Con una regolarità quasi didattica, il cambiamento climatico sta facendo il cambiamento climatico, applicando alla nostra vita la sua grammatica fatta di ondate di calore che ci sfiancano (o uccidono) e nel frattempo seccano la vegetazione trasformandola in combustibile (come successo con gli incendi di Creta) o caricano l'atmosfera di energia che si sfoga dove capita (l'alluvione in Texas, che ha fatto strage di bambini in un campo estivo).

Era purtroppo previsto e prevedibile, il pianeta sta rispondendo alla guerra che gli abbiamo fatto per oltre un secolo. La parte più interessante di questa vicenda è come sta reagendo la nostra società. Delle conseguenze del cambiamento climatico registriamo quello che siamo in grado di percepire, per vicinanza geografica, politica o culturale: ci sono stati eventi simili alla catastrofe texana, o anche più gravi – alluvioni killer in Nigeria e Cina, solo nell'ultimo mese – che non hanno nemmeno superato la soglia della nostra coscienza collettiva.

Nel frattempo gli Stati Uniti di Donald Trump stanno diventando un esperimento su quanto a lungo una società può reggere la dissociazione cognitiva tra ideologia e realtà. In sei mesi il presidente ha smantellato trent'anni anni di futura transizione (operazione completata con il cosiddetto Big Beautiful Bill del 4 luglio) e quarant'anni di ricerca scientifica.

Se a contraddire Trump è la fisica

La Casa Bianca ha fatto definanziare la maggior parte delle istituzioni che ci hanno permesso di conoscere e comprendere la crisi climatica: il Nasa Goddard for Space Studies (il primo a dare l'allarme clima al mondo, nel 1988), il Noaa, perfino l'osservatorio hawaiano di Mauna Loa che misura la concentrazione di Co2 in atmosfera.

Il motivo di questa furia che sta tagliando fuori gli Usa dal mondo civilizzato: queste istituzioni scientifiche davano torto a Trump (che odia essere contraddetto) e alla sua idea che il cambiamento climatico sia una bufala e che la ricchezza americana deve continuare a essere fondata sul santo idrocarburo.

Fino a quando reggerà l'esperimento di sostenere che un fenomeno che fa alzare il livello di un fiume di sei metri in un'ora e uccide decine di bambini non esiste?

Come ogni anno a luglio, per gli americani potrebbe essere solo l'antipasto: la stagione degli incendi a ovest e quella degli uragani atlantici a est sta entrando nel vivo. Trump non ama essere contraddetto ma i fatti sono ostinati: può cambiare nome al Golfo del Messico ma non ha giurisdizione sulle sue leggi fisiche, che solo un anno fa hanno generato mostri come gli uragani Helene e Milton.

La bomba Mediterraneo è innescata

Si può fare un discorso simile per l'Unione Europea e la sua regione in maggior sofferenza: il bacino del Mediterraneo. La settimana di ondata di dalore ha causato scioperi e vittime, intanto l'atmosfera carica di energia termica si sta già sfogando, come successo a Bardonecchia. Ma è al mare intorno a noi che dobbiamo guardare con maggior attenzione: un Mediterraneo cosi caldo d'estate vuol dire una catapulta di tempeste puntate contro di noi in autunno.

Lo sappiamo perché ogni anno è così, eppure in questo giorno della marmotta climatico sembriamo scoprirlo ogni stagione da zero, come se ci fossimo appena svegliati su un pianeta dal clima compromesso. Ripetiamo le stesse conversazioni, con gli stessi schieramenti, come se un titolo arguto o una polemica da talk potessero avere la meglio sulla fisica o la termodinamica, mentre gli anni passano e il piano diventa sempre più inclinato: secondo l'Organizzazione meteorologica mondiale abbiamo due possibilità su tre di superare la soglia di sicurezza di un grado e mezzo nei prossimi cinque anni, e non siamo lontani dai due.

Erano soglie che non avremmo dovuto superare nemmeno alla fine del secolo, secondo l'accordo di Parigi. È il 2025 ed eccoci qui, a soffrire i problemi che ci eravamo cinicamente illusi di poter scaricare sulle prossime generazioni.

Una bussola morale

La proposta della Commissione europea di tagliare l'emissioni del 90 per cento al 2040 è stato un atto di serietà, prudenza e ragionevole compromesso. Il clima poltico è cambiato, ma quello fisico è quello del 2019, quando fu varato il Green Deal, solo un po' peggio. Gli anni 2022, 2023, 2024 sono stati tutti da record, il primo solo per l'Europa, gli altri due per l'intero pianeta.

L'estate del 2025 ha in serbo altre carte imprevisti per noi: non sappiamo dove o quando, né a chi toccherà. Conosciamo solo il cosa: alluvioni, incendi, ondate di calore, e siccità. Non sono piaghe bibliche, ma conseguenze lineari delle nostre scelte, in particolare quelle energetiche.

La nuova normalità del clima anomalo non ha bisogno né della cinica indifferenza di chi lo usa come una culture war né dell'isteria del moriremo tutti quanti a breve, richiede la bussola morale di isolare questo sforzo di civiltà dalle nostre miserie politiche quotidiane.

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