Le ultime dichiarazioni della presidente Giorgia Meloni e di altri membri del governo in materia di migrazione sono assai preoccupanti e vanno esaminate in un contesto più ampio. In Italia la carenza di manodopera è ormai un fenomeno cronico il cui costo, date le dinamiche del mercato del lavoro, sta diventando esorbitante.

Gli ultimi dati di Unioncamere-Anpal evidenziano che quasi un lavoratore su due è di difficile reperimento. Per BCG (Boston Consulting Group) le imprese, e quindi i governi, devono guardare con più attenzione al fenomeno migratorio per compensare la denatalità.

Migrazioni e denatalità

Per Giorgia Meloni tale problema non si risolve con la migrazione ma aiutando le famiglie a fare più figli. Forse la presidente non ha pensato che se anche le famiglie italiane si impegnassero a fare figli, questa forza lavoro sarebbe disponibile sul mercato tra 15 o 20 anni, 25 anni per i laureati.

Conosciamo bene cosa pensano le forze al governo sulla migrazione: blocco navale, leggi speciali di Salvini, abolizione della protezione speciale, accordi con i paesi di origine per fermare definitivamente la migrazione. Quest’ultimo progetto, sul quale la presidente Meloni insiste, richiederebbe accordi con oltre 20 paesi, un costo enorme e non fermerebbe comunque la migrazione.

Resta lontana l’idea che un diverso paradigma della migrazione potrebbe risolvere il problema della carenza di manodopera, magari accogliendo anche persone che hanno già una formazione professionale. A questa visione si è ora aggiunto il pensiero del ministro Francesco Lollobrigida che paventa una «sostituzione etnica». Tutto questo indica chiaramente che il governo ha paura del diverso, paura che si basa su un perverso sovranismo sostenuto dal partito di Giorgia Meloni che affonda le sue radici nel fascismo che nel 1938 ha promulgato le leggi razziali.

Purtroppo un processo di sostituzione etnica è già in atto. L’etnia dei milioni di elettori che hanno votato questa coalizione di governo è quella che crede in una politica migratoria di esclusione, nel non rispetto dei diritti civili (Lgbt) e dei diritti sociali (minori spesa per salute e istruzione), che vuole una riforma fiscale a favore dei ricchi, che mina l’unità dello stato con la legge sull’autonomia differenziata, che progetta un presidenzialismo possibilmente con pieni poteri, che considera la transizione ecologica un fastidioso intralcio per le imprese.

Questa etnia ha sostituito quella che crede nella democrazia, nell’unità dello stato, che promuove il rispetto dei diritti civili e sociali, che cerca di ridurre le disuguaglianze sociali, che ritiene la transizione ecologica un dovere verso le generazioni future, che crede in una politica migratoria basata sull’accoglienza, formazione e istruzione per l’inserimento nel tessuto sociale e produttivo.

Per la verità non possiamo chiamarla sostituzione etnica. Si tratta piuttosto di una sostituzione culturale ancora più pericolosa per la democrazia del nostro paese.

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