Giustizia globale o negazionismo, la Cop30 è una prova per la democrazia climatica

La democrazia tradizionale, europeo-atlantica, somiglia all’ala della Casa Bianca smantellata da Trump: un monumento architettonico deturpato dalla furia populista. Ma, come ci ricordava David Graeber nella sua ultima opera (L’alba di tutto, 2022), la democrazia fioriva nelle mente dei nativi americani ben prima dell’arrivo dei colonizzatori, e forse anche in una forma migliore. Possiamo sperare di vedere riaffiorare quel germe di democrazia a Belém, dove si sta svolgendo la Cop30? Dietro le Cop c’è un pensiero semplice. Il cambiamento climatico pericoloso è un effetto del modo di vivere che ci ha arricchiti e resi benestanti, qui nella calda Europa e negli Stati Uniti, soprattutto. Pochi hanno guadagnato e continuano a farlo a spese di molti, e questo guadagno e quelle perdite si sono realizzate senza chiedere permesso a nessuno. Una questione di giustizia distributiva globale di questo genere si risolve garantendo la giustizia procedurale, innanzitutto, cioè dando a tutti voce nelle decisioni da prendere. Un problema del genere non si può risolvere unilateralmente, affidandosi ai tecnici, alle élite, a un autocrate benevolo. Se c’è una situazione in cui servono democrazia e diplomazia, è questa. La Cop30 è iniziata: si parlerà poco di clima e molto di finanza La Cop di comunità e movimenti Forse per questo il presidente Lula ha annunciato la Cop della mutirão, il termine di origine indigena che designa il lavoro solidale e cooperativo di una comunità intenta a un compito comune. E Correa do Lago, cui è affidata la presidenza dei lavori, ha parlato di virada, termine calcistico che indica la rimonta. E si annuncia la Cop del ritorno dei popoli, delle comunità indigene, dei movimenti, dopo almeno due edizioni isolate, blindate, preda dei petrostati. Ed è la Cop dove Marina Silva, ministra dell’Ambiente, chiede a indigeni e comunità di stilare una specie di bilancio etico globale. La promessa è pure che sarà la Cop della verità e dell’azione, quella dove tutta questa procedura, tutta questa democrazia, tutti questi impegni dovrebbero portare finalmente a decisioni, fatti, realizzazioni. Vedremo. Probabilmente il mondo senza le Cop, senza la democrazia climatica, sarebbe stato peggiore. Ma potrebbe essere migliore, e il meno peggio che abbiamo potrebbe non bastare ad assicurare una vita decente a chi subisce già e subirà gli impatti del clima. Forse senza le Cop le cose sarebbero andate peggio per pochi possidenti, che ora si sentono al sicuro, ma le prospettive rimangono grame per chi non ha riparo. L’ambientalismo cambia: gli italiani vogliono tassare aziende e ricchi La democrazia climatica potrebbe essere stata un regalo ai paesi industrializzati e alle loro élite, non uno strumento di giustizia globale. È servita a evitare la catastrofe per tutti, non quella per i più indifesi. Grazie agli sforzi resi possibili dalle Cop, Bill Gates, una volta impegnato per il clima, può dichiarare che è meglio occuparsi d’altro. Il pericolo per quelli come lui, forse, è passato. 2.5° in più si possono gestire, con i suoi soldi e a quelle latitudini. E peggio per gli altri, per i quali invece 2.5° in più possono fare la differenza fra una vita decente e la catastrofe esistenziale. Greta Thunberg ha saldato il suo popolo al resto dell’attivismo sulle grandi questioni di giustizia globale, rendendo l’ambientalismo collante universale, dispositivo intersezionale. Ma senza impatti nelle urne. I governi di destra in Europa e il governo Trump usano la democrazia climatica contro sé stessa, per indebolire il fronte, far passare decisioni timide e soluzioni inutili (il sogno del nucleare pulito e del biocarburante meloniano, per esempio). La Cop30 è la più simbolica di sempre. Ma le aspettative sono molto basse Cosa serve Contro tutto questo una risposta di mera resistenza non servirà, come non serve nella politica economica e nella gestione delle guerre. Non si deve solo riaffermare il valore della democrazia climatica. Si deve mostrare che funziona e realizza la giustizia. Per farlo ci si potrebbe ricordare che le decisioni democratiche si possono anche prendere a maggioranza, che si dialoga con chi vuole farlo e le decisioni democratiche vanno imposte anche chi si sottrae al dialogo. La miglior democrazia è inutile se le decisioni democratiche rimangono lettera morta. La procedura non è un fine in sé, è il miglior modo per raggiungere decisioni di sostanza, ma legittimate dal consenso. La scelta potrebbe essere fra il disastro, l’ecodittatura o una democrazia climatica trainata dai paesi in via di sviluppo e paesi come l’Australia di Anthony Albanese o il Messico di Claudia Sheinbaum Pardo. La Cop di Belém potrebbe essere l’inizio di un multilateralismo diverso, un modello anche al di là delle politiche climatiche, o il fallimento. Potrebbe essere l’alba di un mondo nuovo o la fine di tutto, il trionfo del populismo del qui ed ora, la definitiva vittoria della politica della rimozione e del negazionismo.