«È come la droga, una strada la trova sempre». A dirlo è Alessandro Calcaterra, presidente di Fedecomlegno. Lavora nel settore del legno da generazioni e assieme all’associazione nazionale ha seguito negli anni l’evolversi della complessa questione del cosiddetto “teak Burma” ovvero del legno di lusso proveniente dal Myanmar. «Parliamo di uno dei legni più costosi al mondo, che innesca dei meccanismi che sono simili a quelli del contrabbando». Quella dell’importazione del teak birmano e della sua presunta illegalità è un problema che, negli ultimi anni, ha scosso intere filiere - non ultima quella della nautica e del decking -, regolamenti europei, autorità nazionali e regimi sanzionatori. Ma perché proprio il teak?

Il re dei legni

Il teak (Tectonia grandis) è considerato il re dei legni. Si tratta di una specie originaria del sud-est asiatico, piantata e coltivata nelle zone tropicali e subtropicali di tutti i continenti. Dall’aspetto gradevole, con un colore che va dal giallo chiaro al rosso o al bruno, è conosciuto per la sua elevata resistenza naturale agli agenti atmosferici e a quelli degradanti.

Per questi motivi è il pilastro dell’industria navale da secoli e viene inoltre impiegato per la realizzazione di pavimenti, mobili di pregio, ebanisteria. È il miglior materiale mai esistito sul pianeta per la realizzazione dei ponti di navi e yacht: i tronchi vengono attentamente selezionati e quelli che finiscono per essere utilizzati nell’industria navale sono «la crema della crema, la migliore selezione di tronchi che arrivano ad avere anche più di 100 anni», spiega Calcaterra. Un materiale unico nel suo genere, costoso e ricercato.

E il nostro paese, negli anni, si è ricavato un ruolo quasi unico nell’importazione in Europa di questa materia prima. Secondo L'Environmental investigation agency (Eia), che monitora da molti anni il commercio di legname del Myanmar, in particolare di teak di alto valore, l’Italia è arrivata a dominare sempre più questo commercio, tanto che nel rapporto “The Italian Job”, mostra come il nostro paese abbia importato nel 2020 quasi 24 milioni di euro di prodotti in legno, ovvero quasi il 66 per cento delle importazioni totali di legname del Myanmar in Europa.

«L'Italia è un importante player da molto tempo», racconta Faith Doherty,  a capo della sezione foreste dell’Eia. «Non si tratta di un caso isolato, ma di una relazione a lungo termine con i venditori di legname (birmani, ndr)». La conferma arriva anche da Calcaterra: «Man mano che i paesi del nord Europa riducevano le importazioni, l’Italia si è ricavata il ruolo di importatore».

Infatti una volta immessa nel mercato europeo, la merce può circolare liberamente. «L'Italia ha una posizione molto forte sul teak del Myanmar che serve a realizzare quasi esclusivamente le coperte di barche a vela, navi da crociera e yacht», spiega Calcaterra.

L’Europa

Ma tutto questo sarebbe avvenuto non rispettando le raccomandazioni della Commissione europea, in particolare del regolamento europeo istituito nel 2013 per contrastare l’immissione nel mercato europeo di legname e di prodotti a base di legno di origine illegale, altrimenti conosciuto come European union timber regulation (Eutr).

Questo regolamento prevede il divieto di immissione sul mercato di legname tagliato illegalmente o di prodotti del legno derivati da tale legname e richiede agli operatori che commercializzano legname l’adozione di un sistema di “dovuta diligenza” (due diligence) adottando misure per la verifica della legalità. «Prima del colpo di Stato esistevano in Myanmar delle leggi che avrebbero dovuto aiutare il taglio e il commercio sostenibile», spiega Doherty. «Dal nostro monitoraggio e documentazione, possiamo dire che queste non sono mai state messe in pratica».

Non solo. Nel 2017, il gruppo di esperti dell’Eutr concludeva come fosse «impossibile per qualsiasi servizio di verifica mitigare il rischio a un livello trascurabile che il legname di Myanmar fosse raccolto illegalmente» . Nel 2020 lo stesso gruppo affermava in un altro documento come «per tutto il legname del Myanmar il rischio che sia stato raccolto illegalmente non è trascurabile» e che gli operatori non potevano «adottare misure di mitigazione».

