La sfida dell’adattamento, il successo della Cop30 dipende anche da questo

Una delle asticelle con cui sarà misurato il risultato della Cop30 sta in uno dei tanti acronimi che compongono la lingua delle Nazioni unite: Gga. È oscuro e impronunciabile, ma dal Gga dipende la vita di milioni di persone. Gga sta per Global goal on adaptation, l’«obiettivo globale di adattamento», il più negletto e sottovalutato dei pezzi dell’accordo di Parigi. Decidere cosa significa adattamento e trovare un modo per indirizzare i fondi per l’adattamento lì dove è più urgente sono due livelli di azione per il clima su cui da un decennio la comunità internazionale non riesce a portare risultati. Secondo l’Unep, l’agenzia ambiente dell’Onu, i paesi in via di sviluppo hanno bisogno di 310-365 miliardi di dollari all’anno per adattarsi, e oggi ne ricevono solo 26. Come ha detto il presidente di Cop30, André Corrêa do Lago, «senza adattamento, il cambiamento climatico diventa un moltiplicatore di povertà, distrugge vite ed economie, amplifica la fame. L’incapacità di agire sull’adattamento a questo punto della crisi climatica è una scelta politica su chi vive e su chi muore». Giustizia globale o negazionismo, la Cop30 è una prova per la democrazia climatica Mitigazione e adattamento Un passo indietro per decodificare l’enfasi dietro queste parole del capo diplomatico di Cop30, solitamente più misurato con il linguaggio. La lotta contro la crisi climatica si fa lungo due traiettorie complementari. La prima è la mitigazione, cioè la riduzione delle emissioni di gas serra, per contenere l’aumento di temperature future e relative conseguenze a lungo termine. La seconda è l’adattamento, prepararsi alla parte di emergenza climatica che oggi non si può più evitare. Dalla prospettiva di un paese ricco, la mitigazione può sembrare più importante dell’adattamento, ma da quella di un paese povero la piramide dei bisogni è rovesciata: l’adattamento è un’urgenza radicale e imminente, come dimostrato dagli impatti dell’uragano Melissa nei Caraibi e dal tifone Uwan nelle Filippine. La Cop30 è iniziata: si parlerà poco di clima e molto di finanza Definire gli indicatori Uno dei motivi di questa voragine tra bisogni e risorse è che l’adattamento è difficile da circoscrivere e definire. Sulla mitigazione, gli indicatori sono pochi e chiari: quante emissioni? Quanti gigawatt di rinnovabili? Quante auto elettriche? Sull’adattamento la questione è più complessa, perché adattarsi alla crisi climatica in un’isola del Pacifico è una cosa diversa da farlo in un paese dell’Africa sub-sahariana, come lo è la differenza tra farlo in Sicilia o sulle Dolomiti. Trovare parametri comuni tra contesti così diversi è uno degli obiettivi più affascinanti e sottovalutati della Cop30. Definire gli indicatori del Global goal on adaptation è, come ha spiegato la ricercatrice del centro studi E3G Ana Mulio Alvarez, «l’equivalente di aver stabilito il limite di un grado e mezzo di aumento delle temperature, la stella polare che deve guidare tutti gli sforzi». Il lavoro collettivo di costruzione di questa stella polare è partito da lontano. Quando il panel di esperti convocato dalla Convenzione sul clima Onu ha ascoltato i paesi e fatto la prima proposta di parametri per definire l’obiettivo globale di adattamento, il risultato sembrava uno scherzo, perché gli indicatori erano quasi diecimila. Una lista troppo vasta per essere utile dal punto di vista politico. Sulla mitigazione è difficile far rispettare un solo parametro e ricordarne al mondo l’importanza (il grado e mezzo di limite di aumento delle temperature), figurarsi averne 10mila su cui fare sensibilizzazione. L’uragano Melissa è il messaggio della crisi climatica al pianeta e alla Cop30 100 indicatori Nel corso degli anni il lavoro di raffinazione del Global goal on adaptation è proseguito: i 10mila sono stati prima dimezzati, poi ridotti a 450, e infine a 100, tutti rilevanti globalmente, misurabili numericamente e adattabili a ogni contesto locale. Il lavoro di questa Cop30 è completare l’ultimo miglio: approvare la lista dei cento indicatori. Se succederà, dopo trent’anni l’adattamento avrà trovato la sua dignità. Questo passaggio non avrà solo valore scientifico ma anche politico e finanziario. Il Gga permetterebbe un migliore accesso alle risorse. Uno dei motivi dei pochi soldi finora destinati all’adattamento è che non ci sono profitti da fare: una barriera contro l’innalzamento degli oceani ha lo stesso rischio di investimento di una piattaforma eolico off-shore, ma ha molto meno ritorno economico, ed è per questo che la finanza per l’adattamento non è quasi mai privata ed è quasi sempre pubblica, da paese a paese. Un altro motivo dietro questo gap però è stata proprio la mancanza di una definizione condivisa internazionale di adattamento, un vuoto che è servito come alibi ai paesi donatori (tra cui l’Italia) per sottrarsi alle proprie responsabilità, che non sono beneficenza ma un obbligo legale previsto dall’accordo Parigi. A guardare con particolare interesse ai progressi sull’adattamento di questa Cop30 c’è uno dei settori economici più in difficoltà a causa della sua sottovalutazione: quello assicurativo. Il costo degli eventi estremi sta facendo aumentare le perdite delle compagnie assicurative del 7 per cento all’anno, vuol dire raddoppiarle ogni decennio. Secondo Aviva i danni sono stati nel decennio 2014-2023 di 2mila miliardi di dollari, secondo GallagherRE 150 miliardi all’anno di danni sono la nuova normalità. Dal Consiglio europeo alla Cop30, l’Ue dice addio al sogno verde