Buongiorno lettrici e lettori di Domani, un iceberg più grande dell'isola di Maiorca si è staccato dall'Antartide. Si chiama A-76, galleggia nel mare di Wendell e questa è Areale, una newsletter settimanale sulla crisi climatica e come superarla (iscriviti qui).

Se lo dice anche «il club dei consumatori di petrolio»

Sono successe tante cose questa settimana, probabilmente la più importante è l'uscita del nuovo rapporto dell'International Energy Agency (Iea) intitolato Net Zero by 2050. Se vogliamo contenere l'aumento delle temperature entro 1.5°C, l'esplorazione e lo sviluppo di progetti di estrazione di petrolio e gas devono fermarsi quest'anno, non si devono costruire nuove centrali a carbone, la vendita di auto a benzina deve essere interrotta entro il 2035. Sono importanti i contenuti, lo è soprattutto la fonte.

Iea ha sede a Parigi, è stata fondata nel 1974, è il più importante istituto di previsione energetica al mondo ed è spesso stata una voce conservatrice sull'energia, criticata per le valutazioni al ribasso sulle rinnovabili e il suo legame con le fonti fossili. Bill McKibben sul New Yorker nel 2020 ne sintetizzava così la storia: «Un club di paesi consumatori di petrolio, proposto da Henry Kissinger dopo l'embargo dell'Opec negli anni Settanta».

Sotto la direzione dell'economista turco Fatih Birol il focus è stato progressivamente spostato sulla ripresa verde, ma ancora nel 2020 il rapporto sulla ripresa sostenibile post-Covid citava il gas nelle strategie di lotta al riscaldamento globale ed evitava di specificare gli obiettivi dell'accordo di Parigi. Un anno dopo tutto è cambiato, gli obiettivi di Parigi ci sono, l'esplorazione per il gas secondo Iea deve interrompersi come quella per il petrolio e l'immagine del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani che presenta progetti di gasdotti «esistenti e in discussione» a John Kerry è invecchiata malissimo.

Sulle nette divergenze tra il nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza e il nuovo rapporto dell'International Energy Agency leggete Giovanna Faggionato su Domani. 

Sul fondo del lago senz'acqua

Ci sono eventi che ecologicamente, politicamente e simbolicamente rappresentano punti di non ritorno. Per gli Stati Uniti (e non solo) la stagione degli incendi 2020 è stata uno di questi, il campanello di un allarme ormai troppo vistoso e rumoroso per essere ignorato. Sugellò la reputazione come «piromane climatico» di Donald Trump, che mentre gli ultimi fuochi si spegnevano perse le elezioni. Ha vinto Biden, il moderato radicale, ed eccoci qui.

Intanto per la California si prepara un'altra estate molto difficile. La stagione degli incendi è iniziata in anticipo: sono già bruciati oltre 30 chilometri quadrati di foreste, l'anno scorso di questi tempi eravamo a 5. Ma il problema più grande quest'anno potrebbe non essere nemmeno il fuoco, ma l'acqua, o meglio, la sua assenza.

L'emergenza siccità è stata già dichiarata in due terzi delle contee della California. Un mese fa il governatore Gavin Newsom ha fatto un discorso stando in piedi sul fondo del lago Mendocino, un bacino artificiale completamente in secca, dove normalmente Newsom sarebbe stato sotto almeno sei metri d'acqua. Acqua che, appunto, non c'è, e non c'è in tutto l'ovest degli Stati Uniti. Secondo i dati di United States Drought Monitor, l'84 per cento del West è in condizioni di siccità, il 47 per cento di estrema siccità. Nel New Mexico è arrivata agli agricoltori che prendono l'acqua dal Rio Grande una raccomandazione che suonava quasi come un'implorazione: per favore non piantate nulla quest'anno se non è assolutamente necessario. Si scavano nuovi pozzi, si tagliano le forniture (è maggio ed è prestissimo, la domanda è cosa succederà a luglio), gli stati dell’ovest sono in pieno adattamento climatico.

Altro continente, altra siccità: siamo in Madagascar, la situazione è stata definita da World Food Programme e Fao catastrofica. In cinque degli ultimi sei anni le precipitazioni sono state sotto media, la siccità attuale è la peggiore degli ultimi quarant'anni, sta devastando i raccolti di riso, mais, cassava e legumi. Le persone sono allo stremo, la siccità si sta trasformando in carestia, si mangia argilla mista a succo di tamarindo per resistere, fa sapere a Climate Home News un dirigente locale del World Food Programme.

