«Bisognerebbe ascoltare le ragioni ungheresi», è andato a dire il meloniano Nicola Procaccini, capogruppo dei Conservatori europei, nell’aula dell’Europarlamento mercoledì, mentre i suoi colleghi puntavano il dito contro derive e ricatti di Viktor Orbán. Poco dopo, la premier italiana era a Forlì a discutere con Ursula von der Leyen dell’accordo da concludere alla chetichella con il premier ungherese entro il 1 febbraio, quando il Consiglio europeo dovrà sbloccare il bilancio tenuto in ostaggio da Orbán.

C’era una volta il cordone sanitario, quel separé immaginario che doveva proteggere la democrazia europea da una scalpitante e illiberale destra estrema. Oggi invece avanza la cordata protettiva: c’è una banda di governi ed esponenti politici che all’estrema destra si mescola, e che continua inoltre a far da scudo all’illiberale Orbán. Lo si è visto bene questo giovedì. Anche se la stragrande maggioranza di eurodeputati ha approvato una risoluzione per stigmatizzare le derive orbaniane e la condiscendenza di von der Leyen, le destre nostrane (Fratelli d’Italia e Lega) e le loro famiglie europee (Conservatori e Identità e democrazia) hanno opposto il loro voto contrario al testo, e favorevole dunque a Orbán. Nonostante i 345 favorevoli, spiccano 104 contrari tra i quali meloniani e leghisti. Il premier ungherese deve alla destra italiana l’intima certezza che dopo le europee il suo partito, Fidesz, troverà un gruppo al quale affiliarsi nell’Europarlamento; e Meloni usa il suo canale con l’amico ungherese per presentarsi a Bruxelles come forza di interpolazione.

Questa settimana il Parlamento Ue ha alzato la testa contro i ricatti di Orbán e contro chi li asseconda, ovvero la cordata di cui sopra. Con la risoluzione approvata di giovedì grazie ai voti di popolari, socialisti, liberali, verdi e sinistra, «ci prepariamo a sfidare la Commissione Ue davanti alla Corte di giustizia per la sua decisione di sbloccare i dieci miliardi all’Ungheria, resa pubblica poche ore prima del vertice fra i leader. C’è il sospetto fondato che von der Leyen con quei soldi abbia comprato l’ok su Kiev», dice l’eurodeputato verde Daniel Freund.

Gli eurodeputati hanno dalla loro parte i trattati europei e i princìpi democratici; von der Leyen, governi e destre estreme sono però ormai abituati a svicolarli, e preferiscono gli accordi informali, le vie traverse, interlocuzioni come il “patto della piadina” Meloni-von der Leyen in Emilia Romagna. La lotta può sembrare impari, e l’Europarlamento un Davide contro Golia; ma il consesso degli eletti europei non va sottovalutato. Vale la pena ricordare che se oggi il meccanismo che condiziona i fondi Ue allo stato di diritto è effettivamente in vigore, lo si deve solo alla determinazione degli eurodeputati.

Un frangente decisivo

Non è un caso che proprio questa settimana von der Leyen sia stata chiamata dagli eurodeputati a riferire, né è un caso che proprio questo giovedì l’Europarlamento abbia approvato una risoluzione sull’Ungheria. Ci troviamo infatti in un decisivo momento ponte tra il Consiglio europeo che si è svolto a metà dicembre, e quello speciale che è stato calendarizzato per il primo febbraio.

A metà dicembre, con la sua «assenza concordata» al momento del voto, Orbán non ha impedito agli altri capi di stato e di governo di dare il via ai negoziati per l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. Tuttavia è rimasta in sospeso l’approvazione del quadro finanziario pluriennale, che comprende anche aiuti a Kiev e fondi che fanno gola al governo Meloni come quelli relativi all’immigrazione. Per il via libera al bilancio, è stato appunto messo in agenda un ulteriore Consiglio ad hoc, quello di febbraio. Entro il prossimo mese, l’accordo con il premier ungherese dovrà insomma essere finalizzato. Per ora l’Ungheria ha incassato – proprio alla vigilia del Consiglio di dicembre – che Bruxelles sbloccasse oltre dieci miliardi. Questa è la concessione già tangibile, ma ovviamente l’accordo con Orbán è più ampio.

Ad ogni modo gli eurodeputati hanno chiesto conto a von der Leyen della scelta di sbloccare quei miliardi, con l’intento anche di frenare ulteriori concessioni in vista di febbraio. «Presidente von der Leyen, intende ripetere la pratica dello scorso Consiglio, quando ha scongelato undici miliardi a Orbán subito prima del vertice, ottenendo in cambio che il premier uscisse dalla stanza?», ha chiesto ad esempio il liberale Guy Verhofstadt.

L’accordo con Orbán

«A maggio l’Ungheria ha approvato una legge sulla riforma della giustizia che risponde a molte delle raccomandazioni di Bruxelles»: questa è la giustificazione addotta da von der Leyen in aula mercoledì mattina, prima di scappar via senza neppure ascoltare tutti gli interventi, per correre da Meloni a Forlì. Come nota l’Europarlamento stesso nella sua risoluzione appena approvata, quella riforma non porta miglioramenti sostanziali; perdipiù nel frattempo Orbán – approfittando del senso di impunità che Bruxelles gli concede – ha approvato un’ennesima legge liberticida, quella «sulla sovranità».

La verità «è indubitabile: lei, presidente von der Leyen, ha ceduto ai capricci di Orbán!», come ha detto la capogruppo della sinistra europea Manon Aubry. La risoluzione dell’Europarlamento non contiene soltanto solleciti ai governi (sull’iter relativo all’articolo 7) e appelli alla Commissione (perché non liberi altri fondi) ma anche il via alla sfida legale. Non a caso questo giovedì Orbán sui social ha contrattaccato: «Se vogliamo aiutare l'Ucraina, facciamolo al di fuori del bilancio dell'Ue e su base annuale! Questa è l'unica posizione democratica a soli 5 mesi dalle elezioni».

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