La Cop30 e l’asse Lula-Guterres, l’umanità sarà salvata in portoghese

«Você fala inglês?», provi a chiedere sorridendo alle persone che incontri. Immaginando la risposta, aggiungi direttamente «infelizmente, eu não falo português». D’altronde non si capisce perché due madrelingua neolatini dovrebbero conversare in inglese. Il conto alla rovescia verso l’attesa Cop30 è ormai finito: la Conferenza inizia ufficialmente lunedì, ma oggi, giovedì 6 novembre, si tiene il primo dei due giorni del Leaders Summit, che per la prima volta non si svolge nel weekend iniziale della Cop ma prima che cominci – una delle trovate del governo brasiliano nel tentativo di differenziare questa Conferenza dalle altre. I protagonisti delle prossime due settimane sono indubbiamente il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva e il segretario generale delle Nazioni unite, il portoghese António Guterres. Lula ha espresso il desiderio di ospitare la Cop30 nei primi giorni dopo la sua elezione, ottenuta battendo il negazionista del cambiamento climatico e del coronavirus, Jair Bolsonaro, e ha annunciato la sua intenzione di ricandidarsi a pochi giorni dall’inizio dell’evento. La “mezza” Cop di Bonn, la Cina vuole anche la leadership climatica Lula e Guterres Durante questo mandato Lula ha provato a proporsi come ponte tra occidente – scattando selfie con i primi ministri e i presidenti europei – e oriente – partecipando alla parata di Mosca del 9 maggio insieme a Vladimir Putin e Xi Jinping. Lo stesso ha provato a fare, con un tono diverso per il ruolo che ricopre, il segretario generale delle Nazioni unite. In questi anni Guterres è stato il saggio leader progressista che alcuni politologi andavano cercando – molto più del papa. Preparatissimo sulla crisi climatica, puntuale su quella pandemica, instancabile sull’Ucraina, sulla Siria, sul Sudan, su Gaza – al punto che Israele l’ha etichettato come persona sgradita in un atto senza precedenti. Con la convocazione a settembre del Climate Ambition Summit, in parallelo all’Assemblea generale delle Nazioni unite e alle parole deliranti di Donald Trump sull’«imbroglio climatico», Guterres ha cercato di riportare la crisi climatica al centro dell’agenda. Lula, che ha co-presieduto il summit, gli ha dato man forte: «In un mondo in cui le gravi violazioni sono diventate comuni, il fatto che i paesi non presentino i propri piani climatici (Ndc) può sembrare un male minore. Tuttavia, senza il mosaico collettivo degli Ndc, il Pianeta cammina al buio. Solo con un quadro completo sapremo dove siamo diretti e a che velocità». Il Brasile è stato il secondo paese a presentare il suo nuovo Ndc nel novembre 2024. Si è impegnato a ridurre tutti i gas serra tra il 59 per cento e il 67 per cento e a porre fine alla deforestazione entro il 2030. I nuovi equilibri globali che nascono dalla Cop sulla biodiversità Non è tutto così verde L’alleanza lusofona tra il segretario Onu e il presidente del paese che ne ospita il vertice più importante sembrerebbe promettente, ma la cornice in cui colloca non è più quella del 2015 – l’anno dell’Accordo di Parigi che portò agli Ndc, degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile, dei sorrisi tra Barack Obama e Xi Jinping – né quella del 2019, l’anno dei movimenti per il clima, della Carta di Abu Dhabi, dell’incontro tra papa Francesco e Greta Thunberg. La cooperazione internazionale viene picconata e il multilateralismo climatico rischia di frantumarsi. Non aiuta il fatto che anche l’uomo che si è aggiudicato la nomea di “presidente ambientalista”, abbia autorizzato le perforazioni esplorative nel bacino di Foz do Amazonas, al largo della costa dell’Amapá, a due settimane da quella che a suo dire dovrebbe essere la «Cop dell’Amazzonia» e la «Cop della verità». Lula è stato recentemente in Angola per firmare nuovi accordi in favore di Petrobras e ha fatto enormi pressioni sull’agenzia per l’ambiente Ibama che inizialmente non aveva dato il via libera al colosso del fossile brasiliano per trivellare Foz do Amazonas. «Il governo brasiliano si veste di verde sulla scena internazionale, ma si sporca di petrolio a casa sua», sintetizza efficacemente Greenpeace. E così dopo la tripletta Egitto-Emirati Arabi Uniti-Azerbaijan di Conferenze in dittature fossili, l’attesa Cop30 si svolge in una democrazia, ma non certo rinnovabile. Almeno questa volta la società civile potrà manifestare. Sono due anni che centinaia di realtà diverse stanno organizzando il People’s Summit, che si riunirà a Belém parallelamente alla Cop. È da lì, forse, che viene la nostra migliore speranza. La Cop sul clima non è né efficiente né democratica. Ma resta indispensabile