Care lettrici, cari lettori

questa settimana l’attenzione sulla giustizia è catalizzata dalla nomina del nuovo procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri. La questione è complicata e le ho dedicato un approfondimento.

Le vicende della settimana però sono state molte e il risultato è stata una newsletter più lunga del solito.

Sul fronte della politica giudiziaria, al centro c’è ancora la separazione delle carriere: tema annoso e polarizzante, anche in questo caso la probabilità che la riforma costituzionale arrivi in tempi brevi è molto bassa. Tuttavia, l’Anm ha deciso di ingaggiare un duro scontro con il governo, provocando però con le loro argomentazioni la replica delle Camere penali.

Il caso del pm di Brescia che ha chiesto di assolvere un cittadino originario del Bangladesh per un caso di maltrattamenti in famiglia, giustificabili da «ragioni culturali», ha indotto a una riflessione il filosofo Mariano Croce.

La nomina di Gratteri a Napoli

Alla fine è andata come da pronostico di partenza e Nicola Gratteri è diventato il nuovo procuratore capo di Napoli. La sua nomina, tuttavia, ha spaccato il plenum in una frattura che però sarebbe riduttivo considerare legata ai gruppi associativi.

Al plenum, infatti, si sono scontrate due visioni di futuro per la procura più grande d’Italia, con 9 aggiunti e 102 sostituti. Da una parte chi riteneva che servisse procedere il continuità con la gestione del predecessore e attuale procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, ereditata dalla reggente per l’ultimo anno e mezzo Rosa Volpe (a sua volta candidata). Dall’altra chi considera il cambiamento necessario e il nome di Gratteri il più giusto per un territorio come quello di Napoli, con la sua alta densità mafiosa.

Alla fine, il voto si è concluso con 19 preferenze per Gratteri date dai 7 togati di Magistratura Indipendente, l’indipendente Andrea Mirenda e il togato di Unicost Antonino Laganà, i 9 laici (i 7 di centrodestra, compreso il vicepresidente Fabio Pinelli, quello del M5S e di Italia Viva) e il procuratore generale di Cassazione Luigi Salvato.

Per Volpe, invece, sono arrivati 8 voti, di cui i sei di Area, uno di Magistratura democratica e il togato del Pd Roberto Romboli.

Per il terzo candidato, il procuratore di Bologna Giuseppe Amato, i voti sono stati 5: quello dei 3 togati di Unicost, dell’indipendente Roberto Fontana e della prima presidente della Cassazione, Margherita Cassano.

Ho fatto una panoramica dettagliata del lungo dibattito in plenum e, come sempre quando si tratta di Gratteri, i toni sono stati molto accesi anche perchè sono state riprese le sue parole colorite in audizione, dove ha parlato degli orari di lavoro che chiederà e del suo “modello Catanzaro”.

Ora su Napoli si accenderanno inevitabilmente i riflettori e il metodo di indagine risentirà inevitabilmente dell’impostazione del nuovo procuratore.

Il caso di Brescia al Csm

Il caso del pm di Brescia Antonio Bassolino di cui ha scritto Croce ha provocato anche la richiesta di apertura di una pratica al Csm da parte del presidente della prima commissione, il laico Enrico Aimi. «per la gravità delle asserzioni del pm che parrebbe giustificare, se non autorizzare, la violenza domestica».

Nell'istanza depositata dal consigliere laico Aimi, si legge che tale condotta «è assolutamente inaccettabile, soprattutto in questo momento storico in cui assistiamo quotidianamente a forme di sopruso e maltrattamenti a danno di donne».

Il caso è quello della richiesta di assoluzione di un uomo, originario del Bangladesh, denunciato dall'ex moglie per maltrattamenti, in cui si legge che «i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell'odierno imputato sono il frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l'uomo e la donna è un portato della sua cultura, che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine», quindi l’autore ha agito «in base alla propria cultura e non per la volontà di sottomettere». 

Il caso Anzaldi

In realtà, quello legato all’ex deputato del Pd e poi di Italia Viva Michele Anzaldi è un caso che non c’è, ma proprio per questo vale la pena di essere raccontato. Secondo indiscrezioni di stampa, poi confermate dal diretto interessato, Anzaldi doveva diventare consulente «per le fake news» del Csm, in particolare per l’ufficio di vicepresidenza di Fabio Pinelli.

La nomina avrebbe dovuto passare per l’ultimo plenum, ma è sparita e potrebbe saltare.

