Questa non è certo la prima volta che il premier sloveno mette in imbarazzo l’Europa. Per dirne una, Janez Jansa è stato praticamente l’unico dei leader dell’Unione a twittare che era il suo amico Donald Trump, il vero vincente alle ultime elezioni Usa: «Più si insiste a voler ritardare o negare l’assegnazione della vittoria a lui, più ne esce forte». Stavolta però lo scivolone è più pericoloso, per l’Unione europea. Jansa ha la presidenza di turno e si arroga ora il diritto di negare accoglienza agli afghani a nome dell’Europa tutta. Per usare le sue parole: «L’Ue non aprirà nessun corridoio umanitario né canali migratori, per l’Afghanistan. Non permetteremo che si ripeta l’errore strategico del 2015. Offriremo aiuto solo a chi a sua volta ce l’ha dato durante l’intervento Nato, e agli stati membri che proteggono la nostra frontiera esterna». Il motivo per cui questa uscita di Jansa suscita disagio non è tanto e solo perché trae conclusioni che l’Ue formalmente non ha ancora tratto, ma anche perché scopre le carte: è vero che questa è la posizione dei governi? Chi si oppone ai corridoi umanitari?

La polemica

«Presidente Jansa, questa posizione contro i corridoi umanitari dove è stata discussa e decisa? Lei non ha titolo a parlare a nome dell’Ue senza mandato», ha reagito sùbito dal gruppo socialdemocratico Brando Benifei, che è il capodelegazione Pd all’Europarlamento e che assieme ai colleghi già una settimana fa ha chiesto formalmente a Charles Michel, Ursula von der Leyen e Joseph Borrell l’apertura dei corridoi e un Consiglio europeo straordinario sul tema. Anche il commissario Paolo Gentiloni aveva da sùbito preso posizione per i corridoi. Dopo l’uscita di Jansa, il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, ha ribadito a nome degli eletti europei che «non sta alla presidenza slovena decidere la linea, ci si confronti nelle istituzioni Ue, certo è che abbiamo bisogno di solidarietà». Risposta del premier sloveno: «Sta agli stati membri decidere se vogliono un’altra ondata migratoria oppure no. Al momento questa ipotesi non ha consenso».

Gli anti-solidali

Quando ha assunto la presidenza di turno, Jansa è stato oggetto di critiche da parte degli eurodeputati per due motivi: che sotto la sua guida la Slovenia non brilla sul versante dello stato di diritto, e che il premier sloveno emula, spalleggia e viene supportato dal suo omologo ungherese Viktor Orbán. Le parole anti-accoglienza pronunciate ieri rispecchiano senz’altro la posizione dell’Ungheria, che rispetto agli altri stati membri si è distinta da subito: non ha neppure sottoscritto la prima dichiarazione di supporto alla popolazione promossa dall’alto rappresentante Borrell.

Sempre a est, Polonia e paesi baltici stanno innalzando muri per evitare gli arrivi dal confine con la Bielorussia.

La stessa linea di chiusura è condivisa dalla mitteleuropea Vienna, che è governata da Sebastian Kurz, il cancelliere che ha già trasformato le pulsioni antimigratorie in capitale politico. «Accettare volontariamente altra gente? Non accadrà certo durante il mio mandato», le sue parole di adesso.

Cosa succede ora

Ma anche senza sconfinare a est o tra i più irriducibili avversari dell’accoglienza, stavolta anche Francia e Germania puntano più all’esternalizzazione dei rifugiati in Turchia, Iran e Pakistan; e l’Italia all’ultimo consiglio Ue ha supportato questo scenario. Che prende forma: mentre Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ne discute con il presidente turco Erdogan, l’alto rappresentante Borrell intrattiene telefonate con il governo pachistano. L’uscita di Jansa costringe i governi europei a venire allo scoperto. «Serve un dibattito, per ora ci sono state solo parole a metà, mi aspetto un Consiglio europeo in tempi rapidi», dice Benifei, che pretende anche «che Jansa venga a riferire all’Europarlamento» ed è certo che alla plenaria di settembre i deputati prenderanno posizione sui corridoi.

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