In Nicaragua la chiesa è sotto attacco. La sua è infatti una delle poche voci libere rimaste a contrastare il regime guidato da Daniel Ortega e da sua moglie, Rosario Murillo, che ricopre anche la carica di vicepresidente. Dal 2018, quando le manifestazioni di protesta contro la “coppia presidenziale” sono state represse nel sangue provocando centinaia di morti, il conflitto fra le istituzioni cattoliche e il regime di Ortega (ex leader della rivoluzione sandinista degli anni Ottanta) si è intensificato.

Nei giorni scorsi il governo del paese centroamericano ha cancellato la presenza della Compagnia di Gesù sequestrandone i beni e revocando lo status giuridico dell’Ordine presente nel paese initerrottamente da 107 anni (ma in precedenza, nel 1881, già era stato espulso una prima volta).  A metà agosto era stata chiusa con la forza l’Università centroamericana (Uca) gestita dai gesuiti, mentre il vescovo Rolando Alvarez, oppositore del regime, è stato dichiarato traditore e condannato a 26 anni di carcere senza processo lo scorso febbraio.  

Abbiamo chiesto a padre José Maria Tojeira, portavoce della provincia dei gesuiti del centro America, di spiegarci la natura del conflitto in corso in Nicaragua. «È in atto una persecuzione contro la chiesa, gli oppositori politici, i difensori dei diritti umani e la stampa indipendente, si tratta di una forma estremamente dura di oppressione delle coscienze», spiega a Domani.

Perché il regime di Ortega ha attaccato in questo modo la chiesa e la Compagnia di Gesù? Quali altre istituzioni hanno subito la stessa sorte?

L’escalation di attacchi contro la chiesa è motivata dalla difesa dei diritti delle persone e dagli appelli alla pace sociale e al dialogo promossi dalle istituzioni cattoliche. Il problema non sono solo i gesuiti ma anche la chiesa in generale. Rientrano in questa persecuzione diversi fatti: il vescovo Rolando Álvarez imprigionato, le suore di Madre Teresa espulse, i sacerdoti e un altro vescovo, tutti nicaraguensi privati ​​della nazionalità, le minacce alle congregazioni religiose e la confisca dei loro beni. Tutto questo in un contesto di persecuzione più ampio che comprende oppositori politici, difensori dei diritti umani e giornalisti indipendenti.

In che senso si può parlare di violazione dei diritti umani fondamentali in Nicaragua in questo momento?

In Nicaragua, nel 2018, diverse manifestazioni sono state sciolte a colpi di arma da fuoco, in seguito si è instaurato un regime di terrore, incarcerazioni, confische di beni, minacce di vario genere, espulsioni dal paese molto più duro di quello esistente in altri paesi della regione. Il controllo del libero pensiero e della critica, con i suoi meccanismi di esilio e confino, rappresenta una terribile forma di oppressione per la coscienza delle persone.

Qual è la situazione dal punto di vista economico e sociale? Come vive la popolazione?

C’è un problema totale di repressione contro giornalisti, oppositori politici, università (non è la prima a chiudere, sono già state chiuse più di 20 università). Ci si aspettava che qualcosa potesse succedere, ovviamente. Dobbiamo affrontare la realtà e continuando a seguire la nostra vocazione al servizio, qualunque cosa accada. Le dittature generalmente impoveriscono i paesi più di quanto possano contribuire al loro sviluppo, in questo senso va detto che il Nicaragua è uno dei paesi con uno dei tassi di povertà più alti dell’America Centrale.

Il potere della coppia presidenziale può essere definito una dittatura? E quali iniziative sarebbe opportuno intraprendere per evitare che le cose peggiorino?

Tutti i regimi autoritari tendono a lavorare contro il libero pensiero. Le università sono generatrici di conoscenza. Risvegliano la coscienza critica attraverso la conoscenza e producono il libero pensiero, in generale. Qui è stata chiusa un’università proprio per questo: perché si odia il libero pensiero. La corruzione d’altro canto distrugge sé stessa, e questo accadrà anche qui. Bisogna avere grande fiducia, il regime passerà, questo bisogna saperlo. È necessario resistere, far valere i propri diritti, proclamare la verità, mantenere una parola profetica in mezzo a una situazione critica.

Il Vaticano ha messo in atto qualche iniziativa diplomatica nelle ultime settimane?

Per quanto riguarda i discorsi pubblici, il papa cerca sempre di fare in modo che i suoi interventi non abbiano un impatto negativo all’interno dei paesi che mantengono una dura repressione. Ha difeso molto chiaramente Mons. Álvarez, ma comprendiamo che è difficile intervenire pubblicamente nei conflitti, per le conseguenze che possono avere per gli altri. Per noi è sufficiente sapere che ci sostiene anche se non lo dice pubblicamente.

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