Duri con un’innocente fino a prova contraria – perché l’iter processuale per Ilaria Salis è in corso – eppure morbidissimi con Vladimir Putin.

Nelle ultime ore due esponenti del governo orbaniano – il ministro degli Esteri Péter Szijjártó e Zoltán Kovács, il portavoce internazionale – hanno inasprito il clima sul caso Salis, tuttora detenuta a Budapest, prendendo a strattoni i media italiani – e indirettamente pure il governo Meloni – e dando duri giudizi prematuri: «Questa signora, presentata come una martire in Italia, è venuta in Ungheria con un chiaro piano per attaccare persone innocenti per le strade come parte di un'organizzazione di sinistra radicale».

Szijjártó, con Kovács a fargli da megafono, ha già stabilito colpe, crimini e intenzionalità; ciò mentre respinge le accuse di Bruxelles di mancata indipendenza della magistratura e controaccusa l’Italia di voler «interferire».

Putiniani di governo

Vale la pena inquadrare i due personaggi.

Il ministro degli Esteri Szijjártó è, tra tutti i membri del governo Orbán, il più smaccatamente legato al Cremlino. Lo era prima dell’aggressione russa contro l’Ucraina, ma lo è rimasto dopo, come dimostra il perseverare dei suoi viaggi a Mosca e delle sue strette di mano.

A dicembre del 2021 Szijjártó ha ricevuto dal suo omologo russo Sergej Lavrov una medaglia onorifica, segno tangibile di amicizia. E se non bastasse la medaglia, l’atteggiamento amichevole del ministro verso Mosca si era già visto dalla sua tolleranza: gli hacker vicini al Cremlino avevano infatti bucato i sistemi informatici del suo ministero, compreso materiale riservato: una porta (informatica) spalancata sull’Ue. Un mese prima dell’invasione dell’Ucraina, gli attacchi erano ancora in corso; Szijjártó sapeva che il ministero era nel mirino da tempo, e sul finire del 2021 era palese che i russi lo avessero del tutto compromesso. Sarà per questo che a dicembre di quell’anno Szijjártó è stato festeggiato dai russi con tanto di medaglia?

Quando la guerra è iniziata, il ministro ha continuato imperterrito a recarsi al Cremlino. Per fare un esempio, era lì l’11 aprile 2023, a negoziare sulla nuova centrale nucleare. Mercoledì sera il Tg1 ha dato spazio a Péter Szijjártó – ora Pd, verdi e sinistra su questo danno battaglia – e pure in questo contesto – ad esempio nelle dichiarazioni su Navalny – è trapelata la sua indulgenza verso Mosca.

Zoltán Kovács non si occupa tanto delle trasferte quanto delle versioni da dare. È uno dei grandi propagandisti dell’autocrate ungherese. Non è solo una questione di incarichi, anche se Kovacs ha pure quelli: è segretario di stato alla comunicazione internazionale, e da portavoce gestisce i rapporti con la stampa estera.

Ma fa di più: contribuisce attivamente a costruire la realtà parallela orbaniana. È sua ad esempio l’iniziativa di un podcast in lingua inglese, The Bold Truth About Hungary, ed è lui che contribuisce alla strategia di presentare l’Ungheria di Orbán come esemplare per le destre internazionali. E se il premier è filorusso, lo diventa pure il suo megafono per eccellenza, Kovács.

Valga come esempio questo: nel giorno delle elezioni ungheresi di aprile 2022, mentre le immagini di Bucha facevano il giro del mondo, Kovács, intervistato da Domani, non esitava a invocare «rapporti normali» con Mosca.

Incendiare il clima

Kovács era stato il primo – in vista dell’incontro tra Orbán e Meloni, alla vigilia dell’ultimo Consiglio europeo – a scagliarsi contro Salis. Ora ci si mette con il ministro.

«Le dichiarazioni di Szijjartó sono una palese interferenza con la magistratura ungherese», ha commentato Roberto Salis, padre di Ilaria. Le tensioni sono state alimentate via social dai due fedelissimi di Orbán subito dopo l’incontro di mercoledì tra il ministro degli Esteri ungherese e quello italiano.

Tutto ciò con lo stupore che filtra informalmente dalla Farnesina visto che durante l’incontro pare che Szijjártó non avesse affatto alzato i toni sul caso. Lo ha fatto subito dopo, tramite Kovács, seguendo la propaganda orbaniana di demonizzazione di Salis e della «sinistra radicale»; c’è stato pure un j’accuse video. Intanto dalle parti dell’ambasciata ungherese a Roma venivano trovate scritte come «Ilaria muori» accompagnate da croce celtica.

Mentre Antonio Tajani chiarisce che «non c’è stata nessuna interferenza» dall’Italia e la segretaria dem Elly Schlein denuncia «un atteggiamento timido imbarazzante» del governo Meloni, intanto gli scagnozzi governativi di Orbán danno strattoni.

Dalle parti dei Fratelli d’Italia di Bruxelles fanno intendere fuori microfono che gli strattoni non riguardano i negoziati sull’ingresso di Fidesz nei Conservatori europei: clima rasserenato, su questo.

La Farnesina dal canto suo – con il popolare europeo Tajani – aveva sì presentato «un promemoria sulle condizioni detentive di Salis», ma pare non intendesse innescare crisi.

Ha spiegato a Domani il deputato della sinistra ungherese András Jámbor che dalle parti di Orbán «scatenano campagne di diffamazione e odio nei confronti della sinistra».

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