Chiediamo alle istituzioni di fare quanto non hanno fatto finora: garantire davvero che siano applicate misure di contenimento per gli ospiti delle strutture

Sono i più vulnerabili. La loro vita, il loro diritto alla salute, dovevano essere protetti fin dal principio. Sono gli anziani residenti nelle case di riposo, comunità chiuse dove era prevedibile che, in assenza di misure adeguate a fronteggiare l’emergenza sanitaria, i contagi e i decessi avrebbero potuto essere numerosi. E lo sono stati, perché nonostante la necessità di tutelare la popolazione fragile di queste strutture fosse da subito evidente e riconosciuta dalle istituzioni internazionali e nazionali, ben prima che al loro interno iniziassero a moltiplicarsi i focolai, è stata dimenticata. A oggi sono tanti i letti lasciati vuoti dai residenti deceduti; tantissimi gli anziani le cui capacità cognitive, la cui salute psichica e fisica sono gravemente deteriorate e in molti casi irreparabilmente compromesse.

Problemi pregressi

Hanno pagato il prezzo più alto dell’emergenza sanitaria, determinato dalla letale combinazione dei problemi cronici che affliggono questo sistema, acuiti dalla pandemia e dalla mancata tempestività con cui le istituzioni hanno applicato misure per il contenimento del virus – spesso con grande ritardo rispetto alle iniziative adottate per la gestione dell’emergenza Covid-19 negli ospedali, dalla mancanza di direttive uniformi che caratterizza ancora oggi le policy relative, per esempio, a tamponi, visite, contatti di qualità con l’esterno.

Sono stati «abbandonati», come titola il rapporto di Amnesty International Italia, che ha raccolto 87 interviste tra famigliari, operatori sanitari, direttori, organizzazioni che rappresentano le strutture, giornalisti ed esperti, rilevando le criticità che hanno condotto alla violazione dei diritti umani degli ospiti e degli operatori. Di questo si tratta: del diritto alla vita, alla salute, alla non discriminazione.

A oltre 12 mesi dalla dichiarazione dello stato di emergenza alcuni passi avanti sono stati fatti, ma sono ancora molti gli aspetti critici e i punti di allarme. Molti lavoratori e famigliari ci hanno raccontato che alla seconda ondata si è giunti nuovamente impreparati.

Permane la disomogeneità nella frequenza con cui vengono eseguiti i tamponi; resta inascoltata in molti luoghi la circolare del ministero della Salute con cui, a fine novembre, veniva indicata la necessità di individuare, qualora fosse impossibile garantire visite, modalità per assicurare contatti affettivi di qualità, riconoscendo i gravi danni prodotti sulla salute dei residenti da un isolamento prolungato. Per questo chiediamo alle istituzioni di fare quanto non hanno fatto fino a ora: garantire davvero che siano applicate misure per il contenimento del virus e per la promozione della salute degli ospiti di queste strutture.

Non solo: non esiste un database pubblico e accessibile che consenta di avere una fotografia puntuale di ciò che avviene all’interno delle case di riposo, indispensabile affinché organizzazioni non governative e media possano svolgere la loro funzione di watch dog e per consentire a chi di competenza di individuare possibili soluzioni e elaborare proposte.

Domandiamo che questa lacuna sia colmata quanto prima, mettendo a disposizione della comunità tutta dati disaggregati che forniscano una lettura completa del sistema relativo alle case di riposo sul territorio nazionale e di quanto accade al loro interno, anche per il personale. Mentre il tempo scorre, cresce la preoccupazione che non si arrivi a individuare le responsabilità di quanto accaduto. Vogliamo l’avvio di un’inchiesta indipendente, per essere certi che sia fatta luce sui fatti, accertate le responsabilità e che gli stessi errori non si ripetano.

 

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