- Nelle cosiddette “Valli valdesi” (Alpi Cozie del Piemonte) nel 1943 Altiero Spinelli (insieme a Mario Alberto Rollier) gettava le basi filosofiche e politiche del suo manifesto federalista europeo, trovando riparo insieme a Vittorio Foa, reduce dal confino trascorso sull’isola di Ventotene.
- A quasi 80 anni di distanza, dal 22 al 25 agosto, tra queste valli che guardano da sempre all’Europa democratica e dell’uguaglianza sociale, si sta svolgendo il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, il massimo organo decisionale dell’Unione delle chiese. Un “Parlamento” democratico delle chiese protestanti (con funzione deliberativa), chiamato a programmare le future scelte.
- Cento anni dopo le descrizioni di questo popolo che ne faceva Edmondo De Amicis, occorre riconoscere alle comunità valdesi, oltre quelle culturali e politiche, altre qualità: nel garantire e finanziare azioni concrete di solidarietà, in maniera totalmente trasparente con le risorse dell’otto per mille delle dichiarazioni dei redditi che ogni anno vengono assegnate all’Unione delle chiese metodiste e valdesi, lì dove lo stesso intervento statale appare essere più debole.
Nelle cosiddette “Valli valdesi” (Alpi Cozie del Piemonte) nel 1943 Altiero Spinelli (insieme a Mario Alberto Rollier) gettava le basi filosofiche e politiche del suo manifesto federalista europeo, trovando riparo insieme a Vittorio Foa, reduce dal confino trascorso sull’isola di Ventotene. A Torre Pellice, nell’estate di quello stesso anno, qui trovarono rifugio diverse famiglie che a partire da questi luoghi vi organizzarono la Liberazione dalla dittatura nazi-fascista.
Come ha ricordato lo storico Giorgio Spini: «La sera dell’8 settembre, al termine dei lavori del più difficile Sinodo valdese, decidemmo di imbracciare le armi. Finalmente decidemmo, anche quelli come me che non sono particolarmente eroici né chiaroveggenti, di non avere più paura».
A quasi ottanta anni di distanza, dal 22 al 25 agosto, tra queste valli che guardano da sempre all’Europa democratica e dell’uguaglianza sociale, si sta svolgendo il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, il massimo organo decisionale dell’Unione delle chiese. Un “parlamento” democratico delle chiese protestanti (con funzione deliberativa) chiamato a programmare le future scelte delle chiese. Il Sinodo è una assise fortemente democratica ed è costituito dai deputati delle chiese locali, da un numero di pastori equivalente e dai responsabili di particolari settori di attività. Ai membri con voce deliberativa si aggiungono, poi, un numero variabile di membri con voce consultiva.
Al di là dell’aspetto procedurale, ciò che si osserva è l’idea di pluralismo culturale, politico, sociale e religioso di cui sono nutrite le chiese protestanti e che emerge in queste giornate sinodali che si tengono a Torre Pellice. La “Capitale” italiana delle comunità protestanti, una piccola «Ginevra d’Italia» - così la definiva Edmondo De Amicis nel suo libro “Alle Porte d’Italia” - «in mezzo a un popolo singolare, che ha una storia propria, la cui origine si perde nell’oscurità del medio evo, una fede sua, una sua letteratura, un suo dialetto, un particolare organamento religioso democratico», ed è così che descriveva l’intellettuale e scrittore le comunità valdesi di inizio ‘900 alle quali egli era legato per la comune sensibilità alle cause delle minoranze, dei più poveri e vulnerabili.
Dove sono nati i corridoi umanitari
Il Sinodo discute in questi giorni (in modo ecumenico con ospiti non appartenenti al mondo religioso protestante) di diritti umani, di tutela delle minoranze, di pluralismo religioso, di migrazioni, di guerre. Di corridoi umanitari, naturalmente. E non poteva essere altrimenti. Perché è proprio qui a Torre Pellice, qualche anno fa, all’apice della guerra in Siria che aveva già provocato milioni di profughi, che maturò l’idea dei corridoi umanitari organizzati e promossi fin dal 2016 dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) insieme alla Comunità di Sant’Egidio (cattolici) e alla Tavola Valdese (protestanti).
Le stesse organizzazioni hanno siglato solo qualche settimana fa un nuovo protocollo con il Dipartimento per le libertà civili del Ministero dell’Interno «per riportare dalla Libia 500 migranti attraverso i corridoi umanitari», come ha rivelato la stessa ministra, Luciana Lamorgese. E ora le stesse chiese protestanti, insieme sempre alla Comunità di Sant’Egidio, hanno lanciato (per primi) la proposta dei corridoi umanitari dall’Afghanistan. Esempio seguito da molti governi europei, anche se per ora il tutto appare come uno sterile dibattito politico.
«Le nostre comunità hanno avuto una capacità visionaria», ha detto nel corso del dibattito durante la consueta serata pubblica del Sinodo (alla quale hanno preso parte anche Annalisa Camilli, Stefano Allievi e il capo delegazione Pd al Parlamento europeo, Brando Benifei) Marta Bernardini, operatrice impegnata negli sbarchi da sette anni all’isola di Lampedusa e coordinatrice di Mediterranean Hope, il programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia che organizza i corridoi umanitari dai campi profughi del Libano.
