È un enfant prodige della politica. Vuol piacere a destra e sinistra. Gli artifici della comunicazione rientrano tra le sue doti, oltre a quella di muoversi con arguzia. Non è Emmanuel Macron, anche se per molti versi ne è una copia. Ma Gabriel Attal, il nuovo primo ministro francese, è per il sistema di potere macroniano un elisir di giovinezza, e non solo perché nessuno prima di lui in Francia era arrivato così in alto a soli 34 anni.

Il fatto è che a lui – il politico più popolare del paese per Ipsos – spetta ora il compito illusionistico di riportare i francesi ai miraggi del 2017, quando ancora Macron era riuscito a illuderli che sarebbe stato lui l’argine all’estrema destra, fagocitando pezzi di destra e sinistra dentro il suo nuovo polo di attrazione. Non a caso, nel conferirgli l’incarico, Macron invoca «fedeltà allo spirito del 2017», per poi alludere a un «progetto di riarmo e rigenerazione».

La grande illusione deve durare abbastanza da preservare una dignità elettorale ai macroniani alle europee di giugno, e se possibile deve far strada fino alle prossime presidenziali. Come delfino, Macron ha scelto un Macron 2.0. C’è qualcosa di gattopardesco, nel cambio ai vertici di governo: serve perché nulla cambi.

L’acchiappa-tutto

Attal proviene da un contesto agiato e comincia a far politica da adolescente, nel partito socialista, per poi approdare a En Marche nel 2016. Il passato nel centrosinistra contribuisce a farne il papabile Macron del futuro: come ha spiegato a Domani il direttore di ricerca di Ipsos France, «Attal è carismatico e così poco ideologico da non essere inteso né come di destra né di sinistra».

L’osservazione di Mathieu Gallard è corroborata dai dati che ha raccolto: non si tratta solo del fatto che il 2023 si sia concluso con Attal in testa per popolarità, ma pure della composizione di questo successo. L’ascesa vale tanto tra gli elettori di estrema destra, che di sinistra o moderati. Nel bacino del Rassemblement National, il gradimento per Attal è passato dal 20 per cento della primavera 2021 al 30 per cento di fine anno. Nella destra dei Repubblicani, dal 28 al 64 per cento, nello stesso arco di tempo. A sinistra, dal 23 al 33. Tra i macroniani, dal 65 al 78.

Attal è per Macron la migliore promessa di replicare la dinamica attrape-tout («acchiappa-tutto») che con lui agli esordi ha funzionato, e che è stata compromessa da forzature illiberali e derive destrorse. Dopo la legge sull’immigrazione, nessuno crede più che Macron sia un argine a Le Pen. Dopo la riforma sulle pensioni e gli attacchi a clima e stato sociale, che lui non sia di destra è un’illusione. Illusione che Attal promette di ricreare.

Il passaggio da Borne, che si è dimessa lunedì, al nuovo premier, non è che una staffetta tra fedelissimi: lei si era fatta carico delle scelte impopolari, lui arriva per tentare la rimonta. Da Macron 2.0 quale è, evoca libertà di impresa e potenziali da ritrovare; dice di voler «riprendere il controllo del nostro destino» ammiccando così anche alla narrativa delle destre.

Lo stile acchiappa-tutto è la cifra di Attal anche nella formidabile carriera politica. È stato deputato, sottosegretario, portavoce, ministro dell’Educazione nazionale; a 29 anni era già in un governo, a 34 ne guida uno. Si è fatto strada stringendo con chi conta, da Nicolas Sarkozy ai Macron (Emmanuel ma pure Brigitte).

Nel 2017 ha siglato un’unione civile con l’uomo che all’epoca era il consigliere più stretto di Macron e il suo papabile delfino, Stéphane Séjourné. Il rapporto era stato tenuto sotto traccia, ma nel 2018 a furia di spifferi è diventato pubblico. All’epoca i due erano «allineati come un giardino alla francese», per dirla con Grégoire Biseau.

Nel corso degli anni, Séjourné ha perso influenza, Attal ne ha conquistata. Oggi Séjourné guida il partito macroniano e il gruppo liberale all’Europarlamento; si prepara a far da capolista alle europee. Attal è premier, e quelle europee deve salvarle ai macroniani. Gli equilibri interni sono cambiati, ma per difendere il regno macroniano restano tutti allineati.

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