Per i surfisti, lo swell, o mare lungo, è un treno di onde che viaggia a ritmi regolari, generatesi a causa di una perturbazione oceanica occorsa a migliaia di chilometri di distanza da dove si rompono, che sono intervallate da pause. La sua ritmicità è mantenuta dalle oscillazioni delle particelle d’acqua lungo un’orbita che si sviluppa, nascosta, sotto la superficie. Per frequenza e intensità, queste dello swell sono onde molto diverse da quelle generate localmente da un vento che soffia da terra.

Ho sempre espresso forti dubbi sul concetto di seconda ondata, e quindi penso allo swell. Mi sembra infatti che questa non sia altro che la prosecuzione della prima, rimasta sottotraccia per qualche mese grazie al soffertissimo lockdown, e poi ricomparsa. Non abbiamo mai avuto il piacere di leggere, anche una sola volta, il valore “zero” sul bollettino giornaliero che riportava le infezioni e i decessi.

Come previsto dai molti che continuavano - in modo pacato, ma purtroppo inutilmente - a predicare prudenza, nella calda estate il virus buono, anzi dato per clinicamente morto, non è affatto sparito, e i contagi, in maniera molto minore grazie al lockdown, sono continuati.

Come non bastasse, a metà agosto il virus ha fatto le ore piccole - ed è attuale la notizia delle indagini in corso in diverse discoteche super affollate in agosto - poi l’epidemia è ripartita piano piano. E ora ci troviamo di nuovo a colorare di giallo, arancione e rosso il nostro bel paese.

Previsioni basate sul nulla

Ma perché? Credo che molti sociologi, politologi, epidemiologi, tifosi di qualche fazione o loro allenatori, star televisive, tutti molto più qualificati di me, abbiano già parlato o scritto pagine e pagine per spiegare le ragioni di questo insuccesso. Della scienza, della politica, della cultura, dei mass media, e di tutti quelli che hanno comunicato in modo quanto mai confuso, tenuto atteggiamenti provocatori, fatto previsioni basate sul nulla. Dando messaggi spesso poco chiari e contrastanti. Scuola si, scuola no, riapriamole ma non tutte, se c’è un bambino con la febbre non si sa bene chi contattare, e quanto deve stare a casa.

C’è anche da dire che la malaugurata regionalizzazione della Sanità non ha certo aiutato: attraversi un ponte e cambia tutto. L’infodemia iperacuta ha fatto gravi danni, con messaggi dal tono troppo trionfalistico, disinvolto, polemico, aggressivo, depresso, tragico, catastrofista. A scelta. Ma con un risultato unico, ovvero una gran confusione. D’altra parte, è la prima pandemia che tutti affrontiamo dopo la Spagnola di un secolo fa, che però era causata da tutt’altro virus, e in un mondo molto meno interconnesso. Per combattere una pandemia serve organizzazione, disciplina, rispetto per le regole, cioè caratteristiche non proprio nostre (né di molti altri: se Atene piange, Sparta non ride).

La sanità non è politica

Anche un insuccesso del buon senso. Mi spiego. Ho sentito poche voci forti e chiare che parlassero dei comportamenti delle persone. Avere dei diritti è sacrosanto, avere dei doveri anche. Ci sono problemi interpretativi per qualche verbo, “volere” contro “dovere”. Se faccio il medico e alle due di notte mi telefona qualcuno dal reparto che dirigo perché c’è una persona con una appendicite acuta, io non vorrei proprio andare a operarlo, perché sto molto meglio sotto le coperte. Ma lo devo fare, perché è il mio compito, mi pagano per quello, e se non lo faccio il paziente muore.

La prima chiusura non credo sia piaciuta a quelli che hanno deciso di farla, ma era inevitabile. E questo è diventato immediatamente non un fatto sanitario, ma un oggetto di scontro politico. Le terapie antivirali, anche.

Ricordiamoci quanto accaduto a Mantova e/o ad Atlanta (che curiosamente si trovano nello stesso luogo), e di come uno studio non ancora completato sui plasmi delle persone guarite sia stato strumentalizzato per fini poco nobili. Nessuno ha mai pensato che il plasma non potesse funzionare, anzi, ma non si fa così. Ma si sa, siamo un popolo di tifosi, allenatori della nazionale, virologi, immunologi, epidemiologi, infine trasfusionisti.

E poi è sempre colpa di qualcun altro, appunto: piove, governo ladro. La frase è stata attribuita a varie persone ed epoche storiche (da chi nell’antica Roma si arrabbiava perché doveva ricevere come compenso del sale, che sotto la pioggia aumentava di peso, alla rivista Il Pasquino, che nel 1861 l’aveva usato come didascalia di una vignetta satirica che commentava una manifestazione di piazza rinviata per il maltempo, e adottato come motto poi), ed è un chiarissimo esempio di quale sia un modo troppo comune di pensare.

Prendi la multa per eccesso di velocità? È colpa di chi ha messo un assurdo limite proprio nel vialone (vabbè, questo a volte è pure vero, ma il cartello c’era…). Ti bocciano a un esame? Colpa del professore che non aveva spiegato quello che ha poi chiesto (in verità, negli ultimi 35 anni ne ho sentite anche di meglio).

Metti la mascherina sotto al mento? È fatta male, non mi sta su. C’è un assembramento in una strada stretta con molti locali, e tutti gli avventori sono appiccicati? Beh, dai, su, una birretta, mica di più. E così via.

Il senso civico

Cosa intendo dire? Che c’è un grave problema di comportamenti sbagliati, di scarso senso civico. Che purtroppo non tutti hanno. Molti giovani, molti ex-giovani, molti molto-ex. Non si tratta di fare i moralisti censurando chi festeggia in compagnia, ma va solo rimarcato che le cose vanno fatte in tutt’altro modo.

Un esempio? Questa estate ero al mare in Sicilia, nella spiaggia libera di Eloro (stupenda), e i bagnanti (stupendi pure loro) si erano organizzati delimitando i propri spazi con bastoncini di bambù raccattati a riva. Tutti a distanza di sicurezza, nessuno sconfinava, anche se la caponata del vicino era parecchio invitante.

Altrove non è stato così. Per bloccare una epidemia causata da un virus che si trasmette per via aerea, la cosa più facile e ovvia è evitare di attaccarselo l’un l’altro. Non potendo evitare il fenomeno fisiologico della respirazione, per qualche tempo - temo molto - dobbiamo adottare misure semplici, ovvero mascherine, distanza di sicurezza, lavaggio della mani. Non serve molto di più.

Ma non ha funzionato, temo che non stia funzionando, e che ci si avvii verso altre maledettamente inevitabili chiusure. Spero solo che qualcuno dei tanti vaccini in sperimentazione (47 in fase clinica, 155 in fase preclinica) faccia il suo dovere, ma sta a tutti noi aiutarlo a funzionare, e da ora. Shaka!

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