War is over, And what we have done? Si chiedeva John Lennon. La guerra in Afghanistan è finita, e come si può capire dalle (poche) notizie che i media nostrani riportano, è finita malissimo. I talebani, il nemico da sconfiggere, hanno riconquistato pressoché tutto il paese che eravamo andati a “liberare”. Lashkar Gah, Herat, Kandahar, e tutte le principali città sono oggi sotto il loro controllo.

A volte dopo combattimenti in cui come sempre a morire sono i civili, a volte senza colpo ferire perché le truppe governative che abbiamo, insieme agli inglesi e agli statunitensi, addestrato e rifornito di armi, hanno scelto di farsi da parte. Ovviamente consegnando al nemico le armi donate dagli occidentali, quando non disfandosi della divisa e indossando un turbante nero.

La fuga

A Kabul è cominciata la grande fuga dei civili, le migliaia di afghani che hanno in qualche modo collaborato con gli occidentali rischiano la vita, e nessuno vuole rimanere sotto il tiro dei cannoni che presto ricominceranno a colpire la capitale.

Gli occidentali scappano a gambe levate. Chi conosce meglio il paese si rifugia nella valle del Panjshir, roccaforte pressoché inespugnabile un tempo base dei soldati di Massoud, il mitico comandante, l’unico che avrebbe potuto sconfiggere i talebani, che fu misteriosamente ucciso in un attentato negli stessi giorni in cui le torri gemelle crollarono.

In quella valle, ancora oggi tabù per le truppe talebane, Gino Strada ha posto la prima pietra del primo ospedale di Emergency. Era il 1999, e da allora i pazienti curati nei tre ospedali e nei tanti posti di primo soccorso sparpagliati in quel paese sono stati oltre sette milioni e mezzo: feriti di questa guerra – di cui Gino ha sempre e a ragione proclamato l’assurdità – curati indipendentemente dal colore della loro divisa. Feriti dai milioni di ordigni inesplosi e di mine di cui il paese è disseminato fin dai tempi dell’invasione sovietica, anch’essa finita in tragedia per i russi.

Cosa resta

Ma noi occidentali, per riprendere la domanda di Lennon, che cosa abbiamo fatto? L’Afghanistan che abbiamo lasciato – ospedali di Emergency a parte – non è certamente un paese migliore di quello che andammo a provare a conquistare o, come ci hanno detto, “liberare”.

Dal punto di vista militare e politico, la situazione oggi è assolutamente identica a quella di venti anni fa. In una sola settimana i talebani hanno riconquistato tutto il paese tranne, appunto, la valle del Panjshir. Insieme al paese hanno conquistato, oggi sono dunque ancora più forti, anche tutte le armi e le infrastrutture che l’occidente ha portato in Afghanistan.

La corruzione è dilagata ovunque, e in questo noi italiani non siamo stati certamente un buon esempio. Ricordo l’usanza delle nostre truppe (certamente di buon senso) di prendere contatto con i signori della guerra delle zone che andavamo a “controllare” per distribuire prebende onde evitare attentati o offensive militari.

E anche per questo, oltre che per la maggiore umanità e professionalità dei nostri militari, nonostante l’Italia abbia pagato questa guerra anche con oltre 50 vite umane, il nostro contingente è stato di gran lunga il meno funestato da attacchi tra quelli presenti in un Afghanistan che, va detto, nessuno straniero è mai riuscito a conquistare nella storia.

L’eroina era pressoché sconosciuta prima dell’arrivo delle truppe occidentali, i contadini afghani si limitavano a coltivare papaveri da oppio, usato come tranquillante e come antidolorifico dai locali e venduto all’estero per essere raffinato in eroina.

Nel 2001 sono stati i talebani a tagliare drasticamente la produzione di oppio portandola a meno di 74 tonnellate. Dopo 20 anni di occupazione militare la produzione è oggi di oltre ottomila tonnellate, con un volume di affari che sfiora i 5 miliardi di euro. E questo nonostante la lotta alla produzione dei “papaveri da sonno” – come li chiamavano anche da noi nel passato – fosse una delle tante giustificazioni che i governi dell’occidente abbiano propinato all’opinione pubblica per giustificare l’invasione.

Non solo, gli afghani hanno imparato a raffinare l’oppio e a produrre direttamente l’eroina, e sono numerosissime le testimonianze raccolte che sostengono la complicità statunitense nella trasformazione dell’oppio in eroina e nella commercializzazione nel mercato internazionale di questa droga.

La guerra più lunga

La guerra più lunga della storia italiana, 20 anni di presenza militare nel paese, è finita tanto per cambiare con una sconfitta nonostante i giganteschi investimenti fatti dal nostro e dagli altri paesi occidentali coinvolti nella missione Enduring Freedom, poi divenuta Isaf e poi ancora “Sostegno risoluto”. I governi che si sono succeduti dal 2001 a oggi hanno, indipendentemente dal loro colore politico, costantemente rifinanziato le missioni militari portando il totale della spesa a quasi nove miliardi di euro. Alla faccia dell’articolo 11 della Costituzione che ci impone di ripudiare la guerra.

Gli Stati Uniti hanno speso una cifra decisamente più impressionante solo per la guerra: 2.261 miliardi di dollari secondo uno studio della Brown University di Boston. A questa immensa montagna di denaro si devono poi aggiungere i soldi spesi dagli altri paesi occidentali della coalizione che avrebbe dovuto liberare il paese: Gran Bretagna, Germania, Canada, Turchia, Portogallo e un’altra trentina di nazioni.

Chiedete scusa

Chi ha sostenuto negli anni l’utilità della cosiddetta missione di pace in Afghanistan dovrebbe oggi, invece di incensare la figura di Strada, riconoscerne le ragioni e chiedere scusa. Perché se quelle migliaia di miliardi fossero stati spesi in infrastrutture civili, scuole, ospedali, università e magari anche per convincere a suon di bustarelle i signori della guerra e i capi talebani a deporre le armi, oggi non ci troveremmo nella identica situazione del 2001, ma molto probabilmente con un meraviglioso paese, quale è l’Afghanistan, pacificato, laico, e più simile alla Svizzera che non a una crudele macelleria umana. E senza aver causato milioni di morti e feriti civili.

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