«Non credo ci sia molto da riflettere». Con queste parole il presidente del Consiglio Mario Draghi ha liquidato ieri di fronte alla Camera l’incidente diplomatico scoppiato con la Commissione europea a causa delle nuove limitazioni anti Covid per i viaggiatori provenienti dall’Unione europea.

Le nuove regole, annunciate mercoledì sera dal ministro della Salute Roberto Speranza, prevedono un test molecolare entro 48 ore dall’arrivo in Italia o uno antigenico entro 24. Inoltre, chi non è vaccinato dovrà rispettare un periodo di quarantena di cinque giorni. Queste regole sono in vigore da oggi, 16 dicembre, fino al 31 gennaio.

L’incidente

L’annuncio non è stato gradito dalla Commissione europea, che dall’inizio della pandemia sta cercando di armonizzare le norme sugli spostamenti tra paesi, con risultati piuttosto alterni.

«Decisioni di questo tipo da parte degli stati membri riducono la fiducia delle persone nelle regole europee», ha detto la vicepresidente della Commissione Věra Jourová, promettendo che del tema si discuterà alla riunione dei capi di governo europei che si svolgerà oggi.

Mercoledì, il solco tra Italia e Commissione si è ulteriormente allargato. Durante la conferenza stampa di mezzogiorno, Christian Wigand, uno dei portavoce della Commissione, ha ricordato che gli stati membri sono tenuti a informare la Commissione con 48 ore di anticipo sulle nuove limitazioni ai cittadini europei. Wigand ha specificato che l’Italia non ha fornito alcun preavviso e che la Commissione ha provveduto a ricordare al governo italiano i suoi obblighi.

La risposta

Draghi non è sembrato prendere bene queste critiche e nella sua relazione alla Camera in vista del consiglio europeo di oggi, ha minimizzato la questione: «I contagi sono in aumento in tutta Europa: nell’ultima settimana, all’interno dell’Unione Europea, si sono registrati in media 57 casi al giorno ogni centomila abitanti. In Italia, l’incidenza è più bassa, quasi la metà». Draghi ha poi aggiunto a braccio una frase non presente nel testo ufficiale del discorso, una risposta diretta alla Commissione: «Da noi i contagi con Omicron sono meno dello 0,2 per cento, in altri paesi la variante è molto diffusa per cui si è pensato di attuare la stessa pratica che si usa oggi per i visitatori che provengono dal Regno Unito: il tampone».

In Italia, come in Spagna e Portogallo, l’epidemia appare effettivamente in ritardo rispetto al Nord Europa. Secondo l’ultimo rapporto dell’European Centre for Disease Prevention and Control, che risale a giovedì scorso, l’Italia era l’unico paese europeo ancora caratterizzato da un rischio «molto basso».

Meno affidabili sono invece i dati sulla circolazione della variante Omicron nel nostro paese. Fino a ieri sera, i casi identificati erano meno di trenta, ma in rapporto alla popolazione l’Italia è uno dei paesi che fanno meno sequenziamenti e che quindi hanno meno possibilità di misurare effettivamente la diffusione della variante.

Europa divisa

La decisione del governo italiano arriva in un momento in cui gli stati membri e la stessa Commissione sono divisi su come affrontare il tema delle restrizioni. Accanto a chi dà la precedenza all’armonizzazione delle regole e alla libera circolazione almeno dei vaccinati, come la vicepresidente Jourová, ci sono altri che preferirebbero un approccio più duro e rapido, senza attendere un coordinamento centrale.

Paesi come la Grecia, che proprio ieri ne ha approfittato per annunciare una serie di restrizioni pressoché identiche a quelle italiane a partire dal prossimo 19 dicembre.

Questi nodi verranno probabilmente al pettine nella riunione di oggi. Sembra improbabile che a spuntarla saranno i fautori dell’approccio coordinato.

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