Non è una festa, è uno sciopero e, come ogni sciopero, vuole disturbare, creare un vuoto per dimostrare la mole di lavoro non vista che ogni giorno le donne svolgono: lavoro professionale e lavoro di cura, non pagato.

«Scioperare l’8 marzo significa trasformare la potenza del 25 novembre (la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ndr) in blocco della produzione e della riproduzione, attraversando i luoghi dove la violenza patriarcale si esercita ogni giorno: nelle case e sui posti di lavoro, nelle scuole e nelle università, nei supermercati e nei luoghi di consumo, nelle strade e nelle piazze, in ogni ambito della società», ha scritto Non una di meno nell’indire lo sciopero.

«Distruggete il patriarcato, non il pianeta», «Giù le mani dai nostri corpi», «Non è un caso isolato, è patriarcato», «L’8 marzo tutto l’anno», sono alcuni dei cartelli sventolati per le vie di Roma. È il primo corteo dopo quello dello scorso 25 novembre partecipato da oltre 500mila persone, scese in piazza a pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin.

Ma a differenza della giornata contro la violenza, quando da tutta Italia le persone erano confluite a Roma e Messina, ieri i cortei erano previsti in tutte le città: a Roma, in migliaia si sono radunate al Circo Massimo, luogo di partenza del corteo, che ha attraversato viale Aventino per arrivare a Trastevere. Anche a Milano, Padova, Verona, Trieste, Palermo, Catania, Rimini, Brescia e molte altre città sono state organizzate manifestazioni.

Non fiori, ma welfare

A Pisa la Giornata internazionale delle donne è iniziata con l’occupazione simbolica del comune, «durante una ridicola cerimonia di distribuzione delle mimose alle dipendenti donne», scrive il gruppo territoriale di Non una di meno, che ha definito «pinkwashing» le iniziative organizzate dall’amministrazione. «Non fiori ma welfare», hanno scritto sugli striscioni srotolati dalle balconate del municipio.

Si chiedono presidi di sanità nei quartieri, consultori pubblici, case popolari e case rifugio, asili nido, biblioteche e molti altri servizi e garanzie che formano il sistema sociale, che pian piano i governi stanno smantellando. Dall’altro lato, la richiesta è di interrompere gli sgomberi degli spazi femministi, la privatizzazione dei servizi, di eliminare le barriere architettoniche e la militarizzazione nelle scuole.

La marea di pañuelos fucsia, i fazzoletti di stoffa simbolo di lotta delle donne, si è poi spostata davanti alla sede del Tirreno e della Nazione, le principali testate giornalistiche della città, per protestare contro «le narrazioni tossiche e una cultura dello stupro che morbosamente indaga i nostri femminicidi e le violenze che subiamo», spiega il movimento. Una narrazione che porta alla colpevolizzazione delle donne e al ridimensionamento della figura dell’uomo violento.

Contro il patriarcato

«I tre gusti del gelato al sapore di patriarcato», recitava uno dei cartelli esposti a Roma, alludendo alla campagna lanciata dal comune di Genova e dalla regione Liguria di nuovi gusti di gelato dedicati alle donne, «per accendere i riflettori sulla parità di genere». Mentre la Francia pochi giorni fa ha inserito per prima al mondo il diritto all’aborto nella Costituzione, fanno notare le piazze, in Italia si dedicano gusti di gelato e i politici si fanno fotografare mentre regalano le mimose alle donne.

I movimenti contestano le politiche del governo che trattano la violenza maschile sulle donne come un problema securitario: inaspriscono le pene, ma non vengono finanziati centri antiviolenza, non viene garantito il diritto all’aborto né la salute sessuale e riproduttiva, vengono chiusi i consultori pubblici o sgomberati quelli autogestiti. Politiche definite «sessiste e razziste» perché spingono donne «bianche e italiane a fare figli per la patria, quando una madre su cinque è costretta a lasciare il posto di lavoro dopo il primo figlio» e «le famiglie omogenitoriali vengono discriminate e attaccate».

