«Ci stiamo trasformando nella Corea del Nord». Negli ultimi giorni migliaia di utenti russi hanno espresso sui social i loro sentimenti dopo le ultime novità annunciate dal Cremlino: allargamento delle maglie della coscrizione obbligatoria (si potrà essere richiamati fino a 30 anni), autorizzazione (leggi: obbligo) per i governatori regionali a finanziare la creazione di nuove unità militari con i loro budget e interruzione dell’accordo sul grano, uno dei pochissimi embrioni di dialogo tra Russia e Ucraina.

A un mese dall’ammutinamento di Wagner, la volontà di Putin di proseguire la guerra ad ogni costo non sembra affatto incrinata. Anche se la sua immagine di leader invicibile è uscita indebolita dalla rivolta armata, il presidente russo sta emarginando tutti coloro che avrebbero potuto opporsi alla continuazione del conflitto costi quel che costi.

Falchi contro la guerra

Le prime “vittime” della repressione post ammutinamento sono stati gli ultranazionalisti e i militari insoddisfatti per il modo in cui il Cremlino conduce il conflitto. Si tratta di giornalisti, ex militari e politici di medio livello di cui il vulcanico Prigožin era solo il più visibile. Oggi il leader mercenario si trova in esilio in Bielorussia, il suo impero mediatico sta venendo fatto a pezzi, mentre il suo gruppo armato è ridotto a poche migliaia di uomini senza armamenti pesanti.

Tra gli altri ultranazionalisti finiti nel mirino dei servizi di sicurezza, il più celebre è probabilmente Igor Girki, ex ufficiale del Fsb e leader delle milizie del Donbass, condannato per l’abbattimento del volo MH17 nella primavera del 2014 e oggi leader del “Club dei patrioti arabbiati”. Avversario di Prigožin e tra i i più duri critici tanto delle forze armate quanto, negli ultimi tempi, dello stesso Putin, Girkin è stato arrestato questa settimana.

Le purghe si sono abbattute anche sull’esercito, dove dopo un anno e mezzo di guerra è in continua crescita l’insofferenza per il modo in cui la triade Putin, Shoigu, Gerasimov gestisce le operazioni. L’apparente passività di numerose formazioni militari di fronte all’ammutinamento di Prigožin, è stato un avvertimento per il Cremlino. Anche di fronte all’appello televisivo di Putin per fermare Wagner, non sono stati molti i soldati pronti a rischiare la vita per fermare la rivolta.

In questa situazione, Putin sembra non voler dare scossoni troppo vigorosi a una struttura che potrebbe rivelarsi più delicata di quanto appare. Ma, silenziosamente, sta emerginando tutti gli alti ufficiali la cui lealtà è in dubbio.

La “vittima” più illustre è il popolare generale Oleg Surovikin, ex comandante in capo delle truppe in Ucraina e noto amico di Prigožin. Dopo aver registrato un messaggio in cui chiedeva ai mercenari di fermarsi nel giorno dell’ammutinamento, Surovikin è sparito e le voci su un suo arresto e la sua rimozione si susseguono, senza che dal ministero della Difesa sia arrivata alcuna conferma.

Un generale di cui invece è stata confermata la rimozione è Ivan Popov, comandante della 58ª armata che ha difeso con successo il fronte di Zaporizhzhia. È stato cacciato per aver criticato il capo di stato maggiore Valery Gerasimov. In tutto, secondo il Wall Street Journal, sarebbero almeno 13 i militari di alto rango arrestati dopo l’ammutinamento di Wagner.

Pericoli a destra

Nel corso dell’ultimo anno, Putin ha operato con una filosofia di “niente nemici a destra”, concedendo ampia libertà di critica a chiunque adottasse un atteggiamento di incondizionato sostegno all’invasione dell’Ucraina.

Dopo l’ammutinamento, Putin sembra invece dare maggiore ascolto a chi lo avvertiva dei pericoli di questi ultranazionalisti. Gli allarmi su un rischio imminente arrivavano da personaggi come Oleg Matveychev, deputato del partito Russia Unita sotto sanzioni dell’Unione europea e degli Stati Uniti.

È almeno dallo scorso febbraio che Matveychev avverte del rischio di un possibile colpo di stato. Ora, per evitare nuove rivolte, ha scritto Matveychev in un rapporto fatto recapitare negli ultimi giorni a Putin e successivamente pubblicato da alcuni canali Telegram, c’è bisogno di un giro di vite nei confronti di tutto il campo dei super patrioti: Prigožin, Girkin, ex militari e corrispondenti, ma anche giornalisi-star divenuti famosi anche in occidente, come Margerita Simonyan, direttirce di Rt, e Vladimir Solovyov, re della prima serata e accusato di organizzare nei sui talk show serali «uno stupro di gruppo nei confronti delle autorità».

Secondo Matveychev, le continue critiche allo sforzo bellico di questi personaggi finiranno per convincere il pubblico «che Putin è una figura indesiderabile, che è incapace di assicurare una vittoria, di gestire l’esercito e che ha condotto il paese in un vicolo cieco portandolo a uno scontro con l’intera comunità internazionale».

In vista delle elezioni presidenziali del 2024, una popolazione stanca della mobilitazione e delle privazioni dovute alla guerra, potrebbe sostenere anche i super patrioti che, in nome della protezione della Russia, dovessero invocare la pace come unica soluzione.

Il fatto che Girkin sia stato arrestato due giorni fa, ha suggerito a molti che Matveychev possa riflettere l’atteggiamento che circola al momento al Cremlino.

Guerra ad oltranza

Sul lungo periodo, questa politica potrebbe rivelarsi problematica. Né la popolazione né la maggioranza delle élite russe appaiono entusiaste del conflitto, e i super patrioti che Putin sta emarginando erano gli unici convinti della necessità della cosiddetta operazione militare speciale.

Nel frattempo, gli ucraini avranno occasione di approfittare delle purghe nell’esercito, visto che eliminare tutte le figure critiche significherà probabilmente che le forze armate russe continueranno a commettere gli stessi errori.

Ma nel breve periodo, la rimozione ed emarginanzione del forze più critiche del Cremlino significa anche che Putin, Shoigu e Gerasimov incontreranno molta meno opposizione se decideranno di continuare a sacrificare le loro forze militari in una lunga guerra di logoramento. Eliminare i falchi, in questo caso, potrebbe portare al risultato paradossale di rendere il conflitto più lungo.

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