Allora perché il nostro paese ha continuato le importazioni? Secondo Alessandra Stefani, direttrice generale del ministero per le Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf), «fino al 2021 l'Unione europea non aveva preso una posizione netta e avevamo potuto solo scrivere alle aziende di attivare processi chiari di importazione. Tre quarti delle aziende italiane hanno smesso, mentre un quarto ha continuato e purtroppo ha importato quanto gli altri non hanno fatto».

La conferma arriva anche dai dati in nostro possesso che mostrano come il nostro paese abbia continuato ad importare per tutto il 2021, seppur con una decisa flessione dopo la comunicazione da parte del Mipaaf del maggio scorso: i numeri di Eurostat dicono che da gennaio a novembre 2021 l’importazione si è attestata intorno alle 1.900 tonnellate, per un valore di poco meno di 12 milioni di euro. La svolta arriva a giugno del 2021, con il regolamento Eu 2021/998, il quale vara sanzioni che vanno a colpire il Myanmar timber enterprise (Mte), ovvero l’unico ente statale preposto alla vendita del legno, e vietando di fatto l’importazione di legname da organi statali legati al regime.

Interpellato sull’attuale situazione, uno degli operatori, la Timberlux srl afferma che: «Il regolamento Eutr prevede di attuare delle procedure di valutazione del rischio che consentano all’importatore di valutare il rischio che il legname sia di origine legale. Tali procedure tengono conto di diverse variabili, tra cui la prevalenza nel paese esportatore di conflitti armati. Non essendo in grado di mitigare il rischio derivante ad un colpo di stato, ho dunque deciso di non importare più materiale esportato dal Myanmar. La situazione si è resa ancora più drastica dopo la sanzione europea di giugno dello scorso anno».

Ma allora perché anche dopo giugno 2021, nonostante le quantità siano decisamente inferiori, il teak è arrivato in Italia? «Sia il regolamento Eutr che quello Eu 2021/998 non vietano nello specifico l’importazione di teak birmano, in caso contrario la dogana sarebbe la prima a fermare il materiale al momento dell’arrivo in porto. Si tratta dunque di adottare misure di mitigazione del rischio e di tracciatura della catena di custodia appropriate. Come già evidenziato, la politica della mia azienda è stata quella di decidere di smettere di importare dal Myanmar».

La smentita arriva anche da Fabrizia Comisso, della Comilegno Srl: «Non abbiamo mai violato le sanzioni e il nostro fornitore non ha mai avuto contatti con il regime. La società non è assolutamente una controllata della Mte, fatto facilmente verificabile», confermando inoltre che «dopo il colpo di stato abbiamo chiesto al nostro fornitore di inviarci del materiale che aveva già pagato all'Mte, quindi materiale non sanzionato».

La domanda di teak però non si è fermata, pena il blocco di un’intera filiera. «C'è ancora qualcuno che non vuole arrendersi e che dichiara di averlo acquistato prima, ma dovrà provarlo nel momento in cui verrà effettuato il controllo», spiega Stefani. «Siamo a conoscenza di magazzini pieni, ma gli operatori non si fidano a fare entrare il legno nel mercato. E questo è già un piccolo risultato, perché le aziende che l'hanno importato devono dimostrare parecchie cose, che non sono certo di facile attuazione».
Molti degli yacht e superyacht oggi in circolazione e probabilmente anche quelli confiscati nelle ultime settimane dalle autorità, sono stati costruiti impiegando il teak birmano, alimentando così la deforestazione del paese - che ha già perso un terzo delle sue foreste - e un mercato se non illegale, comunque compromesso, data la situazione politica ed umanitaria del Myanmar. Nonostante ciò il legno continua a circolare, perché «quello che vuole un miliardario, un miliardario lo ottiene», conclude Doherty.

Questa inchiesta è stata prodotta con il sostegno del Fondo europeo per il giornalismo investigativo (IJ4EU), in collaborazione con #WilDeye, sponsorizzato da Oxpeckers Investigative Environmental Journalism e l’Earth Journalism Network.

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