Mentre in Costa D’Avorio è in corso da giorni la Coppa d’Africa, a Roma, a palazzo Madama, la premier Giorgia Meloni ha giocato la sua partita con i leader dei paesi africani arrivati nella capitale per il summit “Italia - Africa. Un ponte per una crescita comune”. In totale 47 delegazioni, con diversi capi di stato e di governo di spessore, sono venuti dalla sponda sud del Mediterraneo. Un evento senza precedenti, blindato da un imponente servizio di sicurezza, con cui la presidente del Consiglio è riuscita a portare a Roma, non solo il cuore dell’Africa (esclusi i paesi con conflitti interni), ma anche i vertici della Ue con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, quello del Consiglio, Charles Michel, e quella del parlamento, Roberta Metsola.

La giornata è stata l’occasione per presentare il tanto decantato Piano Mattei, nato come uno slogan politico oltre un anno fa che con fatica sta prendendo forma. Dopo l’approvazione della governance del piano, lo scorso 10 gennaio, Meloni ha annunciato i primi progetti pilota su formazione, scuola, sanità, energie rinnovabili e settore agroalimentare.

Eppure dopo il lungo vertice rimangono solo i discorsi politici dei leader, soprattutto quello “spigoloso” del presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki, e l’annuncio di progetti che devono ancora partire.

Sul piatto ci sono 5,5 miliardi di euro, di cui tre provenienti dal Fondo italiano per il clima, la restante parte sono soldi dedicati alla cooperazione internazionale. Alcuni sono a fondo perduto, altri sottoforma di soft loans, ovvero prestiti agevolati.

Pochi fondi

Tra gli stati menzionati dalla premier dove dovranno partire i progetti di cooperazione e sviluppo ci sono: Marocco, Tunisia, Costa D’Avorio, Algeria, Mozambico, Egitto, Tunisia, Congo, Etiopia. Nove paesi, a cui la premier spera se ne aggiungeranno altri. Difficile pensare che i 5,5 miliardi messi a disposizione per i prossimi quattro anni possano produrre effetti immediati o portare un benessere tale da fermare l’ondata migratoria.

Per questo, nonostante la buona volontà della premier Meloni, se non ci saranno ulteriori investimenti il Piano Mattei rimarrà un progetto di cooperazione più strutturato rispetto ai precedenti, capace solo di riunire a un unico tavolo gran parte degli stati del continente.

Questo fa capire anche lo scetticismo di alcuni leader africani, di cui Meloni deve ancora guadagnarsi la fiducia. Molti di loro sono venuti a Roma per sentire cosa aveva da dire il governo italiano. Altri paesi sono ancora scettici, altri ancora non hanno risposto all’invito (come la Nigeria, paese con il Pil più alto del continente) o hanno inviato rappresentanti di basso rango (come il Camerun).

Quel che è certo è che, nonostante il ritiro dall’Africa di paesi come la Francia, nel continente non vogliono voltare le spalle ai partner commerciali storici o creare una competizione che alla fine scontenta tutti. Resta da capire se Meloni sarà all’altezza delle aspettative. E con queste “briciole” è veramente molto difficile.

Per questo il successo del Piano Mattei è legato anche alle decisioni degli altri paesi dell’Unione europea. Se alla conferenza delle migrazioni dello scorso 23 luglio, in cui la presidente del Consiglio ha lanciato il “processo di Roma”, erano presenti almeno i paesi più deboli della sponda sud del Mediterraneo (Cipro, Malta, Grecia) ieri a palazzo Madama Meloni era sola. Accompagnata solo dai vertici dell’Ue tra cui la sua compagna di viaggio preferita: la presidente della Commissione europea von der Leyen.

La struttura

Secondo la governance approvata nelle scorse settimane, a portare avanti il Piano Mattei saranno due dirigenti di primo livello, due di seconda fascia e quindici dipendenti. Una struttura che avrà un costo annuale di tre milioni di euro e la cui missione sarà coordinata dal nuovo consigliere diplomatico di palazzo Chigi, Fabrizio Saggio, che vanta una lunga esperienza tra le stanze del Quirinale dove, per sette anni, ha lavorato presso l’ufficio Affari diplomatici della presidenza della Repubblica. Una figura istituzionale scelta a capo di un progetto cruciale nella politica estera di Meloni. Anche il Quirinale sembra sostenere il progetto, vista l’accoglienza riservata da Sergio Mattarella ai delegati nella cena di domenica.

Predatori o colonizzatori

Il vertice di ieri è stato però criticato dalle opposizioni che accusano la premier di avere un approccio neo coloniale. Meloni ha più volte ribadito che vuole portare avanti «una cooperazione da pari a pari, lontana da qualsiasi tentazione predatoria». Ma a guardare bene i paesi in cui sono stati annunciati progetti pilota, la maggior parte di questi ha relazione energetiche con Eni e l’Italia, come l’Algeria, il Mozambico, l’Egitto e il Congo. Gli altri paesi sono quelli da dove provengono la maggior parte dei migranti diretti verso l’Europa (Tunisia, Costa D’Avorio, Etiopia). Ancora una volta, quindi, sono stati pensati progetti con paesi in cui Roma ha interessi di tipo energetico-commerciali e migratori.

Anche per questo le opposizioni attaccano sottolineando che non possono essere usati fondi per il clima per far diventare l’Italia un «hub del gas» come vorrebbe la premier. Al momento, paesi rilevanti come la Nigeria di Bola Tinubu hanno deciso di tirarsi fuori dal Piano Mattei. Un’occasione persa o lungimiranza?

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