Anzaldi, comunicatore di professione e per anni membro molto attivo della Vigilanza Rai, è considerato un renziano di ferro e – secondo alcuni retroscena – una parte del consiglio non avrebbe condiviso la scelta della sua figura. In passato già erano sorti malumori per la modalità di comunicazione scelta da Pinelli con la stampa.

Lo scontro sulla separazione delle carriere

Lo scontro sulla separazione delle carriere è tornato al centro del dibattito, ora che la commissione Affari costituzionali sta svolgendo le audizioni sul tema. Il 9 settembre l’Anm ha licenziato un documento molto duro in cui torna su tutte le contestazioni che nell’ultimo periodo la magistratura ha mosso al disegno di legge: dal pericolo di assoggettare il pm alla politica a quello di mutare la faccia del Csm e di ridurre l’obbligatorietà dell’azione penale.

Ad accendere lo scontro con le Camere penali, però, sono stati i passaggi che hanno riguardato l’avvocatura. L’Anm contesta anche «che le proposte di legge da un lato vietano ai pubblici ministeri di diventare giudici, ma dall'altro lato ampliano a dismisura la possibilità di nominare direttamente come giudici “di ogni grado” gli stessi avvocati, senza passare da un pubblico concorso, mostrando così che la questione “separazione delle carriere” viene agitata in modo del tutto strumentale. Difendere una parte privata nel processo costituisce forse maggiore garanzia di imparzialità che perseguire interessi pubblici?».

I penalisti guidati da Giandomenico Caiazza hanno risposto con una nota in cui contestano come «faziose e indimostrate» le critiche al progetto di separazione. In particolare a destare allarme nei penalisti è che «Anm gioca al rialzo, pretendendo di sostenere che la volontà della “Politica” sarebbe in realtà quella di sottoporre indistintamente giudici e pubblici ministeri al proprio indiscriminato controllo», inoltre «la seconda affermazione di inaudita gravità è l’idea della funzione difensiva come “rappresentazione di interessi privati”, che in quanto tale non ha titolo a pretendere parità rispetto alla parte pubblica, cioè al pubblico ministero. Si tratta di uno sproposito giuridico che è strabiliante dover leggere in un documento ufficiale della rappresentanza politica della magistratura italiana». 

Una task force di avvocati a Lampedusa

L’emergenza migratoria riguarda innanzitutto la prima accoglienza, ma anche la tutela dei diritti di chi arriva. Per questo il 28 settembre arriverà a Lampedusa una task force di avvocati europei, guidata dal Presidente del Cnf Francesco Greco. L'obiettivo principale è di fornire assistenza legale e supporto ai migranti più vulnerabili.
Gli avvocati visiteranno l’hotspot di Lampedusa accompagnati dal Procuratore della Repubblica di Agrigento, Giovanni Di Leo, dal Prefetto Filippo Romano e dal Questore Emanuele Ricifari.

«Il tema che vogliamo portare all’attenzione riguarda le condizioni umane in cui i migranti sono costretti a vivere non per scelta, ma per necessità, per fuggire da condizioni di vita drammatiche», ha detto Greco, che guiderà insieme alla presidente dell’Ordine forense di Agrigento Vincenza Graziano la delegazione di dodici avvocati esperti in diritto dell’immigrazione e in diritto d’asilo provenienti da Francia, Spagna, Olanda, Irlanda, Polonia, Grecia e Cipro.

Il disciplinare di Ferri

Il sezione disciplinare del Csm ha rinviato al 19 settembre il procedimento nei confronti di Cosimo Ferri, per i fatti che risalgono all’Hotel Champagne e a quello che è poi diventato il caso Palamara del 2019.

Il 20 luglio scorso la Consulta aveva di fatto riaperto il procedimento a suo carico, che all’epoca dei fatti era parlamentare di Italia viva, annullando la deliberazione con cui la Camera dei deputati aveva negato al Csm l'autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni su Ferri, acquisite attraverso il cellulare di Luca Palamara, ritenendole "frutto di captazioni indirette" e quindi "non utilizzabili". 

Per questo il procuratore generale della Cassazione, Simone Perelli, ha depositato una memoria nella quale si richiede l'inoltro alla Camera dei deputati per una nuova autorizzazione all'uso delle intercettazioni.

La difesa di Ferri, difeso da Antonio Paolo Panella, è stata quella di chiedere la dichiarazione di «radicale inutilizzabilità» delle intercettazioni.

La questione dell'utilizzabilità «non può essere ignorata prima di trasmettere alla Camera la nuova richiesta di pronunciamento: prima la sezione disciplinare deve eccepire la radicale inutilizzabilità delle intercettazioni».

