«Siamo andate all’Auditorium della Conciliazione, dove in questi due giorni si tengono gli Stati generali della natalità. Nel momento in cui ha preso la parola la ministra per la Famiglia Eugenia Roccella, abbiamo alzato i nostri fogli con la scritta “Sul mio corpo decido io”. Vogliamo ribadire il fatto che non fosse una protesta solo nei confronti della ministra, non era questo il nostro obiettivo principale, ma è la prima figura istituzionale a essere intervenuta».

Questo il racconto di Caterina e Chiara del collettivo Aracne – assemblea transfemminista studentesca, che include più licei – che hanno preso parte alla contestazione contro il convegno sulla natalità.

«Abbiamo poi incominciato a fare rumore con fischietti e chiavi. Ci hanno chiesto se volessimo dire qualcosa e un compagno di Catania ha letto il nostro comunicato. Poi però siamo stati portati fuori e accerchiati, trattenuti dalla polizia, che ci ha chiesto i documenti e ci ha schedati, per circa un’ora». 

A gennaio le studenti e gli studenti erano stati invitati agli Stati generali della natalità direttamente dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che con una circolare inviata a tutte le scuole chiedeva la loro «partecipazione attiva». Gli studenti, scrive il ministro «potranno diventare protagonisti attraverso riflessioni relative a una tematica che interessa il loro avvenire: “Esserci, più figli, più futuro”».

Una contestazione che si inserisce in un percorso più ampio – racconta invece Emma, un’altra studente del collettivo Aracne – iniziato con le occupazioni delle scuole e incentrato sull’educazione sessuoaffettiva, che «dovrebbe essere un nostro diritto ed è prevista dalla Convenzione di Istanbul, ma l’Italia è uno dei pochi paesi a non averla introdotta. Chiediamo poi spazi più inclusivi e sicuri per tutte e per tutti, una pedagogia diversa, una scuola transfemminista». 

Queste richieste, continua Emma, «sono state completamente ignorate e l’unica cosa che è riuscito a fare Valditara è stato invitarci agli Stati generali della natalità». La protesta è stata organizzata a febbraio, durante una due giorni nazionale, per contestare la linea generale di questo convegno. E venerdì 10 maggio a Roma è partito un corteo da piazzale degli Eroi «per un altro genere di educazione».

Le reazioni alla contestazione

«Sul mio corpo decido io» è la scritta con cui alcuni studenti del collettivo assemblea Aracne e collettivo Artemis hanno contestato l’intervento inaugurale della ministra della Famiglia Eugenia Roccella per l’apertura della quarta edizione degli Stati generali della natalità. Roccella ha provato a dialogare con gli studenti: «Ragazzi ma noi siamo d’accordo, ma nessuno ha detto che qualcun altro decide sul corpo delle donne, proprio nessuno», rinunciando poi a parlare lasciando la sala. «C'è un genocidio in atto e muoiono bambini e qui ci dicono di fare figli», ha detto una delle ragazze dei collettivi dopo che gli organizzatori le hanno permesso di fare un intervento dal palco.

Davanti alla contestazione, la ministra per la Famiglia, la Natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, ha detto dal palco: «Ragazzi noi siamo d’accordo, ma nessuno ha detto che qualcun altro decide sul corpo delle donne, proprio nessuno». Ma poi ha deciso di lasciare il convegno definendo il dissenso manifestato una forma di «censura». «Una profonda ostilità», prosegue Roccella, «verso la maternità e la paternità, verso chi decide di mettere al mondo un figlio, esercitando la propria libertà e senza nulla togliere alla libertà altrui, ma contribuendo a dare un futuro alla nostra società. Insomma quello che si contesta, alla fine, è la maternità come libera scelta».

Un termine, quello della censura, adottato anche dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ha descritto una protesta legittima come «uno spettacolo ignobile». Manifestare il dissenso contro il potere, le politiche e le idee portate avanti dal governo per la premier è un atto di censura. 

Anche il presidente della Repubblica ha chiamato Roccella per esprimere solidarietà e ha sottolineato che «voler mettere a tacere chi la pensa diversamente contrasta con le basi della civiltà e con la nostra Costituzione». Non è tardata la solidarietà da esponenti del governo e della maggioranza pronti a lanciare l’allarme censura: «Il diritto di esprimere la propria opinione è uno dei pilastri della nostra Repubblica», ha dichiarato il presidente del Senato Ignazio La Russa, riferendosi però al diritto della ministra, non degli studenti. O ancora il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha evidenziato la necessità di «condannare questi atti e difendere la libertà di parola».

Così la solidarietà è arrivata anche dalla vicepresidente di Forza Italia al Senato Licia Ronzulli e da alcuni rappresentanti dell’opposizione, come la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi, secondo cui «l’espressione del dissenso è lecita», ma «libertà e democrazia si esprimono innanzitutto consentendo di parlare, non con la censura».

