- Ci sono molti argomenti per sostenere che è un errore, sempre e in particolare in questa occasione, “demonizzare” l’avversario.
- Ce ne sono però altrettanti per sostenere il contrario. C’è una differenza sostanziale tra questi due approcci: uno fa perdere le elezioni, l’altro le fa vincere.
- In una campagna elettorale così breve, mancano 56 giorni al voto, il Pd e gli altri partiti di centrosinistra non hanno altra scelta che provare a mobilitare i propri elettori, evitare che si astengano.
Ci sono molti argomenti per sostenere che è un errore, sempre e in particolare in questa occasione, “demonizzare” l’avversario e il giurista Pier Luigi Petrillo li argomenta bene nell’articolo qui accanto. Ce ne sono però altrettanti per sostenere il contrario. C’è una differenza sostanziale tra questi due approcci: uno fa perdere le elezioni, l’altro le fa vincere.
Chi ha visto le sette stagioni di Game of Thrones ha ben chiaro il punto: soltanto quando Jon Snow riesce a convincere re e regine di tutti i regni che le differenze tra casate sono irrilevanti di fronte all’armata apocalittica dei non-morti, riesce a costruire un esercito abbastanza grande da vincere la battaglia finale (che, in realtà, sembra perdere ma le gesta di un singolo personaggio ribaltano le sorti).
Il segretario del Pd Enrico Letta è circondato da persone che, dentro e fuori il partito, gli dicono di fare come Jon Snow: spiega a tutti che l’inverno sta arrivando, che l’armata di Matteo Salvini e Giorgia Meloni è una minaccia tale che le ruggini passate o le diverse gradazioni di riformismo diventano irrilevanti. Dal ventennio lungo del berlusconismo arriva per l’eco della posizione opposta: che errore demonizzare l’avversario, guai a semplificare, meglio convincere che spaventare.
Sotto assedio
Prima di discutere il merito, vediamo il metodo. In una campagna elettorale così breve, mancano 56 giorni al voto, il Pd e gli altri partiti di centrosinistra non hanno altra scelta che provare a mobilitare i propri elettori, evitare che si astengano.
Non c’è tempo, modo e spazi per contendere il mitico swing voter, quello che, se adeguatamente persuaso, potrebbe passare da uno schieramento all’altro.
Nel medio periodo bisogna fare quello che dice Petrillo, ripensare la constituency, affinare una proposta, ridefinire una identità. Ma non si può fare in due mesi.
Ora l’unica strategia sensata è serrare i ranghi e schierare tutti i soldati disponibili a reggere l’urto dei non-morti che assediano non il castello di Grande Inverno, come in Game of Thrones, ma la Costituzione.
Sto esagerando? L’invito alla pacatezza pare poco coerente con quello che abbiamo visto in questi anni recenti.
Silvio Berlusconi, a capo della parte sedicente moderata e affidabile del centrodestra, ha lasciato il governo nel 2011 perché aveva portato il paese a un centimetro dalla bancarotta, poi ha lasciato il parlamento in quanto condannato in via definitiva per un reato connesso al suo peccato originario, il conflitto di interessi, infine ha prima bloccato l’ascesa di Mario Draghi al Quirinale con una auto-candidatura spericolata, poi ha tolto la fiducia al suo governo (è anche ancora indagato con l’accusa di aver avuto un ruolo nelle stragi di mafia di trent’anni fa, ma su questo sorvoliamo).
Matteo Salvini ha avuto il picco dei consensi da ministro dell’Interno con sequestri di persona di migranti indifesi in messo al mare, poi, esauriti i migranti, si è messo a complottare con gli emissari di Vladimir Putin nel pieno di una guerra che vede l’Italia sul fronte opposto a quello su cui si è collocato il leader leghista.
Giorgia Meloni, che sarebbe la nostra garanzia di atlantismo e collocazione internazionale, è legata e si ispira a governi e partiti che in Europa stanno cercando di sovvertirne i valori e le istituzioni dall’interno: perché minacciare di uscire dall’Ue, come quell’ingenuo di Salvini ai temi delle battaglie no-euro, quando si può tentare la scalata ostile?
Ungheria e Polonia, una filo-putiniana una fieramente anti-russa, violano lo stato di diritto e i principi della democrazia liberale all’interno dei confini e ricattano il resto dell’Unione a Bruxelles. Quale sia poi la classe dirigente di Fratelli d’Italia resta da capire: al momento il grosso delle informazioni disponibili arrivano da ordinanze dei giudici, visto che dove c’è uno scandalo c’è un esponente di Fratelli d’Italia (l’ultimo indagato per mazzette è l’ex portavoce di Meloni in persona, Nicolò Procaccini, oggi europarlamentare).
Momento Trump
Come ho già avuto modo di scrivere, questo per l’Italia è il “momento Trump”: non è un centrodestra normale quello che si prepara a governare, non sono i Republicains francesi o il Partito repubblicano di John McCain, bensì qualcosa di più simile alla versione più fosca di Marine Le Pen o ai Repubblicani attuali trumpizzati.
Questa destra ha imparato a dissimulare, nessuno vedrà mai Giorgia Meloni a fare un saluto romano, inutile misurarle i gradi di neo o post fascismo. Il pericolo per la vittoria di queste destre è che coltivano al loro interno pulsioni pericolose per la tenuta non della democrazia, ma della sua connotazione liberale: ciò che è a rischio non è la possibilità della maggioranza di decidere, ma il diritto delle minoranze a non essere schiacciate.
Meglio mettere in chiaro tutto questo o riesumare le perifrasi alla Walter Veltroni, che non nominava Silvio Berlusconi ma lo indicava come “il principale esponente dello schieramento a noi avverso”? Veltroni ha perso, poi ci siamo beccati tre anni di Berlusconi, un quasi default e un biennio di dolorosa austerità. Ma vuoi mettere la soddisfazione per non aver “demonizzato” l’avversario?
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