«Le nostre chiese hanno indicato una strada. Ora spetta alla politica percorrerla. I corridoi umanitari sono uno strumento, una buona pratica, seppur una goccia nel mare, che ci auguriamo possa diventare strutturale, duraturo», ha ribadito Bernardini citando Gino Strada: «Perché i diritti o sono di tutti, oppure sono privilegi».
«Tutti i governi europei non fanno abbastanza su questi temi. Orban e gli altri governanti che alzano muri sono dei facili cattivi», ha ricordato il deputato europeo, Brando Benifei, sottolineando di «aver fatto parte della delegazione di eurodeputati che fu bloccata alla frontiera tra Bosnia e Croazia dalla polizia croata, a cui non fu consentito di guardare con i nostri occhi quello che accade ai confini d’Europa» e ribadendo, di contro, «la necessità di tornare alle origini dell’idea fondante dell’Ue, al progetto politico di Europa libera di Spinelli, basata sulla solidarietà, su valori che anche oggi ci possono indicare la via».
Una chiesa donna
Vista da qui, Torre Pellice appare essere oggi la culla italiana di quei valori, perlomeno a voler giudicare dal senso della proposta protestante di società.
«Dobbiamo costruire qualcosa di diverso, che possa insegnare come la cura e le parentele non devono avere per forza un vincolo di sangue», ha detto durante il Sinodo la pastora della chiesa valdese di Milano, Daniela Di Carlo, a proposito dell’accoglienza dei migranti, e poi ha aggiunto: «Come chiese abbiamo spezzato molti tabù: oggi occorre generare parentele coi migranti, perché la cura è una delle pratiche più radicali che abbiamo a disposizione».
È una chiesa in cui nei ruoli apicali emergono le donne, quella valdese e metodista, anche a considerare la loro presenza negli organismi direttivi. La Tavola Valdese (organo esecutivo), è composta da cinque donne su sette membri. Nelle chiese protestanti le donne accedono ormai da molti anni al ministero pastorale. Decisione che fu presa durante il Sinodo del 1962; nel 1967 fu consacrata la prima “pastora” (così si è soliti definire le donne pastore).
Alessandra Trotta è la moderatrice della Tavola Valdese, dunque una donna a capo di una chiesa. Ci fu un precedente. Quello di Maria Bonafede. Palermitana di origini, Trotta è stata eletta nel ruolo durante il Sinodo del 2019 e ora procede verso la riconferma, forte anche di una biografia particolarmente impegnata sui temi dei diritti umani e della solidarietà.
Per diversi anni Trotta è stata direttrice del Centro Diaconale “La Noce” di Palermo, l’Istituto valdese che «fornisce da 50 anni servizi, a titolo gratuito, finalizzati all’emancipazione dell’individuo, ed offre prioritariamente i suoi servizi all’infanzia svantaggiata per il superamento dei condizionamenti sociali, culturali e psicofisici» e che si trova in uno dei quartieri più svantaggiati di Palermo, dove le chiese e la società civile hanno sottratto, dunque, spazio politico e sociale al governo delle mafie.
L’otto per mille della solidarietà
Cento anni dopo la rappresentazione di una comunità, quella narrata da De Amicis, è possibile ancora oggi riconoscere alle comunità valdesi (oltre quelle culturali e “politiche”, spirituali e teologiche), molte qualità. Ad esempio, quella di garantire, finanziare (restituendo alla comunità i soldi dei contribuenti con l’Otto per mille assegnati all’Unione delle chiese metodiste e valdesi - il resoconto annuale dei progetti finanziati è sempre disponibile e pubblicato) azioni concrete di solidarietà, in maniera trasparente, lì dove nemmeno lo stesso Stato riesce, o non vuole. A volte. Stando agli ultimi dati dello scorso anno che fotografano le erogazioni ottenute e i progetti approvati sono circa 42 milioni e 800mila le cifre utilizzate per finanziare 452 progetti all’estero e 791 progetti in Italia in ambito educativo, umanitario, socio sanitario e culturale, per un totale di 1243 progetti approvati.
Soldi dei contribuenti spesi bene. Per il miglioramento delle condizioni di vita di soggetti affetti da disabilità fisica e mentale, per finanziare attività di accoglienza e di inclusione di rifugiati e migranti (4 milioni di euro). Per le attività culturali e per la crescita dei bambini (più di 15 milioni di euro). Si apprende anche questo seguendo il lavoro dei protestanti riuniti al Sinodo, (presieduto quest’anno dall’ex ministro socialista, Valdo Spini, figlio dello storico Giorgio Spini).
Quassù, riprendendo ancora De Amicis, «in mezzo a un popolo raccolto quasi tutto e accampato in una vasta fortezza quadrilatera di montagne dirupate e boscose, compresa tra l’alta Valle del Po, la frontiera del Definato e la Valle Susa», si contribuì a far nascere 80 anni fa l’Europa dei diritti e della solidarietà, fondata sulle idee di libertà e di uguaglianza politico e sociale. Oggi di quei valori quelle stesse valli così dette valdesi ne costituiscono la culla italiana, forse anche europea.
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