Dopo le proteste, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha disdetto la sua presenza, mentre il ministro Valditara ha ritirato il suo video-contributo.

Contro la scuola di Valditara

«I figli sono un dono, ma rappresentano anche un capitale umano, sociale e lavorativo. Essi sono il bene più importante che ogni generazione produce e che lascia in eredità al mondo che verrà». Questo slogan alla base del convegno per gli studenti «indica chiaramente la linea politica che il governo intende perpetuare». 

Una dichiarazione di questo tipo, spiega Emma di Aracne, mostra «l’idea che si ha della donna, come macchina per la procreazione, e dei figli come forza lavoro per la società capitalistica in cui viviamo». 

Le studenti e gli studenti chiedono invece di essere considerati nel presente, non come capitale lavorativo, ma di prendere parte a una scuola «capace di decostruire gli episodi di violenza all’interno della società, di machismo, di prevaricazione. Una scuola in grado di parlare di affettività, di consenso e piacere». Sottolineano poi la necessità di rivedere i testi scolastici, modificati in una chiave meno discriminatoria, che non sia colonialista né razzista. Vogliono studiare anche le realtà «di cui la storia non ci racconta», continua Emma, e chiedono sportelli antiviolenza e di ascolto nelle scuole, oltre a voler vedere garantita la carriera alias, con cui gli studenti trans possono chiedere di essere indicati con un nome scelto nei registri scolastici. 

Per tutte queste motivazioni respingono il progetto proposto da ValditaraEducare alle relazioni”: «Non soddisfa in alcun modo le istanze portate avanti nelle nostre mobilitazioni», spiega Emma, «perché chiediamo di renderlo un percorso obbligatorio, che parta dalla scuola primaria fino alla secondaria di secondo grado, e che venga garantito personale esperto. Non vogliamo una formazione facoltativa, da fare ogni tanto alla presenza di influencer, come ha proposto il ministro».  

Contro i principi degli Stati generali

Gli Stati generali della natalità per il collettivo Aracne promuovono la famiglia tradizionale come l’unica giusta e c’è la volontà di «imporre scelte sui nostri corpi, di negare il nostro diritto ad autodeterminarci». 

Gli stessi principi che per i manifestanti sta portando avanti il governo: ricordano le affermazioni della ministra Roccella di gennaio, quando aveva affermato che l’aborto «purtroppo» fa parte della libertà delle donne; oppure l’introduzione degli antiabortisti nei consultori.  

Per la studente questa idea è evidente se si guarda il programma del convegno: «Cosa ne sa papa Francesco della natalità?», si chiede, ed evidenzia la presenza di una relatrice, Jessica Barcella, definita non per la sua professione, come tutte le altre persone presenti, ma in qualità di madre. 

Idee e politiche che per il collettivo Aracne sono esplicative di un sistema diviso in due, che vede, da un lato, il lavoro produttivo, riconducibile solitamente al genere maschile, e uno ri-produttivo, riconosciuto invece come “proprio” del genere femminile. Il primo ha un ruolo centrale nella società, il secondo viene invece spostato su un piano di inferiorità.

E invece per far fronte al calo demografico – evidenzia Aracne – non vengono adottate politiche di sostegno o agevolazioni alle famiglie. Al contrario, viene abolito il reddito di cittadinanza e smantellato il welfare.

Cosa sono gli stati generali della natalità

Il convegno è alla sua quarta edizione ed è organizzato dalla Fondazione per la natalità. Il presidente Gigi De Paolo ha spiegato, all’inizio dei due giorni, che «è soprattutto padre di cinque figli». Ha poi precisato che non ci sono poteri forti dietro agli Stati generali ma che c’è solamente «la forza del potere di mamme e papà che non si rassegnano per il futuro dei loro figli. Siamo mamme e papà indipendenti».

La serie di conferenze sul tema ha visto in tutte le edizioni personaggi noti, alte cariche dello stato e alte rappresentanze, come il papa. Ci sono esponenti politici di tutti gli schieramenti, ma si nota una presenza maggiore di membri del governo. E sono numerosi i partner, tra gli altri, la regione Lazio, il comune di Roma, il Forum delle associazioni familiari, Enel, Eni, Fs, Fincantieri, oltre a Esselunga, Cassa depositi e prestiti e la Rai.

Nell’edizione del 2023 ha fatto molto discutere l’intervento del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, quando ha parlato della necessità di tutelare «l’etnia italiana». Solo pochi giorni prima, in un intervento al convegno della Cisal, aveva detto: «Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro. Non è quella la strada». Parole che per le opposizioni hanno «il sapore del suprematismo bianco».

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