La Corte penale internazionale potrebbe emettere un mandato di arresto nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu, del ministro della Difesa Yoav Gallant e del capo di stato maggiore dell’esercito Herzi Halevi. Se incriminati, non potrebbero recarsi in nessuno dei 124 stati che riconoscono il tribunale penale con sede all’Aia, in Olanda.

Secondo indiscrezioni confermate lunedì dal New York Times, ai vertici israeliani sarebbero contestati eventuali crimini di guerra in violazione del principio di «distinzione, precauzione e proporzionalità» nella reazione su Gaza. Anche se l’indagine della corte de L’Aia parte da lontano, nel 2014, e «si estende all’escalation delle ostilità e della violenza dopo gli attacchi avvenuti il 7 ottobre», come ha spiegato il procuratore capo della Cpi Karim Khan. Sempre secondo il quotidiano statunitense, analoghi provvedimenti potrebbero essere emessi nei confronti dei leader di Hamas.

Netanyahu teme un ulteriore isolamento internazionale e attacca: «Sotto la mia guida, Israele non accetterà mai alcun tentativo di minare il suo diritto intrinseco all'autodifesa». Anche gli Stati Uniti stanno facendo pressioni sulla corte: «Gli Stati Uniti non supportano l'indagine della Corte penale internazionale. Non crediamo abbia la giurisdizione», ha detto la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre.

Le nuove accuse nei confronti del governo israeliano si muovono in parallelo a quelle di genocidio formulate presso la Corte internazionale di giustizia dal Sudafrica, e sarebbero un ulteriore problema politico e di immagine per Netanyahu. Ma dal punto di vista giuridico le conseguenze sono incerte, perché Israele (come gli Stati Uniti) non riconosce la Corte penale internazionale e ne contesta la giurisdizione.

Cosa è la Corte penale internazionale

La Corte penale internazionale è l’unico tribunale internazionale con il potere di perseguire individui accusati di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità. Pensata già nel 1948, è stata istituita nel 1998 con la firma dello statuto di Roma ed è entrata in vigore nel 2002, sulla scia dei crimini commessi nella ex Jugoslavia e in Rwanda.

Oggi la Corte dell’Aia conta 124 stati membri, ma tra questi non fanno parte tre membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Stati Uniti, Russia e Cina), oltre a Israele, India o Ucraina. Per questo motivo gli Usa, nel tentativo di fare pressioni sulla corte affinché non emetta provvedimenti contro i vertici del governo israeliano, ne contesta la giurisdizione.

La differenza con la Corte internazionale di giustizia

A differenza della Corte internazionale di giustizia, che è un organo giudiziario delle Nazioni unite istituito per risolvere le controversie tra paesi e che si dovrà esprimere sull’accusa di genocidio mossa a Israele dal Sud Africa, la Corte dell’Aja ha invece il compito di giudicare individui (e non stati) ritenuti colpevoli di crimini internazionali.

Qual è la sua giurisdizione

«La Cpi non dispone di una propria forza di polizia o di un organo di applicazione», si legge sul suo sito, «pertanto fa affidamento sulla cooperazione con i paesi di tutto il mondo per il supporto, in particolare per effettuare arresti e trasferire le persone arrestate al centro di detenzione a L'Aia».

Tradotto: sono i singoli stati membri a dover arrestare qualsiasi individuo contro il quale la Cpi ha emesso un mandato. Se venissero coinvolti, vorrebbe dire che Netanyahu e Gallant correrebbero il rischio di arresto nei paesi alleati. La corte dell’Aia può processare gli individui per i crimini di cui è competente commessi sul territorio di Stati aderenti oppure per quelli commessi da parte di uno o più suoi cittadini.

Cosa contesta (e cosa rischia) Israele

Il caso accelera oggi con la possibilità d’arresto dei vertici del governo israeliano ma nasce nel 2014, quando la corte ha iniziato a indagare formalmente sulle violenze a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Nel 2021 la Cpi ha stabilito di avere competenza su questi territori ed è in questo modo legittimata a indagare sui crimini di guerra commessi sia in Palestina da parte di Israele, sia dai palestinesi in territorio israeliano.

La questione della giurisdizione sui territori palestinesi è legata a doppio filo al problema della statualità della Palestina. Ma dopo che l’Assemblea generale dell’Onu le ha riconosciuto lo status di “paese osservatore”, anche la corte dell’Aia ha considerato i territori sotto la propria giurisdizione. E per questo, anche se Israele ha firmato ma non ha mai ratificato lo statuto di Roma, la procura ha l’obbligo di investigare se a commettere crimini internazionali sono commessi da esponenti dei paesi membri o, come in questo caso, se all’interno dei confini degli stati aderenti vengono commessi crimini internazionali.

Secondo le prime indiscrezioni, non è ancora chiaro quale sia il capo d’imputazione ma l’accusa principale contro Netanyahu sarebbe quella di «affamare deliberatamente i palestinesi di Gaza». Se incriminati, Netanyahu, Gallant e Halevi, insieme ai capi di Hamas, sarebbero colpiti da un mandato di arresto internazionale e non potrebbero recarsi in nessuno dei 124 stati che riconoscono il tribunale penale dell’Aia.

I precedenti

Il caso più recente è quello che ha riguardato il presidente russo Vladimir Putin su cui, nel marzo del 2023, è stato emesso un mandato di arresto internazionale da parte della corte dell’Aia per i crimini di guerra commessi in Ucraina e, in particolare, per il trasferimento forzato di bambini ucraini in Russia.

Ma il precedente più significativo è quello di Slobodan Milosevic, l’ex presidente serbo incriminato da un apposito Tribunale Internazionale per la guerra nell'ex-Jugoslavia e poi arrestato nel 2001 e consegnato al tribunale dell'Aja, dove morì in carcere nel 2006, prima che i giudici arrivassero a un verdetto. Dopo la sua scomparsa, i giudici lo hanno ritenuto colpevole di genocidio.

Tra i leader finiti alla sbarra della corte penale internazionale ci sono stati anche l’ex presidente libico Muammar Gheddafi, quello sudanese Omar al Bashir e l’ex vicepresidente del Congo ean-Pierre Bemba.

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