Il cosmismo è nato alla fine dell’Ottocento, in un’epoca tormentata che preannuncia le rivoluzioni del 1905 e del 1917. La sconfitta russa nella guerra di Crimea (1856), l’abolizione della servitù della gleba (1861), le riforme di Aleksandr II, lo sviluppo dell’industria e i mutamenti sociali sono accompagnati da un intenso fermento ideologico.

Dagli anni Sessanta di quel secolo, quando si inaugura un’ondata di movimenti rivoluzionari radicali (nichilisti, populisti, anarchici e così via), ex pensatori marxisti riscoprono la fede, altri inventano nuove forme di conservatorismo antieuropeo mentre altri ancora, come Nikolaj Fëdorov, fondatore del cosmismo, vogliono ridare slancio alla religione tramite la scienza e il progetto di resuscitare i morti. Sono convinti che stia apparendo una “idea russa”, diversa dal pensiero degli altri paesi europei.

Questa “idea” dovrebbe illuminare un occidente che ritengono meschino, logoro, pervaso da una mentalità materialistica e dimentico della religione. Ma questa volontà di stupire il mondo e risolverne le contraddizioni unendo scienza e religione sfocerà nel progetto sovietico, che mira a una ricostruzione sociale completa, alla conquista della Terra e dello spazio e a superare i limiti della vita umana. 

Dal cosmismo al totalitarismo

AP Photo/Dmitri Lovetsky

Il cosmismo ci insegna molto sulla natura del secolo sovietico, ma è anche illuminante riguardo al transumanesimo contemporaneo e al progetto di respingere i limiti della vita fino a farli scomparire grazie alle nuove tecnologie. Il cosmismo permette di capire che il progetto esisteva già in altre parti del mondo. Non si può ridurre il transumanesimo a una logica ultracapitalista in cui al mercato rimane un ultimo bene da conquistare: la vita eterna.

Poiché esiste un transumanesimo altruista e collettivista, non bisogna vedere nella metamorfosi che l’umanità attua su sé stessa una semplice reazione individualista all’avvicinarsi della morte. Il transumanesimo, proprio come il cosmismo, ipotizza una rivoluzione antropologica. Non si tratta soltanto di un progetto tecnico ed economico sostenuto dalla mentalità libertaria dell’ovest degli Stati Uniti, ma di una certa visione del mondo.

A prescindere se questa impresa sia individualista o comunitaria, commerciale o altruista, atea o religiosa, essa mette in primo piano l’autocostruzione del genere umano, mentre nella nostra epoca, davanti all’aggravarsi della crisi climatica, si assiste piuttosto alla sua autodistruzione.

Oltre la natura

In definitiva, che cosa dice il cosmismo su di noi? Si può guardare da angolazioni diverse l’idea alla base di questa corrente. La prima identifica il cosmismo con la prosecuzione del progetto umanista. Al contrario degli altri animali, l’essere umano deve negare la propria natura per superarla.

Sin dal V secolo a.e.v., i sofisti greci hanno dubitato dell’intervento divino e ammirato la creatività umana. Nel Protagora, dialogo di Platone, il personaggio eponimo, amico di Pericle e celebre sofista, racconta il mito di Epimeteo, fratello di Prometeo. I due fratelli distribuiscono i vantaggi naturali agli esseri viventi: danno artigli, denti affilati, pellicce spesse, la rapidità o il mimetismo alle varie specie animali, in modo che ciascuna possa avere la meglio nella lotta per la sopravvivenza.

Ma dimenticano l’essere umano, che rimane nudo e indifeso; senza doni naturali, è alla mercé di qualsiasi predatore. Per dargli qualche possibilità, Epimeteo e Prometeo gli offrono allora un ritrovato specifico: il fuoco e la capacità di utilizzarlo per creare utensili e armi, vestirsi, mettersi al riparo e via dicendo.

L’essere umano è ciò che è grazie alla sua ingegnosità tecnica e alla sua opera di trasformazione dell’ambiente; diventa così imbattibile tra le creature. Snaturandosi, l’essere umano scopre la propria natura. Sin dalla preistoria, quindi, non ha mai fatto altro che oltrepassare i propri limiti naturali.

Gli umanisti del Rinascimento hanno riscoperto questa idea e le hanno dato uno slancio straordinario che permetterà alle scienze e alle tecniche di rivoluzionare la nostra vita. Se consideriamo in sequenza il Rinascimento, poi il nuovo metodo scientifico creato da Galileo e Cartesio nel Seicento e da Newton, l’Illuminismo nel secolo successivo, le innovazioni degli ingegneri ottocenteschi, per arrivare infine a Einstein, alla meccanica quantistica e alla rivoluzione cibernetica e informatica, tutto ciò non è che lo sviluppo della formula di Protagora: «L’uomo è misura di tutte le cose». Nessuna istanza metafisica o religiosa lo definisce dall’esterno. Nulla ha il diritto di fermare la sua capacità di far arretrare i limiti. Oggi chi sostiene questa opinione rifiuta di preoccuparsi.

