Il fallimento di Belém e la fuga dalla Cop: così non si incide sulla crisi climatica

Belém – Lula l’aveva ribattezzata «Cop della verità» ma la Cop30 del Brasile ha restituito una verità difficile da accettare: le regole delle conferenze Onu sul clima – immobili da trent’anni – non sono più in grado di incidere sulla crisi del clima. Il commento più ragionevole viene dagli unici custodi credibili del processo, gli scienziati. In rappresentanza della loro comunità valga quello equilibrato e dolente dei glaciologi dell’Organizzazione Internazionale della Criosfera (Icci): «L’accordo finale riconosce l’obiettivo di tenere il grado e mezzo alla portata, ma le azioni che mette in campo non sono in grado di portarci lì perché il processo non è riuscito a identificare la strada per arrivarci, cioè la transizione dalle fonti fossili di energia. Sono benvenuti i riferimenti alla scienza ma, senza seguirla, la scienza diventa inutile». La Cop31 alla Turchia: Erdogan si è preso anche il negoziato climatico Testo vuoto È difficile dare conto di un testo lunghissimo ma vuoto come il Global Mutirão, il documento più politico prodotto da questa Cop30. È più facile farlo cercando quello che non c’è, facendo i conti con l’assenza che rappresenta il gigantesco fallimento politico del Brasile, dell’Unione europea e della Cop stessa: qualsiasi menzione, anche blanda, delle fonti fossili di energia, la crisi principale della crisi climatica. A Belém c‘è stato il crollo delle illusioni prodotte dall’ambiguo populismo della presidenza brasiliana: domenica scorsa Lula aveva mandato due ministre in piazza dagli attivisti a promettere l’avvio di una roadmap collettiva globale per l’abbandono degli idrocarburi. Si è preso gli applausi, salvo poi dover arretrare su tutta la linea quando si è alzato il muro dei paesi produttori, il cui mantra è stato: «Le nostre decisioni le prendiamo nelle nostre capitali, non nelle vostre capitali». Lula sperava nel sostegno della Cina, che invece è rimasta dietro le quinte, tradendo le illusioni sul fatto che Pechino potesse avere voglia o interesse a sostituirsi agli Stati Uniti nel campo della diplomazia climatica. La presenza cinese alla Cop30 sarà ricordata per l'intervista dell'inviato per il clima Liu Zhenmin che ha umiliato gli impegni climatici dell’Unione europea nel media più letto a Bruxelles (Politico) e per i peluche di panda regalati al padiglione. Cop30, Bonelli: «L’Europa ha un’opportunità, ma sul clima Meloni fa la portavoce di Trump» L’Ue esce a pezzi da Belém: ha accettato di aumentare le risorse per l’adattamento dei paesi più vulnerabili (che è anche una cosa giusta) ma senza ottenere in cambio il suo obiettivo politico più centrale: un progresso sulla transizione dalle fonti fossili. Il capo negoziatore Woepke Hoekstra aveva provato ad alzare la posta, minacciando addirittura un non accordo. La sua posizione è stata indebolita dalle parole quasi in contemporanea di Ursula von der Leyen al G20 in Sudafrica: «Siamo contro le emissioni, non contro le fonti fossili». La stessa cosa che dicono i sauditi. Divisa al suo interno e ignorata all’esterno nelle sue pretese negoziali, l’Unione europa, come sull’Ucraina o sui dazi, alla fine si è piegata a forze su cui non è più in grado di incidere. La lacerazione è diventata vistosa quando un gruppo di paesi (Austria, Belgio, Finlandia, Olanda, Lussemburgo, Spagna) ha aderito all’iniziativa del governo colombiano di convocare una conferenza alternativa alla Cop, una specie di coalizione dei volenterosi che vogliono davvero iniziare l’abbandono delle fonti fossili, lasciando indietro i più conservatori, come Italia, Ungheria, Polonia. Non ne esce bene il Green Deal: sarà più difficile trovare una linea energetica comune tra 27 paesi con agende così diverse sul piano internazionale. Cop30, la sfida di Lula: una nuova roadmap Onu per salvare il pianeta Multilateralismo irrilevante La Cop30 sarà ricordata come la certificazione che il multilateralismo ambientale sta diventando quello che Trump desidera: diviso, cerimoniale, immobile e irrilevante per le sfide che deve affrontare. Belém sarà ricordata come la città dove è cominciata la fuga dalla Cop. Tra i ventiquattro paesi che hanno aderito alla chiamata del governo colombiano di Gustavo Petro non ci sono solo i sei ribelli europei, ma anche produttori in cerca di un destino nuovo, come Australia e Messico, oltre alla stessa Colombia. È un destino che evidentemente non si può più trovare nelle Cop, almeno non con le regole attuali, che rendono fin troppo facile il compito di Arabia Saudita e pochi altri nel bloccare l'ambizione di tutti. Cop30, i paesi riusciranno a mantenere le promesse? Il parere dei nostri lettori A Cop30 lobbisti e petrostati hanno imposto l’omertà fossile globale: petrolio carbone e gas non possono nemmeno essere citati, solo vagamente evocati con riferimenti ad altri testi. L’unica conferenza a esserci riuscita è stata la Cop28 degli Emirati: evidentemente del petrolio possono parlare solo i petrolieri. Per un processo il cui scopo non è legiferare ma mandare segnali politici, questa assenza di chiarezza è una sconfitta senza attenuanti. Alla fine il Brasile ha pure creato una roadmap, ma lo ha fatto fuori dal processo delle Cop. Al di là di come andranno, questi due tentativi a trazione sudamericana sono le certificazioni che la lotta alla crisi climatica andrà come andrà a prescindere dalle conferenze Onu sul clima, che lasciano Belém, dieci anni dopo l'accordo di Parigi, come un guscio vuoto. Incendio tra i padiglioni di Cop30 a Belém, evacuata la sede