Luigi, Ludovica e Maddalena sono di nuovo tra i banchi del liceo Parini. Ma senza risorse immediate e strategie per tenere aperti gli istituti in sicurezza, il loro rischia di trasformarsi nell’ ennesimo stop and go esistenziale
- Luigi, Ludovica e Maddalena sono appena usciti da scuola, il loro primo giorno di scuola. Li incontro su zoom, dopo averli conosciuti durante la breve occupazione del Liceo Parini di Milano, la settimana scorsa.
- Il primo punto all’ordine del giorno è la sveglia: prima si svegliavano due minuti prima dell’inizio della lezione, «alle 8.13», ora si torna alla sveglia alle 7. Però: felicità.
- Il danno sociale e psicologico che noi e non il virus abbiamo prodotto nei più giovani è ormai un dato oggettivo. Perché non pensare di sostituire un’ora di didattica al giorno con un’ora di socializzazione online condotta da professionisti competenti?
E così il primo giorno di scuola è arrivato. Con i turni, le percentuali di occupazione e la domanda angosciante ma inevitabile su cosa succederà da qui a fine anno. Un po’ di pessimismo rimane, perché l’apertura segue logiche che non prevedono l’eccezionalità delle scuole; esse riaprono insieme ai negozi (anzi, alcune dopo; sono sempre rimasto colpito dai negozi di articoli di bellezza o quello di timbri e targhe rimasti aperti anche in zona rossa). Se tuttavia l’eccezionalità della scuola non viene messa in conto, se non le si daranno risorse immediate con azioni e strategie in grado di tenerle aperte in sicurezza, non sarà cambiato nulla, sarà stato il solito stop and go, l’ennesimo nel singhiozzo esistenziale che è stato questo anno 2020 finito ma per finta, ché rimarrà con noi ancora per un bel po’.
Che bello preparare lo zaino
Luigi, Ludovica e Maddalena sono appena usciti da scuola, il loro primo giorno di scuola. Li incontro su zoom, dopo averli conosciuti durante la breve occupazione del Liceo Parini di Milano, la settimana scorsa. Il primo punto all’ordine del giorno è la sveglia: prima si svegliavano due minuti prima dell’inizio della lezione, «alle 8.13», ora si torna alla sveglia alle 7. Però: felicità. Maddalena è contentissima anche se il pensiero che i prossimi due giorni saranno ancora in Dad (sono al 50 per cento al Parini, tre giorni a settimana) la mette di cattivo umore. Luigi dice che ieri sera è stato bello preparare lo zaino dopo tutto questo tempo. Una volta era una noia, invece ora era «straniante essere felice a fare lo zaino».
C’era euforia aggiunge, i prof provavano a tenerli calmi e a fargli seguire la lezione, ma è stata dura; volevano chiacchierare col compagno che non vedevano da mesi, e anche gli stessi prof in realtà erano euforici, sembrava «stessero trattenendo la gioia», aggiunge Maddalena (e perché trattenerla poi? Prof, goditela!). Ludovica spera che resteranno aperte le scuole, non lo sa, non ne ha idea. A capienza ridotta sembra andare molto bene, dice che le persone sono organizzate e rispettose delle regole, quindi ha fiducia. «In noi, non nel governo», precisa.
Luigi, parla del diffuso presentimento che durerà poco. Secondo lui a breve ci saranno già le classi in quarantena. Serve fare altro per essere più sicuri. Per esempio, propongo io, lo stato non potrebbe investire in uno scan periodico della popolazione scolastica? Ogni due settimane testare gli studenti di ogni istituto? Servirebbe a voi e servirebbe agli altri. Magari dicono, ma non lo faranno mai. Non c’è molta fiducia, diciamo.
Andare a scuola spacca
Anche Ludovica, nonostante non abbia mai avuto un rapporto bellissimo con la scuola e si è pure beccata la versione di latino alla prima ora, dice che è molto felice. Rivedere le facce delle persone, anche con la mascherina, solo vedere gli occhi era già una bomba. «Ha spaccato» conclude.
Se poi accenno al casino fatto dalla regione sui dati diventano tutti Lisa Simpson di fronte all’ennesima cazzata di Burt: mano sulla faccia e espressione di sconforto. Non hanno parole. Ma parliamo di cose belle. Maddalena dice che quel che le era mancato era la comunità.
Luigi interviene dicendo che tutti gli dicono che questi sono gli anni più belli della loro vita, e Ludovica dice «speriamo che non sia vero, se no è finita cazzo». Luigi però le invidia, loro sono più piccole e faranno una maturità normale, lui è terrorizzato dal giorno in cui verranno diramate le nuove linee guide per gli esami. Lui non ha speranze; sa che l’ultimo giorno di scuola non sarà “l’ultimo giorno di scuola”: tutti in mascherina, distanziati e niente feste.
