Lo stato di salute e il futuro dei cosiddetti movimenti ecclesiali rappresenta una questione di capitale importanza per l’intero mondo cattolico. Dopo una lunga fase di espansione all’interno della società e della chiesa queste organizzazioni paiono aver imboccato una strada in ripida discesa.

Tra le cause del declino possono essere annoverati anche i tentativi di normalizzazione di questi gruppi messi in atto dalle gerarchie vaticane e da papa Francesco allo scopo di limitare i danni associati alla loro presenza nella vita dell’istituzione. 

I focolarini

Su questo tema ha richiamato l’attenzione il volume di Ferruccio Pinotti La setta divina. Il movimento dei focolari tra misticismo, abusi e potere (Piemme 2021, 496 pagine). Il libro accende i riflettori sui focolarini, l’importante organizzazione del laicato cattolico fondata da Chiara Lubich.

Pinotti ha condotto un approfondito lavoro d’inchiesta, ha esaminato una mole notevole di documenti, ascoltato moltissime voci, ricostruito la storia del gruppo e delineato il profilo culturale, politico e umano dei suoi leader.

Le tinte del quadro che emerge dalle 500 pagine del libro è molto netto: la fondatrice Lubich sarebbe stata una narcisista megalomane convinta di essere più o meno Gesù Cristo, l’organizzazione consisterebbe, al vertice, in un gruppo di potere spietato ed efficientissimo, capace di infilarsi nei gangli della politica e di generare notevoli fortune economiche, alla base, in un luogo di sistematiche umiliazioni, abusi di vario genere, violenze psicologiche, manipolazioni della coscienza e così via.

Le vittime di tutto questo sarebbero state coloro che, trovandosi in condizioni di particolare debolezza esistenziale, vuoi per un lutto difficile da elaborare, vuoi per una disgrazia economica o più semplicemente per la presenza di bisogni affettivi insoddisfatti, si sono fatti convincere a entrare nel gruppo e a sacrificarvi l’intera esistenza.

La loro purezza, il candore con il quale si sono avvicinati ai focolari, l’autenticità e la profondità della loro ricerca spirituale rappresentano l’unica cosa pulita che sembra provenire dalle tantissime interviste, dalle mille testimonianze raccolte da Pinotti.

Ben diversi sono stati i comportamenti dei capi dell’organizzazione, preoccupati soprattutto di non danneggiare la potentissima macchina costruita da Lubich, e per questo divenuti avvezzi a ogni manovra, anche quella di coprire per anni le malefatte di un dirigente francese del movimento, abusatore sessuale seriale di minorenni. 

La fisionomia culturale e politica dei focolarini non è particolarmente originale, dal momento che assomiglia in modo impressionante a quella di tutte le altre organizzazioni cattoliche sorte all’indomani del Concilio Vaticano II: Comunione e liberazione, i Neocatecumenali, il Rinnovamento nello spirito, eccetera.

Nel funzionamento di tutti questi gruppi – e di molte altre sette religiose non cattoliche – si riscontrano infatti, con qualche piccola variante, i sintomi che Pinotti ha descritto per i focolarini. 

La chiesa di Bergoglio

Nelle conclusioni del libro, il giornalista si interroga sulla strategia del papa nei loro confronti. Come si muoverà Bergoglio? Quale sarà il posto di questi gruppi nella chiesa del futuro? Nel rispondere a queste domande Pinotti fa osservare un’ambiguità di fondo nell’atteggiamento del pontefice.

Costui, infatti, per un verso ha ammonito a più riprese questo e altri «movimenti ecclesiali», arrivando in qualche caso - ad esempio, quello dei Memores Domini - al commissariamento, e stabilendo comunque per tutti un limite massimo di durata della leadership.

Per un altro verso, il pontefice argentino ha invece appoggiato senza esitare la beatificazione della Lubich, ricevuto nel settembre di quest’anno in pompa magna una folta rappresentanza di vescovi legati al movimento ed elogiato pubblicamente e in forma solenne la “spiritualità del noi” dei focolarini. 

Per capire le mosse del papa bisogna fare un passo indietro. Nei primi decenni seguiti alla chiusura del Concilio Vaticano II – avvenuta nel 1965 –i cosiddetti movimenti hanno rappresentato la fonte di energia più vigorosa generatasi all’interno del cattolicesimo, almeno di quello europeo.

Questi gruppi sono parsi a lungo – e non solo a Giovanni Paolo II, ma all’intera gerarchia – gli unici in grado di arrestare il mesto declino delle parrocchie conducendovi frotte di giovani entusiasti, di ripopolare i seminari in via di desertificazione producendo tante nuove vocazioni sacerdotali, di rianimare la vita dei monasteri e di far riprendere slancio alle missioni.

