«Finché ho potuto, ero sul campo a testimoniare cosa succede ai richiedenti asilo che rimangono intrappolati tra il nostro confine e quello bielorusso», dice il deputato polacco di opposizione Maciej Konieczny. «Il governo ha gli strumenti per gestire la situazione rispettando i diritti, ma preferisce i respingimenti illegali e un nuovo muro ipermoderno solo a fini di consenso interno: cerca un nemico contro cui scagliarsi. Dopo le donne e i gay tocca ai rifugiati».

L’altra Polexit

Ci sono norme internazionali che la Polonia vìola, equilibri democratici che calpesta. Ma siccome questa storia riguarda i rifugiati, e l’Ue a sua volta assume posizioni sempre più respingenti verso i migranti, nei corridoi di Bruxelles nessuno parla di Polexit, né il caso scatena lo stesso scalpore. Eppure gli ingredienti ci sono tutti. Il governo di Varsavia professa e pratica i respingimenti illegali. Di più: li ha resi legge. Giovedì quella che era una traballante coalizione di governo si è compattata in parlamento per l’espulsione di chi prova a entrare nel paese – e quindi nell’Ue – anche se è richiedente asilo. Significa ignorare che chi prova a entrare abbia una domanda di protezione internazionale, il che vìola quantomeno la convenzione di Ginevra. Sempre Varsavia, che in estate ha issato un primo embrionale muro, ha ora approvato una spesa di oltre 350 milioni di euro per rimpiazzare quella recinzione con una barriera più imponente, dotata delle più sofisticate tecnologie di sorveglianza. La destra di governo ha pure già imposto una zona d’ombra dove è impedito a giornalisti, parlamentari e Ong qualsiasi controllo sul rispetto dei diritti al confine. Confine che è polacco sì, ma anche europeo. Tutto questo con un obiettivo. Non riguarda tanto le tensioni con la Bielorussia, accusata di spingere i migranti verso l’Ue, quanto la politica interna: usare il tema dei migranti per ricompattare una coalizione di governo sfaldata e il suo elettorato. L’operazione sta riuscendo, con un effetto divisivo sulla società.

Preludio

La storia comincia questa estate. In un villaggio rurale alla periferia orientale della Polonia e dell’Ue, al confine con la Bielorussia, decine di afghani in cerca di protezione si ritrovano intrappolati. Varsavia accusa Minsk di spingere i migranti verso l’Ue come forma di «guerra ibrida» e li tratta come nemici, le forze dell’ordine asserragliate per allontanarli aumentano a migliaia e non esitano a usare i manganelli. A fine agosto il ministro della Difesa, Mariusz Blaszczak, fa issare chilometri di filo spinato: un muro d’Europa.

Il governo chiede al presidente della repubblica di imporre nei territori al confine lo stato di emergenza; il 2 settembre Andrzej Duda dà il via, il 30 settembre c’è pure la proroga. Per «minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico», Varsavia riesce così a garantirsi un black out informativo.

La zona cieca

Quattro corpi trovati senza vita a fine settembre: sono iracheni. Il 14 ottobre un elicottero individua il corpo di un siriano: è morto. «Ci sono finora sette morti di cui siamo al corrente, ma probabilmente sono di più», dice Maciej Konieczny, il parlamentare di sinistra (Razem). «Finché ho potuto, ho visto coi miei occhi i gruppi di richiedenti asilo bloccati dentro poche centinaia di metri, tra le due file di militari, e la situazione che si inaspriva». Ma poi è stato imposto lo stato di emergenza, il cui effetto più grave «è che ci impedisce di vigilare: i media devono star lontani almeno tre chilometri dalle zone di confine dove ciò avviene; neppure un corrispondente di guerra si può avvicinare». E lui, che è parlamentare? «Neanch’io». I media indipendenti come Onet, OKO.press, Gazeta Wyborcza, almeno trenta, hanno sfidato la decisione del governo e denunciato che «stando alla convenzione europea sui diritti dell’uomo, siglata dal nostro paese, tutti hanno il diritto di avere e dare informazioni senza interferenze delle autorità». Ma al governo è importato poco.

Muri e polarizzazioni

Anche se si dichiara «preoccupata» per la condizione umanitaria dei migranti in trappola, la Commissione Ue supporta una politica respingente. Ylva Johansson, che ha delega agli Affari interni, non ha «nulla in contrario con gli stati che costruiscono barriere; ho dubbi solo se finanziarli noi». Jaroslaw Kaczynski, il vicepremier e leader di Pis, partito ultraconservatore al governo, non teme i costi perché vede il guadagno politico. Nel 2015, anno della crisi siriana, già diceva che «i migranti portano malattie»: ne fece lo spauracchio. Alle amministrative del 2018 lo spot del Pis minacciava: se vince Piattaforma civica, il partito fondato da Donald Tusk, «permetterà ai rifugiati di entrare, violenteranno e uccideranno». Oggi la costruzione del nemico-rifugiato continua e Kaczynski annuncia il muro con tecnologie ultimo modello. Da agosto il governo dichiara 10mila tentativi di attraversamento del confine. «A inizio Duemila accogliemmo una cifra di profughi ceceni assai superiore. Ergerci a nemici dei rifugiati non fa che dividere la nostra società, ed è così che facciamo il gioco di Lukashenko», dice Konieczny. Ma è pure il gioco del Pis: oggi un sondaggio TVN dice che più della metà dei polacchi approva la linea dura. Chi ha provato a contestarla, come Piattaforma civica di Tusk, ha subìto un crollo nei sondaggi. Le femministe e la comunità Lgbt, che sanno cosa voglia dire diventare il nemico di turno del governo, protestano invano. «Tutti i giorni, qui a Cracovia, andiamo davanti alla sede del Pis per ricordare che c’è una crisi umanitaria al confine», dice l’attivista Magda Dropek. «I migranti sono lasciati a congelare nelle foreste. E succede nell’Ue».

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