Il rebus intercettazioni 

L’ultimo consiglio dei ministri prima della pausa estiva ha approvato un decreto che ha ridotto la portata degli effetti della sentenza 34985 di Cassazione, che circoscriveva la nozione di criminalità organizzata e l’utilizzo delle intercettazioni dichiarando illegittime le intercettazioni disposte nei confronti di un imputato che non era accusato direttamente di associazione mafiosa, bensì di un reato ad aggravante mafiosa.

Contro il rischio di estendere questa inutilizzabilità e dopo l’allarme lanciato da alcune procure, il governo è intervenuto.

Tuttavia il decreto ha sollevato parecchie critiche, anche in sede di audizione per la conversione: «Questo provvedimento è il più ampio e straordinario allargamento della capacità intrusiva dello strumento intercettativo che sia conosciuto nella storia repubblicana. Non si può travestire come un intervento di armonizzazione», è stato il parere del presidente dell'Unione delle Camere penali, Gian Domenico Caiazza, secondo cui «l'intervento del legislatore per modificare un orientamento giurisprudenziale è un fatto grave».

Opposta la valutazione del procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, secondo cui il dl corrisponde «a esigenze profondamente avvertite dai procuratori che si occupano di criminalità organizzata e terrorismo», che temevano l’impatto della sentenza «su indagini e processi in corso», il decreto «offre una risposta precisa, sottraendo la materia a oscillazioni interpretative che avevamo visto anche in passato».

Al netto delle divergenze tra avvocatura e magistratura, esiste tuttavia un problema di costituzionalità del decreto. «Bisogna capire se si tratta di un'interpretazione autentica, caso in cui andrebbe a invadere l'attività giurisdizionale, se invece è semplicemente una norma innovativa crea problema il fatto che si estende ai processi in corso, violando l'articolo 25, comma 2 della Costituzione. È un punto che il Parlamento deve sciogliere per non incorrere in gravi vizi di incostituzionalità», ha detto Alfonso Celotto, professore ordinario di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Roma Tre.

Il ministro Carlo Nordio, intervenuto in un question time, ha detto che «massima attenzione di questo Governo e di questo Ministero è proprio rivolta al rispetto delle norme che sono state finora approvate e soprattutto alla possibilità di opportuni correttivi per correggere le ambiguità che esistono ancora nella stessa normativa». Ha aggiunto che «stiamo monitorando con grande attenzione queste eventuali violazioni, così come stiamo predisponendo eventuali correttivi per correggere le ambiguità di questa normativa e ci riserviamo di dare dei dati ulteriori e più specifici in seguito».

Saluzzo su procura di Ivrea

Mentre sono in corso le indagini preliminari sul drammatico incidente sul lavoro di Brandizzo, in cui hanno perso la vita cinque operai, il procuratore capo di Torino, Francesco Saluzzo, è intervenuto in modo critico con una nota sulla situazione della procura di Ivrea. La riporto quasi integralmente.

«Motivo e scopo del mio intervento riguardano l'ufficio competente a svolgere le indagini su quanto accaduto. Si tratta della Procura della Repubblica di Ivrea che, nel 2013, sulla base di una scelta infelicissima (pur se nell'ottica di una positiva razionalizzazione dei territori e delle sedi giudiziari), divenne assegnataria di un territorio vastissimo (con connessa popolazione), giungendo a toccare i confini metropolitani della Città di Torino. Circolarono varie ipotesi su interessi (tutti non giudiziari e, ancor meno, razionali o fondati) sul perché si volle far sopravvivere la sede di Ivrea. Ma non è questo il punto. La Procura di Ivrea fu "ingrandita" a dismisura, senza la benché minima dotazione di risorse (personale amministrativo, magistrati, polizia giudiziaria), proporzionate alle nuove competenze, territorio, popolazione, qualità "criminale" del territorio. E i fatti, presto, dimostrarono la peculiarità di quell'area ed il connesso doveroso intervento della Procura», «Anni di disinteresse, da parte di chi avrebbe -e aveva- la competenza e gli strumenti per rimediare, hanno portato quell'ufficio a una vera situazione di collasso. L'ultima gravissima vicenda - quella di Brandizzo (con il suo corollario di centinaia di denunce per inosservanza delle previsioni antinfortunistiche)- potrebbe segnare il "tracollo" definitivo di quell'ufficio giudiziario».

