Il dibattito sul ruolo della Lega e dei suoi sodali in vista delle europee 2024 si fonda su una grande svista, un’illusione ottica. Il vero nodo non è l’ingresso o meno di Matteo Salvini e della sua famiglia politica in un’alleanza delle destre europee. Anche se non ne fa una bandiera, il leader dei Popolari europei Manfred Weber ha già tagliato il cordone sanitario pure nei confronti di Identità e democrazia, il gruppo del quale fanno parte Lega, Le Pen e altri partiti di estrema destra come Afd. Dopo aver normalizzato i conservatori di Giorgia Meloni, Weber sta assimilando gradualmente anche i cosiddetti sovranisti.

La contesa è sugli equilibri di potere. Tutta la strategia weberiana di slittamento a destra è costruita in modo da lasciare la guida delle operazioni al Ppe, che al momento è il principale gruppo politico europeo, ma è destinato a perdere seggi nel 2024. Non a caso, interrogato da Domani su un’apertura alla Lega, il leader popolare dirotta la risposta sul «momentum del Ppe». La sua strategia di assimilare gli estremi avviene in modo progressivo, con una cooptazione graduale, mantenendone la regia. Così ha fatto nel 2021, quando ha stabilito una cooperazione con Meloni in cambio del boicottaggio del gruppone delle destre estreme.

Ora l’operazione verrà replicata con Id. Ecco perché il leader dei conservatori all’Europarlamento, il meloniano Nicola Procaccini, nell’intervista a Domani ventila un ruolo di «mediazione» per la Lega, che dovrebbe fare da pontiere proprio come in precedenza ha fatto Meloni con il Ppe. La premier era stata il ponte tra Weber e i conservatori. Nel caso di Id si tratta di tenere aperti i canali con le formazioni più estreme, sterilizzandone gli eccessi.

Anello dopo anello, insomma, ci si congiunge. Ma per gradi, così da lasciare in posizione di pilota anzitutto Weber e poi la sodale Meloni.

Il cordone che non c’è

Se ci atteniamo ai fatti, una cooperazione trasversale che si estende dal Ppe fino alla punta più estrema di Id esiste già. Manfred Weber ha lanciato una serie di test per collaudare in aula il fronte delle destre: il più recente è il voto di mercoledì sulla Nature restoration law, ma prima c’erano stati altri posizionamenti comuni contro il Green Deal, e un emendamento anti migranti che chiedeva di finanziare con fondi europei le infrastrutture di frontiera (semplificando, i “muri”). Sia i racconti dietro le quinte degli eurodeputati che i registri di voto confermano un dato di fatto: Id – quindi Lega, Rassemblement National, Alternative für Deutschland e altre formazioni di destra estrema – votano già con conservatori e popolari.

Ci sono i fatti, e poi c’è l’illusione ottica. Antonio Tajani (Forza Italia e quindi Ppe) ha mandato a dire a Salvini che «i popolari non si alleeranno mai con partiti antieuropeisti: siamo pronti a fare alleanze con la Lega anche in Europa, ma non con Le Pen o Afd». Ma questa dichiarazione non va fraintesa. Il Ppe vota già con Le Pen e Afd ma il punto è che non lo può pubblicizzare: Weber non può spaventare il suo elettorato in Germania sulle aperture all’Afd, e Tajani punta ad attrarre gli elettori moderati.

Più che l’etica conta la convenienza elettorale. Inoltre ponendosi come gatekeeper – e cioè come il decisore su chi ha accesso oppure no al potere – Weber mantiene il Ppe in un ruolo di perno del fronte di destra, governando così il cambio di equilibri atteso con il voto di giugno 2024. Abbiamo chiesto a Weber se è vero, come dice Tajani, che un’apertura verso la Lega è possibile, e ha risposto non a caso che «stiamo lavorando come Ppe per difendere i nostri interessi, c’è un momentum per noi, stiamo ricomponendo il quadro».

L’assimilazione per gradi

Nel 2021 Salvini, Le Pen e Orbán hanno puntato sul gruppone delle destre estreme avvertendo il Ppe che avrebbe avuto bisogno dei loro voti per poter mantenere il comando. Non è che Weber non lo sapesse. Semplicemente, per lui il piano era un altro: assimilarle gradualmente, le destre estreme, restando il perno.

È quel che sta avvenendo. Anzitutto, già nel piano del gruppone, la Lega era stata persuasa a lasciar fuori Afd, che non figurava nella lista dei partiti della costituente. Poi Giorgia Meloni ha boicottato il gruppone in sé, e ha ottenuto in cambio l’alleanza tattica con il Ppe. In sostanza Weber ha sventato un fronte compatto di estreme destre, ha mantenuto la guida dell’operazione e ha iniziato a cooptarle per gradi, cominciando da Meloni e dai conservatori. A gennaio 2022, alle elezioni di metà mandato del parlamento Ue, «Ecr ha ottenuto una vicepresidenza come premio per non aver accettato di fondersi a Id», dice Marco Campomenosi che è il capodelegazione della Lega. In quel patto di metà mandato sono entrati i conservatori, mentre Id è rimasto fuori dagli incarichi, come se esistesse ancora un cordone sanitario.

Ma da allora i ponti sono stati costruiti anche in quella direzione. Emblematica un’elezione che si è tenuta nel 2023 per rimpiazzare alla vicepresidenza Eva Kaili. Ha vinto il socialista Marc Angel, ma Campomenosi nota che Weber ha lanciato segnali in direzione di Id: «Avevamo candidato la leghista Annalisa Tardino e abbiamo calcolato che proprio dai popolari le sono arrivati almeno una cinquantina di voti».

Per non parlare del fronte comune e dei voti congiunti anti clima. Ma Weber li dirige: è questo che conta, nella sua tattica. Mantenersi pilota. Ora i meloniani, i primi a essere cooptati, intravedono non a caso lo stesso schema per la Lega: Procaccini nell’intervista a Domani ha sostenuto che la Lega restando in Id può svolgere una «preziosa funzione di mediazione», garantendo a Ppe e Ecr canali aperti con l’ala più a destra, ma sterilizzando eccessi e divergenze.

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