Insomma, sanno che la sofferenza non è finita, mi raccontano di amiche e amici che hanno avuto problemi seri. Tutti hanno da raccontare, non entriamo nel dettaglio, ma tanti sono stati molto male in questo secondo lockdown. Mi colpisce quello che dice Ludovica: stare tutto il tempo soli con sé stessi, in questo periodo della vita, nel quale già ci si giudica continuamente può essere una tortura. Ci si guarda tutto il tempo, passi la tua vita con te stesso, si diventa ipercritici e questo acuisce le sofferenze naturali dell’adolescenza. Non è finita insomma, ma per un giorno sono felici.
Pianificare, pianificare, pianificare
Per far sì che questo giorno felice divenga settimana, mese, quadrimestre occorre – in mancanza della capacità vaccinale (i vaccini non sono ancora stati testati sotto i 16 anni e comunque, si sa, scarseggiano) – immaginare, pianificare, mettere in atto strategie che diano la possibilità ai ragazzi di finire l’anno scolastico. Difficile, ma non impossibile.
Solo così avremo dato prova, almeno una volta, che proprio nelle situazioni più complesse il nostro dovere è discernere tra il necessario e il superfluo; pensiamo alla priorità data allo shopping natalizio, necessario per “muovere l’economia”, d’accordo, ma qualcuno dovrà poi spiegarci in termini di rapporto tra Pil e nuovi contagi, morti e lockdown qual è stato il saldo.
Riaprire non è sufficiente, si diceva; con l’allontanarsi della possibilità di vaccinare i professori, figuriamoci gli studenti oltre i 16 anni, i soli che già potrebbero, occorrerebbe forse fare uno sforzo preventivo. Perché non prevedere un presidio in ogni scuola con tamponi rapidi ogni due settimane per evitare che le scuole debbano richiudere presto e per abbassare di molto il rischio sanitario che comporta tenerle aperte?
Sembra l’idea più semplice e ahinoi irraggiungibile, vista l’incapacità – o il disinteresse – di chi ci governa. Si potrebbe e dovrebbe fare tutto, se accediamo in fretta alle risorse disponibili e le allochiamo pensando al futuro e non solo al consenso nel breve periodo. Ma di cosa vado cianciando, che c’è pure la crisi e il governo manco c’è più?
L’altra pandemia
Il danno sociale e psicologico che noi e non il virus abbiamo prodotto nei più giovani è ormai un dato oggettivo. Le decisioni prese dai governi a marzo scorso erano doverose e comprensibili nella prima fase emergenziale; oggi, se perpetuate senza pianificazione, diventano inevitabilmente un grave danno aggiuntivo nel medio periodo.
Dopo la pubblicazione recente della ricerca del Bambin Gesù di Roma sull’aumento dei comportamenti suicidari e delle ferite corporee autoinflitte; dopo la ovvia verità nascosta che il ministero dell’Istruzione – e dunque, anche la presidenza del Consiglio – avevano da tempo ben note le gravissime conseguenze della didattica a distanza, oggi dagli Stati Uniti arriva una notizia, piccola ma quanto mai eloquente.
Jesus Jara, sovrintendente della contea di Clark (intorno a Las Vegas, la quinta più grande degli Usa) ha detto al New York Times che quando hanno visto che «sempre più ragazze, ragazzi e bambini si stavano togliendo la vita, abbiamo capito che non erano solo i numeri delle vittime del Covid quelli che avremmo dovuto guardare». Il numero dei suicidi nella contea di Clark è semplicemente raddoppiato durante la pandemia. Dati. Ragazze e ragazzi. Morti.
La comunità della Contea ha allestito una serie di servizi di attenzione per gli studenti, isolati nelle loro camerette diventate piccole prigioni e non più rifugio. Ciò ha salvato molte vite, a leggere i dati. Ma non è stato abbastanza e si è così deciso di forzare la riapertura delle scuole, ritenendo che fosse l’unico rimedio possibile all’altra pandemia, quella del dolore psicologico, dell’isolamento socio-economico, del quale, occorre ricordarlo, si può morire. E si muore.
La scuola non è solo didattica
Quasi superfluo aggiungere, come mi hanno ripetuto più volte i ragazzi con i quali ho parlato, che questa situazione aumenta le disparità sociali; chi era debole diventa ancora più debole; la riduzione della comunità-scuola a didattica, errore madornale e imperdonabile, non fa altro che aumentare il già triste bilancio del digital divide italiano e delle difficoltà dei contesti familiari nei quali molti, troppi ragazzi italiani vivono. E così, l’obiettivo principale della scuola – includere, parificare, riportare avanti chi parte indietro – va a farsi friggere.
Perché non pensare, da marzo di tempo ce n’è stato, di sostituire un’ora di didattica al giorno con un’ora di socializzazione on-line, condotta da professionisti competenti che aiutino bambini e ragazzi a esprimere il loro disagio?
Insieme a tamponi rapidi regolari per limitare i rischi di domino di quarantene e nuove chiusure, una declinazione della Dad in questo senso, la trasformerebbe da strumento inefficace che ha come obiettivo principale il passaggio di nozioni a uno che abbia innanzitutto lo scopo di mantenere vivo il senso di comunità e lo sviluppo della capacità di intercettare i casi più critici.
Non è stato fatto, si può fare, si deve fare.
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