L’attacco al ministero è diretto: «Gli appelli, miei, del Presidente della Corte di Appello di Torino, dei Procuratori della Repubblica di Ivrea (che si sono succeduti) sono stati ascoltati con lusingante benevolenza da tutti gli attori del potere centrale; e sono regolarmente caduti nel nulla. Solo un aumento del numero dei magistrati -peraltro, recente- ha consentito di gestire una parte della mole di affari penali che si riversano su quella Procura. Non tutti, perché l'arretrato è ingestibile e perché se ne forma di nuovo, continuamente e inesorabilmente».

E ancora, «Il dato relativo a quell'ufficio è così clamoroso che, con riguardo a quella particolare struttura di polizia giudiziaria che è "interna" alla Procura (la sezione di polizia giudiziaria), il numero degli addetti e di molto inferiore a quello che è previsto obbligatoriamente per legge. Il che mi ha portato a dire, nei miei numerosi interventi, nelle mie ripetute richieste e segnalazioni, che, quanto alla Polizia giudiziaria, la Procura di Ivrea è in palese situazione di illegalità. Tutte le nostre (collettive, individuali, istituzionali, scritte, "parlate") richieste, sollecitazioni, segnalazioni sono state voci (forse giudicate stridule) in un deserto».

La conclusione di Saluzzo è: «Chi può intervenga. O sopprimendo la sede di Ivrea (e pensare che vogliono riaprire microtribunali che non hanno neppure l'autosufficienza, come l'esperienza dimostra), o ridisegnandone il territorio o dandole dotazioni adeguate ai numeri ed alle esigenze».

Al netto della situazione di Ivrea, il passaggio riguarda anche la recente ipotesi avanzata anche dal ministero della Giustizia di riaprire alcune delle sedi di tribunale periferiche, chiuse con la riforma della geografia giudiziaria del 2012.

La presunzione di innocenza

Durante il question time, il ministro Nordio è intervenuto per dare il dato di quattro procedimenti disciplinari con ipotesi di violazione delle norme sulla cosiddetta presunzione di innocenza, che limitano la possibilità dei magistrati di interloquire con la stampa e assegnano il compito in via esclusiva al vertice degli uffici. «ll monitoraggio è già iniziato. Sono state iniziate alcune azioni disciplinari .Tre su esercizio della procura generale della Cassazione e una dell'Ispettorato» e si stanno «predisponendo correttivi alla legge».

La magistratura onoraria pronta al ricorso

I 60 giorni di tempo concessi dalla procedura europea all’Italia per adeguare la normativa del lavoro per la magistratura onoraria sono scaduti. Nulla, però, è ancora stato fatto.

Per questo la Consulta della magistratura onoraria ha ripercorso «tutte le discriminazioni ancora incidenti sulla categoria, stigmatizzate dall'Unione a luglio, tra cui i livelli retributivi ed il trattamento lavoristico complessivo, lontani dalle condizioni del magistrato professionale, unico soggetto comparabile».

Ha poi chiesto una iniziativa concreta del governo, inserendo nel Nadef «la riforma organica della categoria, con lo stanziamento dei fondi necessari a realizzare la completa riforma, nei termini ribaditi dall'Unione».

In caso contrario, partirà «la richiesta di immediato deferimento dell'Italia alla Corte di Giustizia europea».

Nei giorni scorsi il ministro Nordio aveva definito «inaccettabile» la condizione dei 5mila giudici onorari che «tengono in piedi il sistema, e oramai fanno le stesse cose che fanno i giudici togati». Nordio ha detto che «nella prossima legge di bilancio sarà inserita una disposizione che porrà una disciplina sia retributiva sia previdenziale nei confronti dei giudici onorari che sarà quanto meno decorosa, le risorse finanziarie sono quelle che sono ma abbiamo avuto rassicurazioni dal ministro Giorgetti che saranno trovate le risorse necessarie».

I bandi di Cassa forense a sostegno degli studi legali

Cassa Forense ha stanziato due bandi, per un totale di 500 mila euro, per sostenere la riorganizzazione degli studi legali.

Un bando da 200 mila euro è rivolto a studi che fanno capo a persone fisiche, uno da 300 mila invece è destinato agli studi legali che fanno capo a persone giuridiche e la scadenza è fissata per il 30 novembre 2023.

Il contributo versato da Cassa forense riguarderà fino al 50 per cento della spesa complessiva al netto dell’Iva e per un importo massimo di 5000 euro. Le spese rimborsabili riguardano software, costi di formazione e per l’adozione di modelli organizzativi per lo studio. La priorità per ottenere il contributo per le persone fisiche è per chi è in regola con i contributi e la graduatoria è inversamente proporzionale all’ammontare del reddito per l’anno 2022. Per le persone giuridiche, invece, i contributi saranno erogati con priorità cronologica di presentazione della domanda.

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