Care lettrici, cari lettori di Domani. Questo è un nuovo numero di Areale, la newsletter (iscriviti qui) sulla crisi e l'azione climatica, sull'ecologia, l'ambiente, il futuro.

Il 22 aprile sarà il cinquantunesimo Earth Day, il trentunesimo da quando è diventato una celebrazione globale, il secondo da quando siamo in pandemia, il primo da quando esiste il quotidiano Domani. Oggi, sabato 17 aprile, lo celebriamo con uno speciale DopoDomani, che si compra insieme al quotidiano, costa 2 euro, contiene 16 pagine di storie dalla Terra e per la sua difesa. Leggetelo, si imparano cose. In ogni caso, questa è la copertina. «Erediteranno la Terra».

Il fiume, i R.E.M. e la Giornata della Terra

C'è una storia collegata alla nascita dell'Earth Day che incrocia il cammino dei R.E.M., forse il più ecologista dei gruppi rock. Nel 1986, nella canzone Cuyahoga, Michael Stipe cantava: «This is where we walked / This is where we swam / Take a picture here / Take a souvenir». Il Cuyahoga è un fiume dell'Ohio che attraversa Cleveland e sfocia del lago Erie. Per anni ha avuto la spiacevole reputazione di corso d'acqua più inquinato d'America. «In questo fiume non si annega, ci si decompone», dicevano i locali. Gli sversamenti industriali tossici erano tali che il Cuyahoga ciclicamente prendeva fuoco. «We'll burn the river down», cantavano i R.E.M. L'incendio del 1969 fu l'ennesimo di una lunga serie, provocò una grande emozione nazionale, finì sulle copertine di Time e National Geographic. È considerato uno degli eventi che hanno plasmato la coscienza ambientalista degli americani. Su quest'onda, l'anno successivo un senatore democratico e il capo degli studenti di Stanford crearono l'Earth Day, pensandolo inizialmente come una rete di teach-in nei campus sul modello di quelli contro la guerra in Vietnam. È per questo che lo celebriamo il 22 aprile: era la data perfetta tra lo spring break e gli esami finali.

Il summit di Biden: esame di primo quadrimestre

Tutte le Giornate della Terra sono importanti, questa lo sarà in particolare: il 22 e il 23 aprile il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha invitato 40 paesi a discutere (virtualmente) di ecologia, ambiente e clima, una sorta di G20 allargato a rappresentanti globali dell'emergenza (ci sono Bangladesh, Isole Marshall, Repubblica democratica del Congo e Gabon).

C'è anche l'Italia: sarà il debutto internazionale di Draghi sul tema dell'ambiente. Ci sono aspettative ma non sarà un vertice disteso. Ci sono paesi con i quali gli USA stanno vivendo momenti di tensione (eufemismo): Russia e Cina. La scommessa, come ha spiegato l'«ambasciatore ecologico» John Kerry, è rendere il clima un tema a parte, isolato da qualsiasi litigio su commercio, diritti umani, spionaggio. Servirà grande abilità diplomatica, è un test importante. Si spera innanzitutto partecipino tutti (non è detto, per le tensioni di cui sopra) e ci si aspetta che almeno gli Stati Uniti facciano un importante annuncio di riduzione delle emissioni nel medio termine. In fondo è il loro summit, non possono presentarsi a mani vuote. Probabilmente qualcun altro (Corea del Sud? Giappone? Europa?) seguirà l'esempio. Se la COP26 di Glasgow a novembre è l'esame di maturità di questo anno decisivo per l'azione climatica, il summit di Biden è la verifica del primo quadrimestre.

