C’è una nomina che agita il governo. Non è destinata a mutare gli equilibri in qualche importante società di stato, piuttosto serve a mantenere un controllo su uno degli organi giudiziari più rilevanti del paese: la procura generale di Roma. Ufficialmente il governo non dovrebbe interferire, ma il desiderio di occupare posti strategici all’interno delle istituzioni, anche dentro la magistratura, prevale su tutto.

Nell’ossessione dell’esecutivo per i servizi di sicurezza rientra anche poter contare su persone di fiducia nella procura generale, organo che autorizza le intercettazioni preventive: strumento da maneggiare con cura, in mano agli apparati di sicurezza, la cui autorità delegata è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l’ex magistrato Alfredo Mantovano.

Il potente sottosegretario di cui Giorgia Meloni si fida ciecamente non è nuovo a operazioni sotterranee per dare l’assalto all’intelligence. Domani aveva anticipato l’intenzione di premiare Elisabetta Belloni, capo del Dis (Dipartimento informazioni per la sicurezza), spostandola nel ruolo di consigliere diplomatico a palazzo Chigi al posto di Francesco Talò, dimessosi dopo la burla telefonica dei due comici russi, molto abili nell’ottenere un appuntamento telefonico, camuffati da leader africano, con la presidente del Consiglio con la quale hanno parlato di guerra e politica.

Più che un premio per Belloni, però, la manovra di Mantovano sarebbe servita a liberare la casella del Dis, da riempire con una persona di assoluta fiducia. Ora la partita per la nomina del procuratore generale di Roma.

Partita che Mantovano sta conducendo in silenzio sfruttando le sue relazioni all’interno del Consiglio superiore della magistratura frutto della sua appartenenza al Centro studi Livatino, una sorta di pensatoio del cattolicesimo tradizionalista, contrario a qualunque forma di estensione dei diritti alle famiglie che non siano quelle naturali, ostile all’aborto e a una legge sul fine vita.

Amato diavolo

Ed ecco che la battaglia sul suicidio assistito diventa fattore determinante nella corsa a procuratore generale. Il più quotato tra i candidati è Giuseppe Amato, attuale capo della procura di Bologna, battuto per un pelo da Nicola Gratteri nella sfida per la procura di Napoli. Amato è un magistrato che in carriera ha mantenuto sempre buoni rapporti con la politica.

Piace a un pezzo di centrosinistra e a destra, con Matteo Salvini in testa seguito da Forza Italia. È considerato un moderato, fa parte della corrente di Unicost, i centristi delle toghe. Peraltro è un procuratore che non ama i riflettori, gli uffici che ha diretto hanno sempre tenuto un profilo basso.

Chi ha lavorato con lui lo descrive come un capo che ha fatto della prudenza investigativa il faro della propria carriera. Tuttavia su di lui, confermano fonti qualificate di Chigi, c’è il veto di Mantovano. Già è anomalo che la maggioranza intervenga, seppure sotto traccia, negli incarichi direttivi delle procure.

Ma in questo caso assume contorni ancor più surreali per la motivazione dell’astio del fedelissimo di Meloni nei confronti di Amato: lo scorso febbraio il procuratore di Bologna ha archiviato l’indagine su Marco Cappato e due donne dell’associazione Luca Coscioni che si erano autodenunciati per aver portato una signora di 89 anni, malata di Parkinson, a morire in Svizzera. Per i cattolici tradizionalisti è una decisione vergognosa sulla quale c’è la firma di Amato.

L’amica

L’elenco dei contendenti per la poltrona del procuratore generale è lungo. I più in vista, partendo dalla corrente di sinistra (Area - Md), sono Antonio Maruccia e Michele Prestipino, attuale aggiunto a Roma.

Per Unicost c’è Amato e c’era Mario Pinelli, che nel frattempo ha battuto il candidato di sinistra per la procura generale a Genova. Gli altri papabili sono tutti di Magistratura indipendente: Antonio Patrono, procuratore di La Spezia, Maria Vittoria De Simone, procuratrice aggiunta della procura nazionale antimafia, Giulio Romano (già sostituto procuratore di Cassazione) e Nicola Lettieri, pure lui con esperienza nella procura generale di Cassazione.

A fare una prima scrematura delle nomine sarà la quinta commissione del Consiglio superiore della magistratura. Nella commissione che si occupa di incarichi direttivi c’è Daniela Bianchini, membro laico del Csm: avvocata, componente del Centro studi Livatino e docente a contratto di Diritto di famiglia. A volerla dentro l’organo di autogoverno delle toghe è stato Mantovano, che ora conta su di lei per boicottare la nomina di Amato a procuratore generale di Roma e sfidare così i suoi alleati di governo.

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