La rivoluzione che stiamo vivendo, basata sull’informatica, sull’intelligenza artificiale e sulle biotecnologie, è paragonabile a quella della stampa nel Rinascimento. Essa crea nuove vie di accesso alle conoscenze, alla realtà, al nostro stesso corpo. Forse porterà ciò che la tecnica ha sempre dato agli esseri umani: una vita più lunga e più sana, la possibilità di un’istruzione migliore. Spostare in avanti i limiti dell’esistenza?

È un risultato della medicina, che in molti paesi ha quasi annullato la mortalità infantile, sradicando malattie considerate incurabili. Bisognerebbe forse rifiutarsi di vincere il cancro (uno dei grandi obiettivi dei transumanisti) o di combattere la malattia di Parkinson tramite interventi genetici?

Dovremmo temere di esplorare i pianeti, adesso che il nostro rischia di diventare irrespirabile a breve termine? Modificare il clima con la bioingegneria, rifiutare la fatalità dell’invecchiamento e della morte e cercare ambienti extraterrestri abitabili significa continuare l’opera degli inventori, dei pionieri dell’aviazione o dell’informatica.

La novità del Novecento

La seconda lettura del cosmismo è decisamente meno ottimista. Senza condannare necessariamente il progresso tecnico, cerca di sottolineare la novità assoluta degli sviluppi recenti nelle scienze e nelle loro applicazioni. Così procede Hannah Arendt in Vita activa. Secondo lei, c’è una differenza notevole tra il momento in cui appare la scienza moderna e il periodo contemporaneo. Galileo pensava che per capire la rotazione della Terra su sé stessa e attorno al Sole, cosa che ovviamente i sensi non possono percepire, si dovesse adottare un punto di vista esterno, guardare la Terra come se ci si trovasse nello spazio. Ma nel Novecento questa ipotesi del tutto teorica si può ormai realizzare.

Diventa possibile vedere il nostro pianeta dall’esterno, grazie alle missioni spaziali, e agire su di esso. Nel libro Vita activa, Arendt dà al fenomeno il nome di “scoperta del punto di Archimede”; questo sarebbe l’appoggio invocato dallo studioso greco per fare leva e, a quanto affermava, sollevare il mondo. Secondo Arendt, una tappa essenziale è portare sulla Terra processi di origine e dimensioni cosmiche. Avviamo processi energetici che hanno luogo soltanto nel Sole e nelle stelle, per esempio la fusione nucleare. Gli acceleratori di particelle permettono di raggiungere velocità prossime a quella della luce. Ricreiamo in provetta l’evoluzione cosmica…

Scrive Arendt: «Solo noi, e solo da qualche decennio, abbiamo iniziato a vivere in un mondo interamente determinato da una scienza e una tecnologia in cui la verità oggettiva e la competenza pratica sono derivate da leggi cosmiche e universali anziché terrestri e “naturali”, e dove la conoscenza, acquisita scegliendo un punto di riferimento extraterrestre, è applicata alla natura terrestre e alla tecnica umana». La conquista dello spazio e la capacità di riempirlo di satelliti e, presto, di armi concretizzano il nostro allontanamento dalla Terra.

Per Arendt questo distacco è un’alienazione, più che un decollo entusiasmante. Perché? Secondo lei il motivo è che l’essere umano ha sempre bisogno di una patria, di una classe, di una società, di una terra originaria che rendano le sue parole comprensibili e diano significato alle sue azioni. Se diventa un essere cosmico, totalmente universale, perderà il legame con il suo ambiente, i vicini, la famiglia.

Questo processo, che Arendt descrive nel caso di masse “senza patria”, è il punto di partenza che rende possibile la società totalitaria. Il totalitarismo consiste infatti nell’imporre una verità con pretese scientifiche a una società in cui risulta del tutto estranea. Nella Germania nazista, la teoria della razza, ritenuta infallibile, ha trasformato vicini, colleghi e amici in specie diverse. Nell’Urss, la teoria “scientifica” della scomparsa della classe capitalista ha portato a eliminare interi settori della società.

In nome di queste ideologie che si volevano universali è stata incoraggiata la delazione ai danni dei vicini ebrei o la denuncia dei propri genitori perché kulaki, ovvero contadini “benestanti”. Un certo distacco riguardo alla Terra e alle limitazioni umane rischia di condurre a tentativi di plasmare l’essere umano dall’esterno. L’universo concentrazionario nazista o sovietico è stato il laboratorio di questo processo distruttivo, attuato in nome di verità che erano descritte come obiettive. Per questa ragione, senza neanche considerare i rischi dell’intelligenza artificiale o l’estrema disuguaglianza che la comparsa di una “umanità aumentata” provocherebbe, un futuro cosmista o transumanista implicherebbe per l’umanità la minaccia di un nuovo totalitarismo. Secondo Arendt, l’essere umano è intrinsecamente legato alla Terra e incatenato alla propria mortalità. In origine la parola ethos rimanda al luogo abituale, in cui si vive. Senza queste condizioni originarie, c’è il rischio notevole che l’essere umano prenda il volo per dirigersi non si sa bene dove.


Il testo è un estratto dal libro di Michel Eltchaninoff Lenin ha camminato sulla luna (e/o 2022, pp. 240, euro 17)

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