Sindrome cinese

In Areale parliamo e parleremo spesso di fonti di energia, perché il nostro futuro passa da qui. Energia pulita o sporca. Nel 2020 in Europa il gas ha superato la lignite (cioè il carbone) come principale fonte di emissioni. L'Unione sta lentamente dismettendo le centrali a carbone (con isole di resistenza a oriente, soprattutto Polonia e Repubblica Ceca), ma rischia di rimanere incastrata nel gas come «energia di transizione». Globalmente però il carbone continua a essere usato in quantità preoccupanti ed è un problema soprattutto cinese. È uno dei temi di cui Biden chiederà conto a Xi Jinping (se parteciperà al vertice). La Cina ha promesso di raggiungere il picco delle emissioni nel 2030 e la neutralità nel 2060. Però secondo il centro studi Transition Zero per riuscirci deve chiudere quasi 600 centrali in questo decennio e non è affatto chiaro come abbiano intenzione di farlo. La Cina è il paese leader nelle emissioni di gas serra, come e quando riusciranno ad attuare una vera transizione energetica è uno dei principali temi del presente.

Il razzismo dei fossili

A proposito, l'industria delle fonti di energia fossili è anche razzista. Uno dei pilastri dell'ambientalismo contemporaneo è la giustizia climatica, l'intersezione di lotte ecologiche e sociali, perché la crisi è grave ma non cieca e colpisce selettivamente comunità povere e svantaggiate. È uscita una ricerca di Greenpeace, Movement for Black Lives e Gulf Coast Center for Law and Policy che lo conferma, quantificando e aggregando i danni delle fonti fossili (carbone, gas, petrolio) contro le minoranze di colore negli Stati Uniti. Le comunità nere sono per esempio il 50 per cento più esposte all'inquinamento da particolato e più colpite da malattie cardiache e respiratorie collegate. La maggioranza dei 133 impianti petrolchimici su suolo americano è vicino alle comunità povere di colore. Altri dati dell'Epa sulle prigioni di New York, Chicago e Los Angeles mostrano come i detenuti siano incarcerati nelle zone più tossiche ed ecologicamente pericolose del paese. Il rischio di tumori causati dalle inalazioni è più alto che in qualsiasi altro luogo d'America. La transizione ecologica è anche giustizia sociale.

Il fermento verde

La storia dell'europarlamentare Eleonora Evi è interessante per capire il fermento che c'è intorno a una rinascita politica dei Verdi. La sua azione politica è cominciata nel Movimento 5 Stelle, con il quale Evi è entrata all'Europarlamento. Dal movimento però è uscita (insieme ad altri) sbattendo la porta durante il secondo mandato, per quello che definisce «il tradimento di alcune battaglie ambientaliste cruciali». È una misura di come i Cinque Stelle abbiano fatto fatica in questi anni a rispettare la loro identità ecologista. La goccia finale è stata la riforma della Politica agricola comune.

Evi è entrata nei Verdi europei e - notizia di questa settimana - in quelli italiani, che sono ora nel pieno della transizione da Verdi a Europa Verde. La situazione, come la definisce Evi, è «vivace». C'è stata la nascita di una componente verde alla Camera (Facciamo Eco), l’adesione del sindaco di Milano Sala alla carta dei valori dei Verdi europei. «Se una persona come lui, che in passato ho combattuto, ha saputo cambiare idea e avvicinarsi a principi ecologisti, è una grande notizia, anche se dovremo tenere gli occhi aperti sulla coerenza a livello locale», dice Evi. La scommessa però è aggregare questo fermento in una sola identità, un solo marchio e un solo nome. Devono essere affluenti di un solo fiume, altrimenti questi rivoli rischiano di confondere gli elettori e allontanare l'obiettivo finale, far arrivare l'onda verde di Germania e Francia anche in Italia.

L'areale e il danno umano

In questi giorni si è discusso molto di uno studio internazionale uscito su Frontiers in Forests and Global Change che ha misurato quanta superficie della Terra può considerarsi faunisticamente intatta nonostante la nostra presenza. Secondo questa ricerca, l'areale del genere umano ha risparmiato meno del 3 per cento del pianeta. Gli ultimi angoli selvaggi, dove tutte le popolazioni animali sono state risparmiate dall'estinzione e dalla perdita di habitat, sono nella foreste dell'Amazzonia e del Congo (le più minacciate dalla deforestazione, per altro), nella Siberia orientale, nella tundra canadese e nel Sahara.

