Anche se non siamo nemmeno a giugno, l’Italia sta già affrontando la prima ondata di calore della stagione, che raggiungerà il picco nel fine settimana, con temperature che al nord-ovest arriveranno a 34°C. È ancora presto per sapere se raggiungeremo i record per il mese di maggio (Torino 32.2° C nel 2001, Milano 35.5°C nel 2009), ma la deviazione statistica rispetto alle medie del periodo potrebbe arrivare a 10°C in più rispetto a come dovrebbero essere le temperature del periodo.

«È un anticiclone subtropicale con masse d’aria calda che risalgono dal Sahara, invadendo buona parte dell'Europa sud-occidentale», dice Giulio Betti, meteorologo del Cnr. «Questa è la nostra nuova normalità, ormai siamo abituati a percepire anche giugno come un mese estremamente caldo, quando un tempo era un mese di transizione, con medie generalmente gradevoli».

Gli anni più caldi

I cambiamenti climatici si valutano su scale di almeno trent'anni: la nuova normalità italiana che stiamo sperimentando in questi giorni ha visto la frequenza delle ondate di calore più che raddoppiare rispetto agli anni ‘60. Dal punto di vista meteorologico è impossibile prendere questa ondata di calore primaverile come un’anticipazione di come sarà l’estate, anche se il pensiero va inevitabilmente a quella del 2003, «la tempesta sinottica perfetta», come la definisce Betti, con quattro mesi e mezzo di temperature sopra la norma e migliaia di vittime in Europa.

«Quello che possiamo dire oggi è che c’è una probabilità piuttosto elevata di avere un trimestre estivo al di sopra della media, il rapporto tra quelle fresche e quelle calde si sposta sempre di più a favore di queste ultime, come è inevitabile per un pianeta che ha ormai come base di partenza globale un riscaldamento di 1.1°C rispetto all’èra pre industriale». Il bollettino sullo stato del clima dell’Organizzazione meteorologica globale dell’Onu ha confermato questa settimana che gli ultimi sette anni sono stati i sette più caldi della storia, da quando registriamo le temperature.

India e Pakistan

L’esperienza peggiore per questa primavera 2022 è stata quella di India e Pakistan, dove l’ondata di calore della stagione pre monsonica ha portato le temperature nelle città del subcontinente a oscillare tra i 40° e i 50° per diverse settimane.

Stanno barcollando sotto picchi estremi anche gli Stati Uniti centrali e orientali: qui è ripartita anche la stagione degli incendi, quello di Calf Canyon, in New Mexico, è già il più esteso nella storia dello stato. «Le ondate di calore sono diventate più lunghe e intense. L’Italia lo scorso agosto ha fatto registrare il picco più alto di sempre in Europa, con 48.8°C a Siracusa. Le temperature non vanno valutate solo in astratto, ma nel contesto» spiega Marina Baldi, climatologa del Cnr. «In Italia questa ondata arriva dopo una stagione in cui ha piovuto pochissimo, il Po è sotto di due metri rispetto ai livelli attesi, le falde acquifere sono al minimo e le poche nevicate portano ricariche d’acqua scarse al disgelo».

I giorni di caldo intenso

Secondo il rapporto “Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in sei città italiane”, prodotto nel 2012 dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), tutti i centri metropolitani del nostro paese hanno visto aumentare i giorni di caldo intenso (superiore ai 25°C) durante l’anno: rispetto agli ultimi decenni sono in media 50 in più a Napoli, 30 a Milano, 29 a Torino, 28 a Roma.

«La prima considerazione da fare è che va spostato il modo in cui ragioniamo sul clima: dobbiamo deciderci a parlarne al presente, il cambiamento è arrivato, tutti gli anni dal 2014 sono stati delle anomalie rispetto alle medie del trentennio», dice Paola Mercogliano, ricercatrice del Cmcc e co-autrice dello studio. «Questa è un’emergenza piena e andrebbe affrontata come tale, l’Ipcc (organismo Onu che sintetizza la scienza sui cambiamenti climatici, ndr) ci dice che viviamo in un punto tra i più sensibili al mondo e che in Italia nei prossimi dieci anni dovremo affrontare tutti gli impatti dell’aumento delle temperature: perdita di biodiversità, aumento degli incendi, danni alla salute dei cittadini».

«La sensazione è che l’adattamento alla crisi climatica in Italia vada a diverse velocità», continua Mercogliano. «Ci sono differenze tra nord e sud, tra alcuni grandi centri che stanno lavorando bene e quelli piccoli che spesso sono molto indietro. Il punto è che mentre la mitigazione, cioè la riduzione dei cambiamenti climatici, è un'azione globale, l’adattamento si può fare solo in base al contesto locale, il singolo comune, la specifica comunità. E in Italia mancano linee guida per rendere questo adattamento omogeneo. In assenza di un quadro comune diventa un moltiplicatore di disuguaglianze, tra chi ha l’aria condizionata e chi no, tra chi può scappare dalle città e chi ci rimane intrappolato».

Aiuterebbe se l’Italia approvasse finalmente il suo Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, la cui stesura è iniziata nel 2016, ha attraversato due legislature e cinque governi senza ancora vedere la luce. Il documento sarebbe uno standard per le azioni concrete da mettere in campo da parte delle amministrazioni locali, divise per impatti e aree.

Dalla ricerca alla società

La grande lezione inascoltata di queste ondate di calore è che dobbiamo essere pronti a inserire il cambiamento climatico in tutti i processi decisionali di questo paese: come si costruisce, come si distribuiscono le aree verdi, come si gestisce la scarsità d’acqua, come si avvisano i cittadini, e in particolare le persone vulnerabili, di un evento estremo in arrivo.

«Il problema non è la ricerca scientifica» conclude Mercogliano. «La ricerca ha parlato e continua a parlare, il problema è il trasferimento dei dati dalla ricerca alla società. Per le ondate di calore non conta quello che facciamo oggi su questa estate, è come programmiamo il futuro a partire da settembre».

La prima mossa? Secondo la ricercatrice del Cmcc sarebbe un sistema di monitoraggio della temperatura molto più puntale di quello che abbiamo: «In un paese sempre più caldo dobbiamo conoscere le zone più calde strada per strada, quartiere per quartiere, ci sono alcuni progetti pilota, come nella città di Prato, ma devono essere implementati a livello nazionale. Costano? Ma costa molto di più non intervenire, il rapporto tra prevenzione e danni delle ondate di calore è un euro a sei».

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