Immaginate che un premier con acclarate tendenze dispotiche invii nelle case degli ungheresi un questionario pieno di domande fake, in realtà accuse tendenziose contro Bruxelles. Immaginate anche che le strade della capitale, Budapest, vengano tappezzate di manifesti con la faccia della presidente di Commissione Ue resa un bersaglio politico. E se ciò non bastasse, infilate nel quadro pure un progetto di legge che può inibire le voci libere nel paese, e che scatena l’allarme di associazioni per i diritti umani e media indipendenti.

Può sembrare del tutto paradossale che in un contesto simile l’Unione europea, invece di redarguire l’autocrate in questione, si prepari a liberare a suo favore circa un miliardo di fondi europei. Eppure è ciò che sta accadendo. La commissione von der Leyen si preparava da mesi a sbloccare parte dei fondi, e lunedì il presidente del Consiglio europeo completerà l’attività di compromesso omaggiando Orbán con una visita a Budapest.

Non è una novità che la Commissione e i governi europei chiudano un occhio di fronte alle derive illiberali orbaniane: è esattamente quest’attitudine che ha portato alla situazione attuale, con un Orbán sempre più spregiudicato. A quanto pare neppure le provocazioni filorusse del premier, che in questo frangente è più isolato che mai, hanno fatto raddrizzare la postura a Bruxelles. Perché cede ai ricatti? La risposta superficiale è che nel Consiglio europeo di metà dicembre i governi discuteranno della richiesta della Commissione di avviare i negoziati per l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue.

Ma davvero Bruxelles è pronta a barattare il rispetto dei crismi democratici, e a mostrarsi così ricattabile? Von der Leyen, eletta anche con i voti di Fidesz, ha fatto numerosi sconti al premier ungherese; e a fine mandato, con l’ipotesi del bis, non si smentisce. «Quali siano le vere ragioni per le quali l’Ue cede, ce lo chiediamo anche noi», dice Csaba Lukács, direttore di Magyar Hang, il settimanale che per mantenersi in libertà deve puntare su una tipografia fuori confine e sul puro supporto dei lettori.

«Il nuovo progetto di legge potrebbe ritorcersi contro i media liberi, e abbiamo potuto leggere la bozza solo alla fine, nonostante Bruxelles si fosse esplicitamente raccomandata con il governo di sottoporre le leggi al dibattito pubblico».

Leggi liberticide da Orbán

La proposta di legge in questione, non ancora approvata in aula, porta la firma di Fidesz e il titolo di Difesa della sovranità nazionale. L’esordio è un attacco a Péter Márki-Zay, che alle ultime elezioni era il candidato anti Orbán e che ha ricevuto fondi Usa; la conclusione della bozza invece si appoggia – per trollarla, in realtà – alla commissione contro le ingerenze straniere del Parlamento Ue.

Il corpo della legge prevede l’istituzione di un “Ufficio per la difesa della sovranità”, che viene definito indipendente ma il cui presidente viene proposto dal premier (Orbán) e nominato dal presidente della repubblica (la fedelissima orbaniana Katalin Novák). «Un’organizzazione non deve usare supporti o donazioni atti a influenzare la volontà degli elettori». La legge fa riferimento alle interferenze straniere, ma dimentica quelle russe; e dire che il ministro degli Esteri orbaniano Péter Szijjártó, premiato da Mosca con medaglia onorifica, ha lasciato che gli hacker vicini al Cremlino bucassero impunemente i sistemi informatici del ministero.

«Non sappiamo come verrà usato questo dispositivo – dice il direttore di giornale Csaba Lukács – perché in teoria qualsiasi cosa, anche l’attività giornalistica libera, anche un’inchiesta, potrebbe essere tacciata di influenzare l’opinione pubblica in vista delle elezioni». Per il Comitato di Helsinki, che si batte per i diritti umani, «il potere del tutto arbitrario del quale verrebbe dotato il nuovo ufficio serve a scudare il regime»; per Amnesty, «il testo vago della proposta è destinato a essere usato dal governo per prendere di mira chiunque gli si opponga, senza possibilità di ricorso».

La legge può imbavagliare e inibire le voci critiche; eppure proprio mentre la società civile si allerta, la Commissione si prepara a liberare circa un miliardo di euro per il governo Orbán.

Von der Leyen aveva aspettato le elezioni ungheresi di aprile 2022 prima di attivare il meccanismo che condiziona fondi e rispetto dello stato di diritto; poi ha congelato solo una parte dei fondi; e nel suo discorso annuale a settembre ha dimenticato di stigmatizzare le derive indemocratiche.

Che lei pensi al proprio futuro politico era chiaro, e anche che la Commissione si stesse attivando per liberare parte dei fondi: «Il livello amministrativo si sta attrezzando, ed è allarmante perché Orbán è ben lontano dall’aver intrapreso tutte le riforme necessarie per gli equilibri democratici», aveva detto a Domani, già a ottobre, l’eurodeputato Daniel Freund.

Ora il Consiglio europeo di metà dicembre, con il via libera da dare a Kiev, fornisce l’alibi perfetto. «Il punto politico non è solo avere l’ok dell’Ungheria, ma evitare che Orbán scoperchi le rimostranze anche di altri governi sul tema», nota lo storico Stefano Bottoni, autore di Orbán. Un despota in Europa.

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