Dopo aver scavalcato il parlamento pur di mettere a segno l’odiatissima riforma delle pensioni, ora Emmanuel Macron e il governo a lui legato si stanno rendendo protagonisti di una tale repressione delle proteste da scatenare l’intervento del Consiglio d’Europa e di Amnesty.

Manon Aubry è una figura chiave dell’opposizione – per la France Insoumise ha negoziato l’accordo che ha dato vita all’unione di sinistra ecologista Nupes – e da eurodeputata guida anche il gruppo della Sinistra europea.

Partiamo dalla fine: come andrà a finire la crisi in atto?

Ci sono due opzioni. O Macron continua con questa repressione poliziesca, alimentando il caos, oppure fa un passo indietro, ritira la riforma delle pensioni. Se sceglie la prima opzione, come pare, si assume una enorme responsabilità per il deterioramento della situazione.

A dispetto della repressione in corso, Macron si è congedato dal Consiglio europeo congratulandosi con le forze dell’ordine. Siamo di fronte a una deriva illiberale?

Sì. Quel che sta accadendo in termini di violenza poliziesca è molto grave. Le forze dell’ordine usano armi vietate altrove, molto pericolose, usano granate da accerchiamento; persino l’Onu ha stigmatizzato tutto questo. Il sindacato dei giornalisti si è rivolto al garante dei diritti umani dopo le violenze subite.

Assieme a verdi e socialisti abbiamo calendarizzato una risoluzione all’Europarlamento perché crediamo che l’Ue debba condannare in modo deciso la violenza contro i manifestanti.

Il problema per chi protesta oggi è ancora la riforma delle pensioni, o è Macron?

Le proteste erano nate per difendere il sistema pensionistico. Ma ormai questa non è più solo una protesta per i lavoratori, è anche per la democrazia, visto il modo in cui Macron ha spinto questa riforma. Ha forzato in più passaggi il quadro costituzionale. Prima ha usato un articolo che gli consentiva di ridurre i tempi del dibattito, nonostante non fosse previsto il suo utilizzo per riforme così importanti. Poi ha limitato il confronto al Senato. Infine in Assemblea nazionale ha innescato il 49.3; ormai questo articolo sta diventando famoso, credo siamo l’unico paese europeo nel quale il governo può ritenere una legge adottata senza il voto favorevole del parlamento.

E ovviamente la gente è furiosa per tutto ciò: sta prendendo coscienza che qui si va ben oltre la crisi sociale. Questa è una crisi democratica. Il nostro sistema politico dà un tale potere al presidente che lui da solo può decidere contro i sindacati uniti, contro l’80 per cento della popolazione, contro il parlamento. Una sorta di monarca che dall’alto del suo palazzo reale osserva la folla con atteggiamento indifferente. Tra i miei colleghi eurodeputati c’è chi mi chiede: ma siete messi come la Russia? Ma non è così: la Francia per come la intendo io è il paese dei diritti umani, della rivoluzione francese.

Serve una riforma strutturale?

Il movimento dei gilet gialli è cominciato contro una tassa e poi è diventato un movimento che chiedeva i referendum di iniziativa civica. Dalla grande crisi politica nella quale ci troviamo si può uscire solo tornando al popolo e alle basi della democrazia. Al momento ci troviamo nella quinta repubblica, e noi spingiamo per avere un processo costituente nel quale si possano disegnare nuove cornici istituzionali.

C’è chi dice che non esiste un deficit democratico dal momento che c’è stato un voto sulla mozione di sfiducia, che Borne ha superato. Cosa risponde a questa obiezione?

Democrazia non è forzare l’adozione di una riforma. La mozione di sfiducia serve a far cadere il governo, non ad adottare o meno una legge. Per questo Macron ha scelto il 49.3: perché in aula non c’era la maggioranza. Ma com’è possibile che senza maggioranza parlamentare, senza maggioranza popolare, e neanche sindacale, a dispetto di tutto ciò una legge venga comunque adottata? Macron sta facendo qualcosa di molto pericoloso: è come se stesse lanciando benzina sul fuoco, e la situazione può diventare persino più esplosiva se non si ravvede, se non torna sui suoi passi.

Il presidente mercoledì in tv ha giustificato la riforma anche con il presunto intento di investire in sanità e scuola. In vista del secondo turno delle presidenziali, si era sperticato in promesse per attirare i voti degli elettori di sinistra. Le ha mai mantenute?

Proprio come lei ricorda, tra i due turni Macron ha detto: so che di solito non votereste per me, e dunque ce vote m’oblige, mi faccio carico di questa vostra scelta. La verità è che non lo ha fatto: mente dall’inizio. Anche sulla riforma ci ha riempiti di menzogne. E continua così.

Sta cercando di spaccare il fronte della protesta? Distingue i sindacati, coi quali si dice disposto a interloquire, e il resto dei manifestanti.

E l’apertura al dialogo coi sindacati che Macron sventola come un’esca non è reale! Fa tante chiacchiere, ma sa chi ha incontrato? Il ceo di Amazon, Jeff Bezos. E gli ha pure dato la legione d’onore. Omaggia con il più alto riconoscimento il capo di un’azienda che elude le tasse, e si rifiuta di vedere i rappresentanti dei sindacati.

La sua strategia? Dividere la sinistra, e mettere sullo stesso piano sinistra ed estrema destra; che dal 2017 dice di voler arginare, ma al contrario ha alimentato. Oggi ci si accorda pure: proprio giovedì macroniani e lepeniani hanno cofirmato un emendamento.

Se il governo o Macron cadessero, ci sarebbe davvero una maggioranza alternativa?

Sì, a sinistra siamo pronti: con successo abbiamo unito le forze formando la Nupes, e sul campo attraiamo sempre più movimenti sociali, sindacati, attivisti.

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