Le associazioni per i diritti umani lanciano l’allerta in simultanea sia a Parigi che a Bruxelles, e già questo basterebbe a dare l’idea di una tendenza comune europea. L’accordo trovato questo mercoledì dalle istituzioni Ue sul nuovo patto per immigrazione e asilo, e l’approvazione il giorno prima della nuova legge sull’immigrazione francese, raccontano con sfumature diverse la stessa storia di una deriva verso l’estrema destra.

Cosa ci sia davvero dentro il pacchetto legislativo europeo, è riassunto così dall’esperta Tineke Strik, che ha partecipato ai negoziati da eurodeputata verde: «Questo patto non porterà a un’equa condivisione delle responsabilità, però minerà le garanzie per i richiedenti asilo».

Come era chiaro dall’autunno 2020, quando Ursula von der Leyen ha presentato la bozza di nuove regole, non c’è una riforma di Dublino, e non c’è un reale alleggerimento per i paesi di primo approdo come l’Italia; c’è solo una vittoria propagandistica per il nostro governo, perché l’Europa dei muri diventa regola.

Nel frattempo il presidente francese Emmanuel Macron ha scelto di introiettare gli argomenti della destra estrema al punto che le sue nuove regole sull’immigrazione sono state approvate con il voto a favore del Rassemblement National. Mentre Marine Le Pen festeggiava la sua «vittoria ideologica», il ministro della Salute macroniano si dimetteva, inaugurando così la scomposizione del campo liberale in Francia.

L’accordo europeo

«Questo è un giorno che passerà alla storia», ha detto questo mercoledì Roberta Metsola annunciando che l’Europarlamento da lei presieduto e il Consiglio – ovvero i governi europei - hanno trovato l’accordo sul patto migrazioni e asilo.

L’accordo è davvero storico, ma sul perché lo sia, le interpretazioni divergono. Metsola, la cui elezione a presidente aveva suggellato l’alleanza tra popolari e meloniani, sostiene che le nuove regole siano «una risposta a quella che nel 2019 era la principale preoccupazione degli europei» – cioè l’immigrazione – e che l’Europarlamento sia stato «pragmatico».

Detta in altri termini, il tema dei migranti sarà centrale nella campagna elettorale delle destre per le europee di giugno, e per la prima volta nella sua storia, l’Europarlamento, che tra tutte le istituzioni Ue era l’apripista in termini di difesa dei diritti, digerisce un pacchetto di regole regressivo sul piano delle tutele.

Il patto non è «un azzeramento di Dublino», come volle far credere von der Leyen quando lo ha presentato tre anni fa: resta il principio del paese di primo ingresso; c’è solo il risicato obiettivo di ricollocare poche decine di migliaia di persone all’anno, al quale si può ovviare finanziando il trasferimento in paesi terzi o la sorveglianza al confine.

Il boomerang meloniano

Meloni del resto rivendica che la solidarietà non le interessa, ma solo una dura frontiera esterna; e ciò aumenta il peso per l’Italia, non viceversa. I Cinque Stelle parlano perciò di «Italia hotspot d’Europa».

Nell’accordo ci sono procedure di frontiera obbligatorie che porteranno a un uso estensivo della detenzione al confine (e la costa italiana è un confine europeo). L’ampio ventaglio di deroghe contemplato nel patto prevede inoltre che le procedure di frontiera, così come l’acquisizione delle procedure di asilo, possano essere ritardati.

La legalizzazione dei respingimenti praticata dalla destra polacca con l’argomento della strumentalizzazione esterna bielorussa viene introiettata a livello europeo, e il trattamento incondizionato dei dati anche biometrici dei migranti viene esteso pure ai bambini sopra i 6 anni; «persino i bimbi possono essere trattenuti fino a nove mesi». Amnesty avverte non a caso che il patto «non risolverà i problemi ma aumenterà le sofferenze».

Il capogruppo dei conservatori Nicola Procaccini rivendica nondimeno «i meriti del governo Meloni» e si congratula con il postfranchista Jorge Buxadé. L’eurodeputato di Vox era tra i relatori dell’Europarlamento per il patto, e anche questo lo rende a suo modo «storico».

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