Durante le settimane che hanno preceduto l’otto marzo sono poi stati affissi in diverse città, tra cui Roma e Pisa, manifesti di Pro vita & famiglia: tra questi, denuncia il gruppo di Pisa Obiezione respinta, uno recitava «9 biologi su 10 mi riconoscono come essere umano e tu?» A parlare era un feto. «Una delle numerose azioni», dice durante il corteo l’associazione, «portate avanti negli ultimi anni da Pro vita e famiglia contro i nostri diritti fondamentali».

I femminicidi

Non una di meno ha pubblicato i dati aggiornati dell’Osservatorio indipendente sui femminicidi: in poco più di due mesi, ha registrato 19 femminicidi, un suicidio e 5 morti in fase di accertamento indotte o sospette indotte da violenza di genere e patriarcale. Almeno 7 i tentati femminicidi rilevati. La più giovane tra le vittime aveva 19 anni, la più anziana 89. In due di questi casi i figli minori hanno assistito al femminicidio, e 10 sono rimasti orfani di madre. Una persona, tra le vittime, era una sex worker.

E, tra i paesi di origine, oltre all’Italia, ci sono Brasile, Polonia e Romania. La maggior parte degli autori di reato era partner o ex partner. Secondo i dati del ministero dell’Interno, aggiornati al 3 marzo, sui 60 omicidi commessi dall’inizio dell’anno, sono 20 le vittime donne, di cui 18 uccise in ambito familiare-affettivo. Tra queste, il Viminale conta 8 femminicidi per mano dell’ex partner o del partner.

Sostegno alla Palestina

All’avvio del corteo a Roma, le donne con lo scotch nero sulla bocca hanno voluto denunciare «la censura della televisione pubblica» di «chiunque voglia parlare di genocidio in atto», hanno detto. Le manifestanti e i manifestanti del corteo studentesco di Milano hanno attaccato noti brand della moda, come Emporio Armani e Zara, e ancora Starbucks, Carrefour e McDonald’s, che sono accusati di sostenere Israele.

La scuola di Valditara

"Sta arrivando l'onda alta", ci sono le precarie della scuola ad attendere il corteo transfemminista di Non una di Meno a Roma, sotto la sede del ministero dell'Istruzione a Trastevere, cantando la canzone di Dargen D'Amico. "Proroga assunzioni o rivoluzione", il grande striscione di Non una di Meno. "Non vogliamo una scuola del merito. Siamo qui contro la violenza, per una scuola laica. Contro la scuola omofoba e machista di Valditara. Dove non si può parlare nemmeno delle donne palestinesi, uccise da Israele", dicono sfilando. E tra i manifestanti parte nuovamente il coro "Palestina libera, stop al genocidio". Arrivando a Trastevere, slogan e manifesti per la Palestina anche sul Cinema Troisi.

Le linee guida del ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, dice Non una di meno, «riproducono un sapere patriarcale e coloniale» e, chiedendo una scuola orientata al consenso, al piacere e all’affettività, sottolinea come la scuola del merito trasformi il diritto allo studio in privilegio per pochi e per poche. E denuncia la precarietà delle condizioni di lavoro di insegnanti, ricercatori e ricercatrici. Davanti agli uffici comunali di Milano, è stato poi portato il tema delle carriere alias, che permettono agli studenti e alle studentesse di modificare, nelle scuole e nelle università, il nome anagrafico con il nome scelto secondo l’identità di genere. Se viene garantito il diritto, il nome viene cambiato nel registro elettronico e in tutti i documenti interni all’istituto, che non hanno valore ufficiale.

“Lotto marzo” nel mondo

Una giornata di sciopero e di lotta per i diritti che unisce movimenti femministi di tutto il mondo, dei cinque continenti. Una mappa interattiva, pubblicata dal movimento che ha organizzato le manifestazioni in tutta Italia, Non una di meno, mostra le locandine delle manifestazioni dagli Stati Uniti al Perù, passando per la Bolivia, in Cile, Brasile, Colombia, Venezuela e Messico, come nel resto del Centroamerica.

E poi in Kenya, in Liberia, in Senegal, alle Canarie e in tutti i paesi europei. In Asia, sono stati organizzati eventi in Kazakistan, Pakistan, Thailandia, Indonesia, Taiwan e Filippine. E infine, diverse manifestazioni in Australia.

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