«Dobbiamo difendere la normalità raggiunta e questo significa niente chiusure, scuola in presenza, una socialità soddisfacente». Nel giro di una settimana, il linguaggio del presidente del Consiglio, Mario Draghi, sulla pandemia è cambiato radicalmente. 

Mercoledì scorso difendeva con stizza i nuovi limiti all’ingresso in Italia appena imposti dal suo governo. «Non credo ci sia molto da riflettere», aveva risposto alle proteste della Commissione europea, sostenendo il diritto dell’Italia a proteggersi da quei paesi europei dove il contagio era in fase più avanzata.

Oggi, nella conferenza di fine anno, non solo non ha praticamente fatto cenno alla necessità di proteggere questo «vantaggio» accumulato sui nostri vicini, ma nella breve parte che ha dedicato alla pandemia ha sottolineato con forza la necessità di proteggere qualcos’altro: la «normalità», cioè le aperture e la socialità che ci garantiscono un’apparenza di ordinaria amministrazione.

Il vantaggio è sfumato

Si tratta di una svolta di 180 gradi che era probabilmente inevitabile, visto che del nostro vantaggio rimane sempre meno. Questa settimana siamo arrivati a registrare oltre 30mila nuovi casi in un giorno, il record dalla seconda ondata, mentre per numero di contagi in rapporto alla popolazione abbiamo superato l’Austria e siamo arrivati al livello della Germania.

Il Regno Unito, che negli ultimi giorni è tornato a essere il peggiore focolaio d’Europa, è ancora lontano, ma la pendenza della nostra curva inizia a ricordare in modo inquietante quella britannica.

L’argomento del «vantaggio» è stato abbandonato anche perché Draghi avrebbe dovuto ammettere che il suo governo ha fatto molto poco per conservarlo. Nonostante avessimo avuto settimane per osservare come nei nostri vicini la quarta ondata si stesse rivelando la più grave tra tutte quelle passate, il governo ha preferito restare in attesa.

Nessuna delle possibili restrizioni suggerite da medici ed esperti o sperimentate da altri paesi è stata messa in campo. Niente obbligo di mascherina Ffp2, nessun invito al telelavoro, anzi: ritorno obbligatorio in sede per tutti i dipendenti pubblici.

Niente coprifuoco, né allungamento delle ferie scolastiche natalizie – nella conferenza stampa Draghi ha invece rivendicato orgogliosamente la scelta di non chiudere qualche giorno in anticipo sul calendario.

Non sembra un caso se la parte del discorso relativa alla pandemia è arrivata dopo quella sui risultati economici, nella quale Draghi ha celebrato il rimbalzo del Pil rispetto all’anno scorso e la rinnovata fiducia degli investitori internazionali nel paese.

Le due questioni, per il presidente del Consiglio, sono molto legate. La normalità, o la sua apparenza, è ciò che permette all’economia di marciare e quest’ultima è quella che Draghi considera la sua priorità, almeno tanto quanto lo è proteggere il paese dal contagio. 

Chiusure non escluse

Ma Draghi non è il primo ministro britannico Borish Johnson, che ha tenuto il paese aperto tutta l’estate nonostante le decine di migliaia di nuovi casi quotidiani e un bilancio medio di 150 decessi al giorno.

Arrivato al governo nel pieno della terza ondata causata dalla variante Alfa, Draghi ha resistito per settimane a imprenditori e forze politiche che gli chiedevano un radicale e immediato abbandono della strategia del governo precedente.

Le riaperture sono arrivate solo quando i casi hanno iniziato a calare nettamente. Gli esempi che segue Draghi sono i grandi paesi continentali, Germania e  Francia, non certo i poco ortodossi britannici o svedesi.

«Ogni decisione è guidata dai dati, non dalla politica», ha ricordato oggi. Significa che il presidente del Consiglio non intende farsi impiccare alla promessa di «riaperture irreversibili» fatta all’inizio della scorsa estate.

Se i nostri vicini torneranno a chiudere, se gli ospedali torneranno ad aver di fronte file di ambulanze con a bordo pazienti che rischiano di soffocare, Draghi fa sapere che il governo non sente di avere le mani legate e tutte le opzioni restano sul tavolo.

Il rovescio della medaglia e che non abbiamo intenzione di fare nulla per evitare che questo accada, se non sperare e vaccinare (che però, come hanno ricordato le autorità sanitarie europee, con Omicron non è più abbastanza).

La pandemia è imprevedibile e non possiamo escludere che l’Italia sarà la fortunata eccezione di questa ondata a cui viene risparmiato il picco peggiore. Ma se così non fosse, se a gennaio i 30mila casi al giorno di oggi si trasformassero in 60mila, saremmo di nuovo allo stesso punto di un anno fa. All’inseguimento di una pandemia che continua a restare sempre un passo davanti ai nostri governi.

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