con le Nazioni Unite. Questa primavera, l’alto commissariato Onu per i diritti umani, capeggiato proprio da un italiano, Alberto Brunori, ha prodotto un report che fa luce sulla situazione: “La Colombia è il paese dell’America Latina in cui viene ucciso il più alto numero di difensori dei diritti umani”.

Il report ha mandato su tutte le furie il presidente Duque. Brunori, che aveva assunto l’incarico a marzo 2018, lo ha lasciato il 15 luglio scorso, dopo poco più di un anno (il predecessore invece durò sei anni).

“La morte di un osservatore delle Nazioni Unite è un evento che non può non avere forti implicazioni politiche, anche solo per la percezione di rischio e di pericolo che ora ricade su tutti gli altri operatori che come Paciolla operano nell’area”, dice Stephan Kroener, giornalista tedesco che vive in Colombia e aveva incontrato Paciolla in passato.

Le indagini

I primi accertamenti sono stati fatti in Colombia: una prima autopsia sulla salma è stata eseguita lì il 17 luglio, la Farnesina riferisce che “a questo primo esame ha partecipato un medico di fiducia della missione Onu” e che “il governo segue il caso da subito”. Il 24 luglio poi il corpo è rientrato in Italia e qui l’autorità giudiziaria ha disposto una ulteriore autopsia. Al momento non è dato sapere da fonti ufficiali se sul corpo di Paciolla vi siano effettivamente segni di violenza, e di che genere. La Farnesina è “in attesa dei risultati delle due autopsie”.

Anche le Nazioni Unite mantengono il riserbo, ma la missione a cui faceva riferimento Paciolla ha a sua volta aperto un’indagine. Cosa turbasse i sonni di Mario, che cosa avesse visto, in quale “guaio” fosse finito, aiuta a capirlo Claudia Julieta Duque, giornalista di inchiesta colombiana e sua amica.

Duque ha consegnato a El Espectador la sua accusa-testimonianza: “Qualcosa è successo il 10 luglio: quel giorno hai avuto una forte discussione con i tuoi capi, come poi hai raccontato a tua madre. Eri disgustato. Negli ultimi giorni insistevi che non era sicuro per te rimanere in missione. Infatti ti stavi preparando a rientrare in Italia.”

“Disgustato”, scrive Duque. Che cosa aveva turbato Paciolla? L’amica fa riferimento a un bombardamento avvenuto nella località dove viveva Mario e nel quale finirono uccisi diciotto ragazzini che erano stati reclutati dai dissidenti delle Farc. L’episodio risale all’autunno 2019 e ha portato alle dimissioni il ministro della Difesa colombiano, Guillermo Botero, ma “al mio amico disgustava il fatto che l’organizzazione delle Nazioni Unite, nel suo report, avesse menzionato il fatto solo in poche righe”.

Duque dice che “Mario aveva documentato vari casi di quel tipo, così come la relazione complessa tra alcuni membri della missione Onu e le forze pubbliche colombiane, o la passività dell’Onu di fronte ai bombardamenti contro i civili”. Lei è sicura: “Io al suicidio non ci credo”.

“Le indagini della polizia colombiana sono in corso”, dice la Farnesina. “Sono dirette da un magistrato specializzato, con la supervisione del procuratore generale. La squadra inquirente è stata rafforzata anche da tecnici forensi inviati da Bogotà”. E ancora: “Le autorità colombiane e la missione Onu hanno assicurato la massima trasparenza”.

Ma per ora sulle indagini non sappiamo quasi nulla.

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