Secondo gli studiosi, la reintroduzione di alcune specie chiave potrebbe far rimbalzare il dato al 20 per cento. Serve ovviamente anche un'estensione delle aree protette. C'è un crescente movimento globale che ruota intorno a due numeri potenti e simbolici: portare le aree protette del mondo al 30 per cento entro il 2030. (Oggi i numeri dicono che solo il 15,4 per cento della superficie terrestre e il 7,6 per cento degli oceani è protetto).

C'è una coalizione globale, guidata da Costa Rica, Francia e Regno Unito, per raggiungere questo obiettivo, c'è attesa e c’è speranza che questi numeri possano diventare parte di un patto globale, strutturato come l'accordo di Parigi. Uno degli aspetti chiave però è che la conservazione degli habitat non deve essere una fortezza che esclude le comunità indigene, quelle che gestiscono oggi le ultime terre incontaminate mappate dallo studio di Frontiers in Forests and Global Change e che in questa epoca si sono mostrate le migliori custodi della biodiversità, con i numeri che mostravano anche nello scorso numero di Areale

C’è uno strumento di mappe e open data per esplorare le aree protette di tutto il mondo. Si chiama Protected Planet. Buon divertimento.

Contare i rinoceronti a mano

Forse l'avete vista, è una buona notizia e riguarda i rinoceronti indiani. In Nepal è stato completato il censimento quinquennale e i numeri sono buoni. La popolazione è cresciuta da 645 a 752 esemplari, quasi tutti nel Chitwan National Park. In Nepal solo cento anni fa c'erano migliaia di rinoceronti, negli ultimi decenni sono stati decimati dai bracconieri, dalla deforestazione, dalla perdita di habitat e anche dalle tensioni militari e politiche. La guerra civile tra le forze di sicurezza e i ribelli maoisti aveva creato un contesto devastante per la specie, che è stata vicina all'estinzione. Oggi quella dei rinoceronti indiani è una delle principali storie di successo della conservazione in Asia. C'è anche una punta di nazionalismo sui rinoceronti in Nepal. A differenza dei precedenti censimenti, questo è stato finanziato solo dal governo e condotto da esperti locali. Per lo stesso motivo, il primo ministro K. P. Sharma Oli insiste che in Nepal siano chiamati col nome locale, gaida, e non con quello internazionale. La stessa operazione linguistica viene fatta con l'Everest, o Sagarmāthā, appunto. 

Come si fa un censimento dei rinoceronti, a proposito? In Nepal non si usano droni o fototrappole, si fa tutto a mano, se ne sono occupati 350 esperti, che hanno viaggiato per settimane a dorso di elefanti addomesticati, l'unico modo per attraversare la giungla, cercando i «rinoceronti unicorno» (Rhinoceros unicornis è il nome scientifico) uno a uno. Non è l'attività più agevole del mondo, durante l'ultimo censimento gli operatori sono stati attaccati da elefanti selvatici, orsi e in un caso anche da una tigre, ci sono stati feriti e una vittima. Le stime vengono fatte identificando ogni animale in base al genere, le dimensioni, il corno, le cicatrici, la forma delle orecchie e le pieghe della pelle. Gli appunti vengono presi senza scendere dall'elefante e nemmeno questo è facilissimo.

Epilogo

Prima di salutarci, come sta il fiume Cuyahoga oggi? Meglio. Lo scandalo degli incendi spinse non solo alla creazione dell'Earth Day, ma anche alla nascita dell'Environmental Protection Agency e a leggi come il Clean Water Act. Per decenni, Cuyahoga è stato ripulito e bonificato e col tempo è diventato anche uno dei simboli dei tentativi di rinascita turistica della città di Cleveland. Nel 2019, cinquant'anni dopo l'incendio, è stato votato fiume americano dell'anno da American Rivers, sono tornati i pesci gatto e le carpe, c'è vita in acqua e intorno all'acqua, c'è un parco nazionale e ci sono chilometri di sentieri. Insomma, non è facile, ci vuole tempo, ma si può fare.

Per questa settimana è tutto, se avete osservazioni, critiche, commenti, bootleg dei R.E.M. o disegni accurati di rinoceronti indiani, scrivete a lettori@editorialedomani.it. Buona Giornata della Terra e grazie per aver letto fin qui.

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