La campagna elettorale del Movimento 5 stelle in vista delle europee rischia di essere più in salita di quella degli altri partiti. E la ragione sta nel modo in cui il presidente Giuseppe Conte ha strutturato il partito dopo l’accordo raggiunto con Beppe Grillo nel 2021.

I grillini si devono confrontare oggi con i limiti in cui li costringe l’organigramma verticistico voluto dall’ex premier. Personalizzando a più non posso, il Movimento è diventato il partito di Conte. Una circostanza che lo rende riconoscibile nelle elezioni politiche, ma che mostra le proprie debolezze ogniqualvolta a guidare la corsa non è il leader.

Le elezioni europee sono uno di quei casi. Conte ha scelto di non candidarsi. «Per rispetto e trasparenza, io non posso dire votatemi per andare all’Europarlamento perché poi non ci andrei» ha detto l’ex premier. Sarebbe stato difficile far digerire una scelta diversa da questa – presa anche in contrasto con la segretaria dem Elly Schlein, da tempo in odore di candidatura – al popolo grillino, ancora ancorato ai valori anticasta dei tempi della fondazione.

Contemporaneamente, però, questa decisione complica la corsa del M5s, che potrà sfruttare la forza trainante di Conte solo in termini di fotografie da stampare sui manifesti. L’altra conseguenza dell’estrema personalizzazione del partito è l’impossibilità di creare una classe dirigente identificabile nei gruppi parlamentari e negli, ormai numerosi, organi strutturali tematici e territoriali inaugurati da Conte negli anni.

Una circostanza che, combinata con lo scarso appeal che il Movimento esercita di questi tempi sulla società civile, ha messo in grossa difficoltà la squadra di via di Campo Marzio. Che mercoledì sera ha anche prorogato i termini delle autocandidature degli iscritti per permettere a tutti i tribunali di fornire i casellari giudiziari richiesti.

La ricerca dei nomi

A oggi sembra ormai sfumata la candidatura del direttore della Notizia Gaetano Pedullà. E anche il nome dell’ex direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, è ormai associato al Pd. Per il momento i Cinque stelle hanno schierato il padre del reddito di cittadinanza Pasquale Tridico al Sud e Giuseppe Antoci, campione dell’antimafia corteggiato in passato anche dai dem, nelle Isole.

Il tempo per renderli noti al grande pubblico, che soprattutto nella circoscrizione Sud il Movimento può ancora aspirare ad avere, è poco. Ma soprattutto è pochissimo il tempo per presentare i candidati delle circoscrizioni settentrionali e di quella del Centro, dove sono molti di più i dubbi che le certezze.

Per Nord est e Nord ovest le speranze dei Cinque stelle sono ridotte al lumicino: il settentrione non è mai stato terreno di caccia del Movimento, con l’eccezione di qualche partita specifica come quella di Torino nel 2016.

Circolano però, con una certa insistenza per il ruolo di capolista, i nomi delle europarlamentari uscenti Sabrina Pignedoli, che ha organizzato con il fondatore un appuntamento sul reddito universale a Bruxelles per metà mese, e Maria Angela Danzì, che era subentrata a Eleonora Evi.

Resta il Centro, dove la situazione è più problematica. Soprattutto per l’ingombrante presenza di Virginia Raggi. Il suo nome continua a essere nell’aria anche in questa occasione. Si tratterebbe però, virtualmente, del quarto mandato per l’ex sindaca di Roma, una situazione a cui difficilmente Grillo, nonostante gli ottimi rapporti con Raggi, potrà dare il proprio consenso.

Con un gradimento quasi pari a quello dell’ex premier, Raggi rischia anche di mettere in difficoltà Conte. Se venisse candidata farebbe il pieno di preferenze nel Centro Italia e Bruxelles le offrirebbe un palcoscenico più ampio per mettersi in evidenza. Forse anche per questo, al momento, non è un nome spendibile per il Movimento.

Certo, la rinuncia è resa ancora più dura dalla candidatura dell’anti Raggi, Ignazio Marino, che ha annunciato la sua discesa in campo con Avs. Ma per Conte oggi è più che mai cruciale far parlare di sé.

La polarizzazione sempre più accentuata della campagna elettorale tra Schlein e Giorgia Meloni lo ha praticamente tagliato fuori dal dibattito politico.

Poteva essere l’occasione di scartare e proporre una propria campagna basata sui contenuti. Ma i suoi temi non sfondano, e anche una certa idea di pacifismo, vedi il dibattito sulla candidatura di Tarquinio, è ormai appannaggio esclusivo dei dem.

La politica estera resta comunque il cavallo di battaglia del M5s che potrebbe orientare anche la ricerca del capolista per il Centro. C’è chi evoca il pacifismo cattolico ripensando a quando, durante l’elezione del presidente della Repubblica, Conte aveva lanciato il nome di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Anche in questa occasione, il presidente potrebbe tornare ad attingere a quel mondo.

Certo, con una credibilità diversa, considerato che, da ex premier, difficilmente può contestare apertamente le decisioni della Nato sugli stanziamenti a favore di Kiev. Tanto di guadagnato per Michele Santoro e gli altri pacifisti. Infine c’è chi segnala con malizia il basso profilo di Rocco Casalino, lo spin doctor che non ha mai nascosto la propria ambizione di correre alle elezioni.

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