Aggiornamento 14 settembre 2023: Gratteri è stato nominato procuratore capo di Napoli.


Il fermento è palpabile sull’asse Roma-Napoli. A palazzo dei Marescialli, domani il plenum del Csm deciderà sulla nomina del nuovo capo della procura del capoluogo campano: una sede ambita e difficile, il cui candidato favorito è il pm Nicola Gratteri, volto noto e profilo divisivo anche all’interno della magistratura.

Sulla carta, la nomina è più che probabile. Gratteri, infatti, ha passato tutta la carriera ad occuparsi di reati di mafia, negli ultimi sette anni come procuratore capo a Catanzaro, e dunque ha il profilo e l’anzianità per ambire al ruolo.

Già al primo vaglio in Quinta commissione per gli Incarichi direttivi ha ottenuto 4 voti su sei, catalizzando le preferenze di Magistratura indipendente, dell’indipendente Andrea Mirenda e dei laici di Fratelli d’Italia e di Italia Viva, lasciando Area a sostenere la procuratrice aggiunta che attualmente sta guidando la procura come facente funzioni, Rosa Volpe e Unicost con il procuratore capo di Bologna, Gimmi Amato.

Se nulla cambierà, Gratteri dovrebbe contare sui voti dei 7 togati di Mi, di Mirenda, dei 6 laici di centrodestra più quello di Italia Viva. Tuttavia, la nomina travalica le dinamiche tra gruppi associativi, da cui il procuratore calabrese è sempre rimasto estraneo.

Sulla carta la scelta del Csm è quasi obbligata, con una coincidenza diabolica: Gratteri è tra i magistrati più noti d’Italia per il contrasto alla criminalità organizzata e nel 2022 ha concorso per la guida della Procura nazionale antimafia. In quel caso, però, in uno scontro sul filo dell’ultimo voto, il Csm gli ha preferito proprio l’allora procuratore di Napoli, Giovanni Melillo.

Il clima a Napoli è già di grande fermento in attesa dell’arrivo del nuovo procuratore, soprattutto se sarà Gratteri. Del resto, lo stesso procuratore di Catanzaro ha chiarito in audizione davanti alla commissione del Csm i suoi obiettivi per la procura partenopea: portare il “modello Catanzaro”, «moltiplicato per tre perché Napoli è tre volte più grande», dando motivazione all’ufficio e coinvolgendo tutti, anche i magistrati in tirocinio, che a Catanzaro ha applicato con cointestazioni a pratiche rilevanti come quelle delle misure di prevenzione.

«Per fargli sentire l’odore della Dda e capire cosa è la ‘ndrangheta», ha detto al Csm. Poi ha spiegato il suo metodo di lavoro, con ingresso in procura alle 8.15 del mattino e uscita serale, con la porta dell’ufficio sempre aperta ma controllo sui colleghi: se un magistrato non viene in ufficio deve mettersi in ferie, perché il pm non si può fare da casa ma serve un costante collegamento con la polizia giudiziaria.

Del resto, questo è stato il sistema che Gratteri ha applicato in Calabria, dove si è distinto per una forte capacità accentratrice del lavoro ma anche per aver portato avanti un modello di lavoro mutuato dalla stagione delle indagini di Dna dei primi anni Duemila.

L’imprinting è quello delle grandi inchieste, scenografiche per numero di arresti e dispiegamento di forze, ma costruite con il metodo investigativo di riunire in un unico quadro più ipotesi di reato, con l’obiettivo di ricostruire un sistema criminoso. Inchieste che, però, spesso hanno subito poi ridimensionamenti in dibattimento.

Lo stato della procura

Se la nomina andasse in porto, sarebbe certamente una scossa per la procura di Napoli. Positiva per alcuni, negativa per altri a seconda degli orientamenti interni dopo più di un anno di interregno sotto la guida di Volpe, candidata alla successione e attuale facente funzioni. Gratteri porterebbe infatti un cambio di paradigma rispetto a Melillo, cui viene riconosciuta una gestione meticolosa dal punto di vista processuale ma prudente.

L’attuale procuratore antimafia, infatti, ha lasciato di sé il ricordo di magistrato estremamente preparato quanto cauto, ottimo organizzatore e capace di delegare, attento alle dinamiche interne e ai rapporti con l’avvocatura e poco incline alla mediatizzazione. L’opposto dell’impetuosità accentratrice di Gratteri, messa in luce anche nel confronto tra i due in sede di nomina alla procura antimafia.

Da anni, del resto, la procura di Napoli è stata capace di creare ottime sinergie nella gestione di crimini contro la persona e in particolare di violenza sulle donne, l’applicazione del Codice rosso, ma ha smesso di essere al centro della scena giudiziaria. Un dato, questo, che viene registrato soprattutto da ambienti di polizia giudiziaria, applicata sempre meno ad indagini ad ampio raggio sulla cosiddetta borghesia mafiosa o su partite economiche legate agli appalti.

Eppure, viene fatto notare sia da ambienti di procura che dell’avvocatura, «Napoli non è Catanzaro». Fuor di metafora, il contesto napoletano è molto più complesso per dimensioni di quello calabrese: oltre 100 sostituti, ma soprattutto un ufficio del riesame con una trentina di giudici, molto autonomo nel vaglio sull’attività dei pm e poco incline a condizionamenti anche nel caso di maxi retate ad alto impatto mediatico.

Il rischio riportato da fonti interne è di «aprire un conflitto dentro la procura, dove oggi regna armonia». Una quota dell’ufficio, infatti, rigetta l’immagine di poca produttività e preferirebbe la soluzione interna con la conferma di Volpe. Se il Csm invece optasse per il papa straniero, il metodo di lavoro cambierà, accendendo un riflettore sulla procura.

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