Il nuovo piano europeo su migrazione e asilo è stato ufficializzato il 23 settembre dalla Commissione in anticipo di qualche giorno rispetto ai piani originari di Bruxelles ma pure molto in ritardo, considerato che l’emergenza migratoria risale ormai a cinque anni fa, che l’attuale gestione è «fallimentare» a detta della stessa presidente Ursula von der Leyen, e che l’arrivo di un nuovo piano comune è stato rinviato più volte. Ora c’è «un nuovo inizio, una proposta fresca». Ma è davvero nuova? E come funziona?

La situazione finora

«Bisogna azzerare Dublino», ha preannunciato von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione. Il regolamento di Dublino del 2013 prevede che il primo paese che registra una richiesta di asilo ne sia pure il responsabile: è il principio di primo approdo. Se la persona registrata travalica la frontiera dello stato Ue in cui è arrivata, l’altro paese deve rispedirla al primo. La crisi migratoria del 2015, con l’aumento dei flussi e lo squilibrio tra i paesi di prima accoglienza e gli altri, ha messo l’Ue di fronte alla necessità di redistribuire gli arrivi: Bruxelles ha perciò concepito il sistema dei ricollocamenti sulla base di “quote”, calibrate su Pil e popolazione dei vari paesi. Il sistema non ha funzionato. L’obiettivo iniziale era di ricollocare 160mila persone, ridimensionato poi a meno di 100mila, ma nel 2017 solo un terzo era stato effettivamente redistribuito.

La Germania, il paese che doveva contribuire di più e che assieme alla Francia è stato il più solidale, a fine 2017 aveva ricollocato meno di 10mila migranti, invece dei previsti, circa 30mila. Polonia e Ungheria si sono rifiutate di accoglierne anche solo uno. I ricollocamenti sono finiti nel cestino. Dal 2015 a oggi in Italia sono sbarcati mezzo milione di migranti; nell’anno in corso, più di 20mila.

I «rimpatri sponsorizzati»

Il punto clou per inquadrare il nuovo piano è la proposta dei «rimpatri sponsorizzati». Testualmente: «Il nuovo meccanismo di solidarietà si fonda sul ricollocamento oppure sul rimpatrio sponsorizzato». In pratica, il «superamento di Dublino» (se di questo si può davvero parlare) non consiste in un meccanismo obbligatorio di redistribuzione degli arrivi, che era stato auspicato questa estate da cinque paesi mediterranei (Italia, Grecia, Cipro, Malta e Spagna) e che viene però osteggiato dai quattro di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia). Consiste piuttosto nella scelta, per i paesi, fra accogliere una parte di migranti o farsi carico del rimpatrio. Il principio del paese di primo approdo, che sta alla base di Dublino, non viene scardinato, ma semmai ammorbidito: certo, in caso di forte pressione migratoria su un paese, Bruxelles garantisce di intervenire in suo sostegno e chiama in causa gli altri paesi. Ma «gli stati membri avranno la flessibilità – si legge nel dossier – di decidere se, e quanto, impiegare il loro sforzo nelle ricollocazioni oppure nel rimpatrio sponsorizzato». Non è tutto: «Si potrà pure aiutare in altri modi, per esempio trasmettendo competenze, dando aiuti operativi. Ci saranno sempre, alternative al ricollocamento». Ci saranno sempre piani B all’accoglienza.

Soldi e frontiere

Il piano mette nero su bianco che «i salvataggi in mare non possono essere criminalizzati» e garantisce a chi dà accoglienza un pezzetto di bilancio europeo (circa 10mila euro a persona, 12mila se è un minore non accompagnato). A proposito dei finanziamenti Ue, la Commissione afferma pure che la tranche di fondi stanziata alla Turchia perché trattenesse sul suo territorio i rifugiati «continua a rispondere a bisogni essenziali, ed essenziale sarà perciò che l’Unione dia alla Turchia un sostegno finanziario continuativo». Due righe pesanti: a marzo proprio Ankara è venuta meno al patto con l’Ue, per il quale le sono stati promessi sei miliardi, e ha aperto le frontiere verso la Grecia per esercitare un potere di ricatto su altri fronti, come le trattative sulla Siria.

La proposta della Commissione contiene alcune indicazioni su come sarà la frontiera europea. Si parla di «una robusta gestione dei confini», con un ruolo forte dell’agenzia Frontex nel far funzionare il sistema di rimpatri e con il dispiego, da gennaio, di uno staff fisso di 10mila persone «per reagire prontamente» alle diverse situazioni che possono presentarsi alla frontiera (anche via mare). Chi entra nell’Ue senza essere autorizzato verrà registrato in un database europeo, dovrà lasciare le sue impronte e superare i controlli per essere indirizzato verso la «giusta procedura»: l’asilo o il rimpatrio. Bruxelles insiste poi sui partenariati coi paesi terzi per la gestione dei flussi.

Cosa succede adesso

Ora c’è un percorso negoziale da fare. L’Europarlamento e il Consiglio dovranno fare le loro considerazioni sulla proposta: qui entra in gioco la mediazione fra governi, con Visegrad che nega ogni principio di solidarietà (e che finora ha bloccato ogni riforma) e con i paesi di primo approdo che invece chiederanno una proposta più ambiziosa. L’Italia riconosce il passo importante ma chiede «certezza su rimpatri e redistribuzione», come ha twittato Giuseppe Conte. Il ministro per gli Affari europei ,Enzo Amendola (Pd), l’8 ottobre, al Consiglio dei ministri dell’Ue, dirà che «sono necessari la revisione di Dublino e il carattere obbligatorio della solidarietà fra i paesi». L’alleato di governo, il Movimento 5 stelle, chiede «una posizione chiara sul superamento del principio di primo approdo e quote nazionali chiare di ricollocamento».

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