In Italia nascono sempre meno bambini. L’ultimo report Istat sulla natalità e fecondità della popolazione residente conferma una tendenza in atto ormai dal 2008, anno in cui si è registrato il numero di nati vivi più alto dall’inizio degli anni Duemila.

Nel 2022 le nascite sono scese dell’1,7 per cento rispetto all’anno precedente: 393mila contro le 400mila del 2022. Nel 2008 erano state quasi 577mila. E pare che nel 2023 non andrà meglio. Secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio-giugno, le nascite sono circa 3.500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2022.

In un contesto di denatalità crescente, aumentano i figli nati fuori dal matrimonio, sono circa il 41,5 per cento del totale delle nascite dello scorso anno. Anche questo è un fenomeno osservabile sul lungo periodo, il dato infatti è in crescita dall’inizio del millennio.

Rimane stabile rispetto al 2021 l’età delle madri al parto: 32,4 anni. Ma, se analizzata sul lungo periodo, si può notare una lieve crescita.

Record negativi

Le donne tra i 15 e i 49 anni hanno in media 1,24 figli, un valore in costante calo dal 2010, anno in cui si era registrato il massimo di 1,44 figli per donna. Il dato però non è omogeneo, persistono differenze sul territorio nazionale. 

Il centro Italia presenta il tasso di fecondità più basso (1,16 figli per donna). Il nord e il mezzogiorno registrano un uguale livello di fecondità (1,26) con la differenza che i livelli di fecondità al nord continuano una graduale discesa, mentre il sud nell’ultimo anno è andato incontro a un lieve aumento.

Il massimo valore di fecondità si registra nella provincia autonoma di Bolzano (1,65), seguita dalla provincia autonoma di Trento (1,37). La regione con il livello più basso è la Sardegna (0,95).

Perché non si fanno più figli?

Nel report si trovano alcune risposte. «Il calo delle nascite è in parte causato dai mutamenti strutturali della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. In questa fascia di popolazione le donne sono infatti meno numerose di un tempo». Un secondo fattore sarebbe da ricercare nell’attenuazione dell’effetto «positivo sulle nascite determinato dalla popolazione straniera, esercitato a partire dai primi anni Duemila».

Tra gli altri elementi nel rapporto emergono l’allungarsi dei tempi di formazione dei giovani, le difficoltà nella ricerca di un lavoro stabile, la bassa crescita economica e il difficile accesso al mercato delle abitazioni.

Ma molti altri fattori intervengono sulla possibilità di scelta dei giovani, prima tra tutti la quasi totale assenza di strutture per la prima infanzia. In una ricerca del 2023 condotta da Community research and analysis per Plasmon è emerso che più di un italiano su due (53,5 per cento) dice di non volere figli a causa dei costi e della carenza di servizi per le famiglie.

Incide negativamente anche la paura di perdere il lavoro. Si parla delle «dimissioni in bianco», una pratica molto diffusa che prevede che il lavoratore, ma molto più spesso la lavoratrice, al momento dell’assunzione firmi un foglio di dimissioni, compilato poi nel caso di un comportamento sgradito, tipicamente quando c’è una gravidanza. Ed è così che, ancora una volta, le donne si trovano a scegliere tra lavoro e famiglia.

Un ruolo importante in questo senso può essere giocato dal governo. Nella precedente legge di bilancio era stato proprio questo esecutivo a tagliare l’iva dal 10 al 5 percento su pannolini e prodotti per l’infanzia.

Decisione che ora potrebbe essere invertita se la bozza verrà approvata senza modifiche. In quel caso l’iva su latte in polvere e preparazioni per l’alimentazione dei più piccoli, pannolini e altri prodotti per l’infanzia passerà nuovamente al 10 per cento. 

«Il tema della natalità è una priorità assoluta del nostro governo», aveva detto appena un mese fa al Budapest demographic summit la premier Giorgia Meloni. Una priorità però che pare rimanga tale solo sulla carta.

© Riproduzione riservata