Ci sono quattro notizie positive nella trapelata richiesta di Matteo Salvini di avere per la Lega il ministero della Famiglia e natalità.

La prima buona notizia è che si menzioni la natalità in un nome di un ministero.

È già una chiara indicazione dell’agenda politica da perseguire così come è stato, per la scorsa legislatura, l’istituzione del ministero della Transizione ecologica.

Un ministro si giocherà la faccia sulla questione della natalità e per non perderla dovrà far cambiare passo al paese.

Che ci sia la necessità di cambiare passo l’ha detto l’Istat qualche giorno fa pubblicando il report sulle previsioni demografiche del paese che stima al 2070 una popolazione di 47,7 milioni di residenti (contro gli attuali 59,2). Un calo di poco più di 11 milioni di abitanti, pari alla somma della popolazione di Calabria, Sardegna, Liguria, Marche, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Umbria e Basilicata.

Attenzione però: le previsioni dell’Istat sono basate su due assunti fondamentali: che il bilancio migratorio continui ad essere positivo e soprattutto che il tasso di fecondità risalga verso l’1,55 figli per donna.

Un assunto alquanto ottimistico, dato che oggi è attualmente a 1,25 e che correva l’anno 1982 l’ultima voltain cui è stato al di sopra di quella soglia. Per fare un paragone, questo è il tasso di paesi come la Germania (1,53), Norvegia (1,51) Regno Unito (1,57) e Slovacchia (1,57) che già da tempo si sono posti il problema della natalità e che sono intervenuti con politiche ben congegnate e sostanziose per raddrizzare la barra.

Insomma, è come se l’Istat avesse già scontato nelle sue previsioni la costituzione di un ministero per la natalità che prenda di petto la questione e che faccia finalmente qualcosa.

La seconda buona notizia è che un personaggio politico influente e determinato come Salvini abbia a cuore di controllare questo e non altri ministeri. Fino a qualche tempo fa il ministero senza portafoglio della famiglia è stato quasi sempre un ministero di secondo piano che consentiva di rispondere alle istanze provenienti da un certo elettorato – quello cattolico – sempre più marginale e di soddisfare il bilancino del genere nella distribuzione delle poltrone ministeriali. Un cambio di passo è certamente avvenuto con la ministra Elena Bonetti, che ha portato visibilità e risultati al tema, ma la discesa in campo diretta di Salvini segna un’ulteriore accelerazione: il leader della Lega sembra aver fiutato un cambiamento nell’ordine delle priorità del paese.

I limiti dell’assegno unico

La terza buona notizia è che mettendo la natalità accanto alla famiglia si sottolinea che le due questioni sono intrinsecamente collegate.

I figli nascono ancora nelle famiglie e l’evidenza empirica dice che famiglie stabili crescono in media più figli, i quali a loro volta hanno prospettive migliori in una serie di esiti misurabili quali l’abbandono scolastico e la salute fisica e mentale.

La spesa per le famiglie è un investimento sulla natalità. Che questo concetto semplice sia ancora spesso frainteso nel nostro paese lo si evince dalla misura dell’assegno unico e universale approvata lo scorso anno, che è più pensata come misura di contrasto alla povertà che come incentivo alla natalità.

Se ci fosse già stato un ministero per la natalità e la famiglia avrebbe forse imposto un assegno universale uguale per ogni nuovo figlio nato piuttosto che la misura fortemente legata all’Isee che è stata invece concepita.

La quarta notizia buona è che sembra di capire che Salvini non voglia quel ministero per sé.

La legislatura corrente si sta chiudendo con una oggettiva convergenza di intenti delle forze politiche sui temi proprio di questo ministero: basti ricordare che l’assegno unico e universale fu votato all’unanimità.

È fondamentale che il nuovo ministro continui su questa linea perché quella della natalità e del benessere delle famiglie è una battaglia comune che il paese non può permettersi di perdere.

 

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