Daniel Freund, eurodeputato verde tedesco, è in prima linea per la difesa della democrazia in Europa. E intende restarlo: «Nel 2024 mi ricandido». Il suo attivismo per la rule of law non sfugge a nessuno, tantomeno a Viktor Orbán, che scatena i suoi propagandisti contro Freund. Da oggi non potrà sfuggire neanche a Giorgia Meloni: interrogato sugli attacchi del governo a giornalisti e giudici, Freund dice che «ricordano un film già visto in Polonia». E chiama all’appello Ursula von der Leyen: «Se un giudice viene criminalizzato perché cerca di garantire il rispetto delle leggi europee, la Commissione deve intervenire». A ciò si aggiunge che «la premier attacca i giornalisti»: Freund intravede lo stesso schema sperimentato in Polonia e Ungheria. «O governi di estrema destra vanno contro chi li critica e si mette sulla loro strada. Attaccano i media indipendenti, poi l’indipendenza di giudici e procuratori; lo abbiamo visto in Ungheria, in Polonia, e ora ne vediamo i segnali anche in Italia».

I giudici attaccati dalla destra di governo italiana avevano osato riconoscere che un decreto meloniano sui migranti non era in linea con la normativa Ue. Meloni in un passato non lontano ha difeso la “Polexit”. Il governo italiano sta minando l’ordinamento europeo?

In Polonia è successo proprio questo: i giudici che applicavano le normative europee sono stati sanzionati, messi in congedo, e sostanzialmente criminalizzati per aver applicato le leggi Ue. La Commissione europea dovrebbe garantire che l’ordinamento europeo sia rispettato in tutta l’Unione. E ovviamente i giudici italiani devono poter applicare le norme Ue.

Sta dicendo che la Commissione von der Leyen deve intervenire?

Non conosco i dettagli, ma se esistono casi nei quali i giudici non vengono messi in condizione di poter applicare le leggi europee, è compito della Commissione intervenire.

Meloni ha portato in tribunale Roberto Saviano. Che ne pensa?

Se una premier comincia a perseguire legalmente i giornalisti perché non le piace quel che dicono o scrivono, si entra in un territorio molto pericoloso per le nostre democrazie.

Ma Von der Leyen va a braccetto con Meloni. Circolano indiscrezioni che voglia sbloccare i fondi congelati a Orbán: è così?

Se davvero von der Leyen si mostra vicina a queste figure perché punta a un secondo mandato, le voglio dire: è convinta che sia una strategia di successo? Le indiscrezioni sono arrivate anche a me. È plausibile che la decisione politica definitiva non sia ancora stata assunta, ma di sicuro il livello amministrativo si sta attrezzando per poter rilasciare una parte sostanziale dei fondi congelati. Questo scenario mi allarma per due motivi. Il primo è che non ci sono i presupposti per liberare le risorse: Orbán ha preso qualche provvedimento prima dell’estate ma è ben lontano dall’aver intrapreso tutte le riforme necessarie per gli equilibri democratici. È troppo presto per scongelare alcunché. Inoltre, visto il contesto politico nel quale tale scelta avverrebbe, sarebbe letta così: Orbán ostacola il supporto a Kiev finché non ottiene i soldi, dunque la Commissione cede al ricatto. Mi pare una deriva che dev’essere fuori discussione. Il premier ungherese prova sempre a ricattare l’Ue per strappare concessioni; se cediamo, alzerà la posta. Se il processo decisionale dell’Ue si riduce a un mercanteggiare, l’intero progetto europeo si frantuma. Ed è il miglior favore a Putin.

Assieme all’Ungheria, la Polonia fa barricate perché in Ue si decida all’unanimità, il che dà una leva a questi governi. Quali implicazioni europee ha il voto polacco di domenica?

Sono appena tornato dalla Polonia: ho supportato i verdi polacchi nella loro campagna per un cambio di governo. Lo ho fatto non solo perché il Pis vuole l’unanimità, o perché ha distrutto i media liberi, o perché ha smantellato l’indipendenza dei giudici. Ma anche perché sono convinto che l’analisi del Pis porti alla conclusione sbagliata: non è vero che senza unanimità si cede alla Germania. È vero semmai che possiamo essere al sicuro dalla Russia solo se a Putin non basta avere in mano un singolo leader, come la sua marionetta Orbán.

Da anni l’Europarlamento denuncia le derive indemocratiche in Polonia. Lei ha commissionato una relazione da parte di giuristi di rilievo come Laurent Pech, per fotografare gli sviluppi; sarà pubblicata tra qualche giorno. Cosa può dirci?

Che lo stato di diritto in Polonia è stato distrutto. Non c’è procura indipendente, il Pis ha preso il controllo totale sulla nomina dei giudici; il consiglio giudiziario che promuove e nomina i giudici è illegale, come le sue nomine; quindi oltre tremila giudici in Polonia ogni giorno emettono sentenze illegali. Questo è un problema enorme anche perché comporta che i fondi Ue non siano supervisionati in modo adeguato in caso di frode o malagestione.

Il che è il presupposto per l’attivazione del meccanismo di condizionalità, che vincola l’erogazione dei fondi al rispetto dello stato di diritto. Eppure la Commissione von der Leyen lo ha innescato solo per l’Ungheria. Perché?

Inizialmente ha spedito lettere a entrambi i governi. Ma con l’invasione dell’Ucraina, la procedura verso la Polonia è abortita. La ragione è politica: la Commissione non ha voluto assumersi la responsabilità dell’iniziativa.

Teme che i governi polacco e ungherese possano contare sugli assist meloniani sullo stato di diritto?

Ottenere il meccanismo di condizionalità, e che fosse applicato, è stata una lotta. Il mio più gran timore è che se troppi governi si sposteranno in direzioni indemocratiche, verranno meno le condizioni – cioè la maggioranza qualificata – perché questa leva possa essere attivata.

Qual è la sua posizione sullo stop ai fondi per i palestinesi? E qual è stato il dibattito interno alla coalizione semaforo dopo gli attacchi di Hamas?

La coalizione è unita per Israele; abbiamo subito siglato una dichiarazione di condanna degli attacchi, congiunta coi cristianodemocratici. Riguardo ai fondi ritengo che, anche se non vanno certo a Hamas, viste le circostanze sia opportuno ridiscuterli, sia in Germania che a livello europeo.

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