Negli ultimi tempi le cose però sono cambiate. Da un lato, i movimenti hanno perso molto del loro slancio, reclutano con difficoltà nuovi aderenti, mostrano dei preoccupanti (per i loro capi) segni di logorio.

A determinare le difficoltà è stato in qualche caso la scomparsa del leader, un evento sempre delicatissimo per un gruppo carismatico, in altri la sopravvenuta inadeguatezza di messaggi e filosofie che risentono moltissimo del tempo in cui sono nati e che sono diventati rapidamente anacronistici.

Viviamo in tempi di cambiamento sociale velocissimo e linguaggi che sembravano freschi, innovativi e rivoluzionari negli anni Settanta oggi appaiono stantii e poco seducenti. Talvolta i due elementi si sono sovrapposti.

Comunione e liberazione

Si prenda il caso di Comunione e liberazione, che attraversa una fase di pauroso sbandamento sia perché a guidarla è stato, per quindici anni e sino alle recentissime dimissioni, non il fondatore Luigi Giussani ma il suo successore Julián Carron, sia perché la sua filosofia aggressiva e il suo linguaggio da riconquista cattolica modellato all’epoca della guerra fredda e dell’anticomunismo militante non fanno più breccia tra le fila dei giovani conservatori italiani, oggi attratti semmai dal nazionalismo populista. 

L’altro fattore che ha indebolito moltissimo i movimenti e che ha spinto Bergoglio a metterli sotto tutela è costituito dalla recente maggior sensibilità generale verso gli abusi di ogni natura – sessuale, spirituale, psicologica, non tutti perseguibili penalmente – commessi all’interno delle organizzazioni cattoliche.

Gli abusi sono consustanziali alla vita dei movimenti perché sono una conseguenza inevitabile del carattere totalitario di queste organizzazioni, della debolezza psicologica di molti aderenti, degli strettissimi legami che si instaurano tra tutti costoro e soprattutto del potere assoluto che viene concesso al loro interno a capi e capetti, in grado molto spesso di impadronirsi delle vite dei loro sottoposti e di dirigerle a proprio piacimento.

Tutto questo genera varie forme di abuso che un tempo venivano tollerate e sottaciute ma che oggi finiscono sotto i riflettori dell’opinione pubblica, in un’aula di tribunale o nelle pagine di un libro come quello di Pinotti.

Il tradizionale atteggiamento reverenziale di magistrati e giornalisti verso la chiesa, la timidezza con la quale si portavano allo scoperto vicende come quella del gruppo fondato dalla Lubich, stanno lasciando il posto alla volontà di conoscere quello che succede davvero dentro la chiesa, quando ci si trova dinanzi a delle violenze, delle manipolazioni o degli abusi, alla pretesa di ottenere giustizia.

La gerarchia e il papa sono consapevoli di questa situazione e anche per questo hanno messo la museruola ai movimenti, ne hanno limitato la libertà e il raggio d’azione, pur senza soffocarli del tutto. C’è un ultimo quesito a cui rispondere.

È quello che Pinotti evoca sempre nelle conclusioni del libro citando le parole del noto economista cattolico e focolarino, molto vicino al papa, Luigino Bruni: «È possibile dar vita a comunità composte da persone libere e autonome evitando però il disfacimento della comunità stessa? La domanda non è retorica, perché tocca il primo vulnus delle comunità di ieri, che per sopravvivere in quanto comunità dovevano ridurre l’autonomia dei propri membri».

È un interrogativo che interessa l’intero mondo cattolico, e che riguarda anche il destino del monachesimo, come illustrato dal libro di Riccardo Larini La traccia del Vangelo, dedicato alla vicenda di Bose. La risposta richiede una riflessione attenta e non semplice.

Quel che è certo è che se mai le comunità che immagina Bruni – laiche, pluraliste, a debole intensità, rispettose dell’autonomia individuale – dovessero mai sorgere, non si potrà chiedere loro di fare il lavoro che hanno fatto in questi sessant’anni i movimenti, e cioè rianimare le parrocchie, riempire i seminari e occupare le piazze dei vari Family Day convocati di volta in volta dalle gerarchie.

Queste cose le nuove comunità non le farebbero di sicuro. E forse nemmeno sarebbero tanto interessate a definirsi o sentirsi cattoliche, bastando loro la parola del Vangelo e il desiderio di mettere in comune una parte, piccola e circoscritta, della propria vita. Sarebbe davvero una rivoluzione.

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