Appena un mese dalla fine del progetto di partito unico tra Azione e Italia Viva, l’ex terzo polo è di fronte a una nuova crisi esistenziale. Questa a volta sono a rischio i gruppi parlamentari dei due partiti, che potrebbero di scomparire in caso di scissione, e la lista unica alle europee dell’anno prossimo.

Il nuovo casus belli sono gli attacchi che il leader di Azione Carlo Calenda ha rivolto all’alleato Matteo Renzi, accusato di aver condotto una “campagna acquisti” tra i parlamentari e i dirigenti di Azione. Ma dietro lo scontro ci sono le personalità ingombranti dei due leader, la clinica impossibilità a fidarsi gli uni degli altri, e i cattivi risultati elettorali, che inaspriscono qualsiasi trattativa.

Il risultato è un hollywoodiano “stallo alla messicana”, in cui tutti i protagonisti della scena si puntano una pistola alla testa. Calenda minaccia di correre da solo alle europee dell’anno prossimo, forte dei sondaggi che danno Azione sopra la soglia di sbarramento. Renzi risponde dicendo di essere pronto a sciogliere i gruppi parlamentari se costretto, facendo così finire Azione nel gruppo misto, almeno al Senato. Sullo sfondo, migliaia di iscritti, militanti e dirigenti che speravano nella nascita di un partito centrista e che ora, letteralmente, non hanno più a che santo votarsi.

La riunione

Lunedì alle 21 è stata fissata una riunione dei senatori di Azione-Iv per tentare di trovare un accordo ed evitare la divisione dei gruppi. La scissione sarebbe un disastro non solo di immagine, ma anche economico. Ogni eletto frutta al gruppo di appartenenza tra i 65 e i 70mila euro l’anno che si dimezzano in caso di adesione al gruppo misto.

Lo scenario della divisione non spaventa più di tanto Italia viva, che almeno al Senato dovrebbe avere i numeri minimi necessari a mantenere un gruppo anche in caso di divorzio. Alla Camera servirebbe la deroga, ma ci sono buone possibilità di ottenerla per entrambi i partiti. Azione rischia di più, soprattutto al Senato. Per questo avrebbe cercato di reclutare la senatrice Dafne Musolino, eletta con la lista Sud chiama Nord dell’ex sindaco di Messina Cateno De Luca. Azione ha però smentito.

Circolano voci anche di un corteggiamento nei confronti dell’ex ministra Beatrice Lorenzin – anche lei smentisce. In ogni caso, nessuno nel sempre più ex terzo polo guarda con favore alla divisione dei gruppi. Anche tra i parlamentari di Azione gli animi sono sconfortati. Tranne i fedelissimi di Calenda, come il senatore Matteo Richetti e l’ex ministra Mariastella Gelmini, in pochi condividono la strategia del leader, mentre premono affinché venga raggiunto un qualche tipo di compresso.

Le condizioni di Iv

Da Italia viva nel frattempo dettano le condizioni, forti della convinzione di essere quelli che nel breve termine hanno meno da rimetterci. Così da un lato, chiedono che Calenda cessi gli attacchi personali a Renzi, come quello lanciato martedì in televisione, quando Calenda ha ricordato che mentre lui era a fare campagna elettorale Renzi «guadagna 2 milioni e mezzo di euro con gli arabi». «Io non mi vergogno di pagare le tasse – ha risposto ieri Renzi – I grillini mi hanno sempre attaccato per le indagini che hanno fatto su di me. Adesso Calenda usa le loro stesse argomentazioni».

Ma è la seconda condizione quella politicamente significativa: Calenda deve accettare la lista comune alle europee. Era un tema di cui si era già discusso un mese fa, in occasione della rottura dell’accordo sul partito unico. All’epoca, Calenda aveva già detto che Azione sarebbe andata da sola, ma in pochi sia nel suo partito che dentro in Italia viva lo avevano preso sul serio. Questa settimana, però, Calenda è ritornato a ribadire il punto: niente accordo nel 2024.

Dal suo punto di vista, Azione ha tutto da guadagnarci a correre da sola. Al parlamento europeo si entra con le preferenze e le ultime elezioni hanno dimostrato che i renziani sono molto più abili dei suoi a raccoglierle. Gli ultimi sondaggi, inoltre, danno Azione sopra la soglia di sbarramento del 4 per cento anche da sola, mentre Italia viva fatica a superare il 2.

Calenda, insomma, non vuole che i renziani finiscano con l’usare la lista comune come un taxi per farsi portare a Bruxelles, come hanno già fatto alle regionali di Lazio e Lombardia. Calenda sente che se in Parlamento è in svantaggio, alle prossime europee è invece lui ad avere il coltello dalla parte del manico. E questo, comprensibilmente, innervosisce Renzi e Italia viva.

La situazione dentro Azione

Il problema di Calenda è che Azione deve riuscire ad arrivare intera alle prossime europee se vuole essere competitiva anche senza alleati. E gli ultimi giorni hanno mostrato che il partito è tutto meno che in salute. Soltanto questa settimana settimana, Azione ha perso una deputata, una consigliera regionale, due segretari regionali, Emilia-Romagna e Piemonte, e il direttivo di due importanti città come Firenze e Modena. Altre fuoriuscite dovrebbero essere annunciate nelle prossime ore.

Il tumulto nel partito è esploso questa settimana, subito dopo l’annuncio dei pessimi risultati ottenuti dal terzo polo alle amministrative di domenica e lunedì. I fuoriusciti, dalla deputata Naike Gruppioni alla segretaria emiliana Giulia Pigoni, hanno storie e percorsi diversi, ma condividono la stessa lista di lamentele, condivisa anche da migliaia di iscritti: sono contrari alla rottura con Italia viva e ritengono che Calenda non abbia fatto a sufficienza per impedirla. Soffrono le ingerenze del leader a livello locale, si sentono poco ascoltati e hanno difficoltà a spiegare a militanti ed iscritti le scelte prese a livello nazionale.

Insomma, se Atene piange, Sparta non ride. Sia Calenda che Renzi pensano di avere in mano le carte migliori in questa partita, ma Hollywood insegna che non importa chi ha la pistola più grande o il grilletto più veloce. Quando in uno stallo alla messicana si inizia a sparare, nessuno alla fine resta in piedi.

 

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