Nella classifica Global Climate Risk 2020 delle nazioni più vulnerabili alla crisi climatica il Madagascar era al quarto posto e significava esattamente questo.

Il senso di Salgado per l'Amazzonia

È uscito un nuovo libro del grande fotografo brasiliano Sebastião Salgado, lo ha pubblicato Taschen, si intitola Amazônia e questa è la copertina.

Salgado ha 77 anni, negli ultimi sei ha esplorato la foresta per scattare le foto raccolte in questo nuovo libro, sei anni che sono coincisi in parte con la ripresa massiccia della deforestazione e che rendono il documento del fotografo ancora più prezioso e simbolico. Nell'introduzione, Salgado scrive: «Per me l'Amazzonia è l'ultima frontiera, un universo misterioso a sé stante, dove l'immenso potere della natura può essere avvertito come in nessun altro luogo del mondo, una foresta che tende all'infinito e che contiene un decimo di tutte le piante e gli animali del mondo, il più grande laboratorio naturale della Terra».

Salgado ha incontrato e fotografato anche le tribù indigene che vivono nella foresta: Asháninka, Yawanawá, Zo’é, Korubo, Marubo e Awá, Il libro è dedicato a loro, i custodi dell'Amazzonia. Questa settimana la Ong Survival International ha lanciato un nuovo allarme sulla protezione di cui godono questi popoli indigeni in Brasile, perché il governo sta valutando di abolire le ordinanze in scadenza, sarebbe un disastro per loro e la foresta.

«Il mio desiderio, con tutto il mio cuore, la mia energia e la mia passione, è che tra cinquant’anni questo libro non sarà solo la testimonianza di un mondo perduto. L'Amazzonia deve vivere», scrive Salgado.

Candidati ecologisti dal basso

Parliamo tanto di nuove sensibilità ecologiche e di come possono essere convertite in politica, in voti. Un mese fa è uscito un sondaggio Ipsos per WeWorld in cui si diceva che 8 europei under 35 su 10 voterebbero volentieri un candidato con la lotta ai cambiamenti climatici come priorità. Se ne discuterà ancora di più in autunno, con la possibile affermazione dei Verdi alle elezioni in Germania. Ma in Italia è tutto più complicato, anche perché il Partito democratico di Enrico Letta ha sposato diverse cause di sostanza e di principio ma è rimasto afono sull'ecologia, come da tradizione.

Tutto questo preambolo serve a segnalare Ti candido, un’interessante iniziativa del Forum disuguaglianze e diversità in vista delle amministrative d'autunno. Il 15 giugno parte una call pubblica, per dare l'opportunità a candidate e candidati impegnati per la giustizia sociale e ambientale di raccontare le proprie motivazioni e i propri progetti, presentarsi agli elettori e intercettare quella coscienza ecologica, che in Italia esiste ma spesso rimane politicamente invisibile. Negli ultimi due anni, il Forum ha già aiutato undici persone con questo tipo di approccio a entrare nelle istituzioni, tra sindaci, consiglieri regionali e comunali. Un modo per costruire dal basso quello che dall'alto non arriva.

Felini d'Europa

Non viene quasi mai raccontata, ma in Italia c'è una piccola popolazione di linci, avvistate (sporadicamente, dovete essere molto, molto fortunati) in quasi tutte le regioni del nord: Friuli Venezia Giulia, Trentino, Lombardia, Valle d'Aosta, Piemonte. Sono minacciate da bracconieri, incidenti e dall’indebolimento genetico causato dall’accoppiamento tra consanguinei, però resistono, grazie alle aree protette e all'aumento della copertura forestale.

Lo dico perché oggi è la giornata mondiale della biodiversità e il WWF ha lanciato una campagna per raccontare le interessanti e poco citate vicende dei felini selvatici europei: la lince europea, il gatto selvatico e la lince iberica, che è considerata addirittura il felino più minacciato del pianeta.

Anche il gatto selvatico è presente nei nostri boschi, tra Appennini e Alpi orientali. In Sardegna c'è anche la sottospecie africana Felis silvestris lybica.

Il gatto selvatico è uno degli animali italiani più elusivi e difficili da avvistare. Ve ne regalo uno: sono così i gatti selvatici.

Felis silvestris Wild cat cub Bavarian Forest National Park Germany

Belli, no? Per questa settimana è tutto, se avete critiche, commenti, dubbi, incoraggiamenti, storie di gatti selvatici e non, o nomi di candidati genuinamente ecologisti, scrivete a lettori@editorialedomani.it

Grazie!

Ferdinando Cotugno

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