Il presidente americano Joe Biden ha fortemente voluto il Summit delle Democrazie tenutosi la scorsa settimana via web. E la sua amministrazione ha deciso chi poteva essere ammesso e chi no al prestigioso incontro. 

Vista l’ampia partecipazione - 110 paesi - le maglie per accedere all’olimpo delle democrazie erano molto, troppo larghe. Il ché riguarda anche chi ha organizzato l’evento.

Il cahier des doléances nei confronti della democrazia americana è lungo, e riguarda tanto il passato quanto il presente. Se abbiamo escluso per decenni – e giustamente – il Sud Africa dal novero delle democrazie nonostante il suo sistema politico “bianco” funzionasse perfettamente secondo il modello anglo-olandese, altrettanto dovremmo fare per gli Stati Uniti per un lungo tratto della sua storia:  anche dopo la guerra civile, entrarono in vigore le  famigerate leggi “Jim Crow”, norme locali che segregavano di fatto i neri in tutta la loro vita pubblica, fino a vietare matrimoni misti (emblematico il film Indovina chi viene a cena, dedicato al persistere di queste difficoltà e dei relativi pregiudizi, ancora nel 1967); e la Corte suprema, nel 1896, dichiarò costituzionale la segregazione razziale con l’ipocrita dizione “separati ma eguali”.

James Q. Whitman, professore alla Yale University, nel suo  Hitler's American Model: The United States and the Making of Nazi Race Law (Princeton University Press) sostiene che le Leggi di Norimberga contro gli ebrei furono esplicitamente ispirate al modello segregazionista americano.

Il passato può essere scomodo per tanti, e pochissimi – i paesi del Nord Europa e la Svizzera - possono lanciare pietre a viso scoperto.

Infatti gli Stati Uniti hanno incominciato ad emendarsi, lentamente e faticosamente dal loro passato, con il Civil Rights act del 1964 e il Voting Rights act del 1965, promulgati da Lyndon Johnson. Per arrivare poi all’apoteosi dell’elezione di Barack Obama .

Ora il futuro della democrazia americana torna ad essere cupo. L’assalto a Capitol Hill per impedire la proclamazione di Joe Biden, lo scorso gennaio, non si può archiviare come una carnevalata. La regia e la complicità diretta e indiretta del presidente Donald Trump in quegli eventi rappresentano uno sfregio alle istituzioni mai visto in un paese democratico; solo il putsch dei generali francesi ad Algeri, nel 1958, ha tratti simili, benché in un contesto del tutto diverso.

I repubblicani continuano a minare le fondamenta del diritto di voto, togliendo ai funzionari pubblici il controllo delle procedure elettorali per assegnarlo ai politici di provata fede trumpiana, riducendo l’accesso al voto delle minoranze etniche, in prevalenza  democratiche, e ridisegnando le circoscrizioni elettorali a loro piacimento per favorire il partito.

Poiché non esiste alcun ufficio federale che sovraintende alle elezioni tutto è nelle mani dei governatori e dei legislatori dei singoli stati, in gran parte repubblicani. La riscossa trumpiana è già iniziata. Gli Stati Uniti farebbero meglio a far ordine in casa loro prima di brandire la bacchetta da maestrini.

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