I curdi sono di nuovo nell’occhio del ciclone in medio oriente, schiacciati tra arabi, turchi e iraniani. A Kirkuk, nel nord dell’Iraq, si gioca una partita importante per la tenuta della maggioranza di governo a Baghdad. In poche settimane si è giunti sull’orlo di una nuova guerra civile tra arabi e curdi.

La crisi è iniziata quando il primo ministro iracheno Mohammed Shia al Sudani, ha deciso a fine agosto di far evacuare il comando operativo dell’esercito iracheno per restituire l’edificio al Pdk, il partito al governo nella regione autonoma del Kurdistan iracheno. Tale decisione ha risvegliato le paure etniche in una città storicamente contesa e ricca di petrolio, che le forze governative avevano strappato ai curdi solo pochi anni fa.

La scelta è legata alle complesse dinamiche interne che hanno richiesto il sostegno del Pdk per la formazione del governo nazionale a Baghdad nel 2022, dopo una fase di grande tensione tra partiti sciiti in cui i seguaci di Muqtada al Sadr avevano avuto un ruolo dirompente. La decisione di al Sudani ha suscitato il timore che i peshmerga possano tornare in forze a Kirkuk, dopo esserne stati allontanati nel 2017 dall’esercito iracheno.

Le radici

La polemica è vecchia: nell’area c’è stata negli anni Settanta e Ottanta una politica di arabizzazione forzata, con molti contadini curdi cacciati e sostituiti da coloni arabi provenienti dal centro del paese. Nel 1957 i curdi costituivano il 48 per cento della popolazione di Kirkuk, seguiti dagli arabi con il 28 per cento e dai turkmeni con il 21 per cento.

Oggi pare che i curdi siano tornati a rappresentare una maggioranza relativa, a causa dei vari rivolgimenti provocati dalle guerre successive. Anche i turkmeni erano stati vittime della campagna di arabizzazione, ma rimangono contrari all’annessione di Kirkuk al Kurdistan iracheno.

L’interesse dei paesi

Vista la sua ambizione di influenza nell’area, il leader turco Recep Erdogan si è direttamente interessato alla diatriba, minacciando di intervenire se «la calma e l’integrità di questa regione verranno infrante». Ankara è preoccupata soprattutto per l’infiltrazione armata del Pkk (partito dei lavoratori kurdi di Turchia), che considera un’organizzazione terroristica.

C’è anche l’Iran: Ankara e Teheran sono rivali a Kirkuk, dove l'influenza iraniana pare aver scippato la carta turkmena ad Ankara. Malgrado le affinità etniche e culturali con i turchi, i turkmeni oggi si sentono più garantiti dagli sciiti di Baghdad.

Un problema simile, anche se con alleanze incrociate, Erdogan lo sta avendo con i curdi siriani. Recentemente si è espresso a sostegno delle tribù arabe impegnate in violenti scontri nella provincia orientale di Deir Ezzor contro il YPG curdo-siriano, il principale alleato locale degli Stati Uniti. Erdogan sostiene che la città dovrebbe essere lasciata alle tribù arabe, alimentando ancor più la tensione con i curdi.

È da tempo che la Turchia sta cercando di distruggere l’amministrazione autonoma a guida curda nella Siria settentrionale e orientale, che non riconosce così come non è ufficialmente ammessa nemmeno dal regime di al Assad. Tale amministrazione opera sotto la protezione militare statunitense e non è controllata dal governo centrale di Damasco, con cui Ankara è teoricamente in guerra. I leader curdi siriani hanno pubblicamente accusato “forze esterne” – leggi Iran, Turchia e Russia – di essere la causa dei combattimenti tra curdi siriani e arabi.

Il detonatore delle tensioni è stato l’arresto a fine agosto del capo del consiglio militare di Deir Ezzor, Ahmed al-Khbeil, noto come Rashid Abu Khawla, per la sua presunta collusione con il regime e le milizie appoggiate dall’Iran e per il suo coinvolgimento nel traffico di stupefacenti. Abu Khawla aveva costituito una propria milizia privata, alienandosi allo stesso tempo curdi siriani e altri leader tribali arabi. Tale arresto ha rotto il precario equilibrio tra arabi e curdi a Deir Ezzor, con la richiesta araba ai curdi di ritirarsi.

Dopo le violenze non c’è stato nessun cambiamento e la situazione tattica rimane invariata: la provincia è divisa tra le SDF curdo siriane a est del fiume Eufrate, e le forze del regime con le milizie sciite appoggiate dall’Iran a ovest. In mezzo gli arabi sunniti a cercare un loro spazio.

La situazione è considerata talmente sensibile dagli Stati Uniti, tanto da inviare a Deir Ezzor il vice segretario aggiunto del Dipartimento di Stato per gli affari del Vicino Oriente Ethan Goldrich e il comandante della coalizione, il generale Joel Vowell, a incontrare i leader curdi e arabi. Nel caos dell’Iraq e della Siria, dove de facto gli Stati non esistono più, vari attori si alleano e si combattono allo stesso tempo, in un continuo rivolgimento di fronti difficile da comprendere.

© Riproduzione riservata